Comunicato stampa: L’EUTANASIA È UNA FORMA DI “CURA”

Torino, 24 febbraio 2022 COMUNICATO STAMPA 3-2022 L’EUTANASIA È UNA FORMA DI “CURA”  PERCHÉ TOGLIE IL PAZIENTE DALLA CONDIZIONE INFERNALE. UNA RISPOSTA AL CENTRO DI BIOETICA LUCANO   In un’ampia intervista al giornale “La Nuova del Sud” il Direttore del Centro di Bioetica Lucano Rocco Gentile ha dichiarato che l’eutanasia è un atto che annienta la cura, quindi ha approvato la bocciatura del Referendum.  Senza entrare nel merito della decisione della Corte Costituzionale sul Referendum, che solleva problemi diversi, si vuole qui criticare la tesi centrale sostenuta da Rocco Gentile, ossia che l’eutanasia sia una richiesta di morte sic et simpliciter. Questa caratterizzazione dell’eutanasia è ingenerosa e inadeguata, perché ignora la premessa fondamentale della richiesta eutanasica, ossia lo stato di irreversibile sofferenza esistenziale che la genera. Chi chiede l’accesso alla morte volontaria medicalmente assistita non lo fa né per mero capriccio né come esito di una temporanea e passeggera difficoltà psicologica, ma perché è afflitto da estrema, disperata e ineluttabile sofferenza. È questa ciò che muove il paziente a chiedere l’eutanasia.  Omettere la grave e infernale sofferenza che sta alla base della domanda eutanasica è capzioso e inquina un dibattito che, su questi temi tanto delicati, dovrebbe essere attento ed equanime. Dunque, se l’eutanasia viene richiesta da un paziente che versa in una condizione irreversibile di malattia, perseverare con il principio di cura a tutti costi significa rispettare il paziente oppure accanirsi sulla sua sofferenza? Chi sostiene la necessità di dover curare a tutti i costi e fino alla fine lo fa, spesso, sulla base di due convinzioni: la prima è che la vita sia sacra e pertanto indisponibile; la seconda è che la funzione di cura del medico debba prevalere sulla volontà del paziente. Ora, l’idea della sacralità e indisponibilità della vita deriva da un convincimento religioso, che è ben lontano dall’essere un principio universalmente condiviso. Vietare l’eutanasia sulla base di una convinzione religiosa e personale comporta un’ingiustizia ai danni di coloro che non condividono la medesima convinzione. Approvare l’eutanasia, viceversa, non significa imporne la pratica a chi la disapprova, bensì rispettare la volontà di quelle persone che non riescono più a sopportare il peso di una sofferenza che non conoscerà mai sollievo. In altri termini, vietare l’eutanasia riduce le libertà dei singoli; approvarla, invece, significa offrire una possibilità in più a coloro che avvertono l’insopprimibile necessità di porre fine a un dolore destinato a perpetuarsi. Questa posizione, tra l’altro, risulta essere conforme al dettato della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che recita: «Se, infatti, il fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari – anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore) – non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale.». In secondo ordine, ritenere la funzione di cura del medico prioritaria rispetto alla libertà di scelta del paziente è il frutto di una interpretazione arcaica, gerarchica e ampiamente superata della relazione medico-paziente, per cui il primo sarebbe depositario e custode della vita del secondo. Lo sforzo verso cui muove la medicina odierna è invece quello di stabilire una orizzontalità nel rapporto, per cui il medico risponde alla richiesta di cura del paziente, ma non la impone contro la sua volontà né vicaria le scelte di vita del paziente sulla base di convincimenti del tutto personali. Ecco, finché il dibattito sul fine-vita resterà ancorato a posizioni dogmatiche − che non tengono conto dell’evoluzione della relazione medico-paziente e del mutato contesto storico, dominato dal pluralismo morale − sarà difficile produrre importanti passi in avanti. L’auspicio, ad oggi, è che il Parlamento suturi il gap che lo distanzia dalla cosiddetta “vita reale” e colga la necessità, sempre più impellente, di legiferare a favore della morte medicalmente assistita per consentire a chi patisce una sofferenza grave e irreversibile di trovare pace, quando è impossibilitato a farlo da sé. Alessia Araneo Coordinatrice Sezione Lucana Maurizio Mori Presidente Consulta di Bioetica Onlus   Leggi anche: https://www.basnews.it/una-risposta-al-centro-di-bioetica-lucano/        

Comunicato Stampa: CON MAGGIORANZA SCHIACCIANTE ANCHE SAN MARINO LEGALIZZA L’ABORTO

COMUNICATO STAMPA 7-2021 CON MAGGIORANZA SCHIACCIANTE ANCHE SAN MARINO LEGALIZZA L’ABORTO: la Waterloo dell’etica della sacralità della vita San Marino è uno Stato piccolo ma il voto al Referendum ha un significato estremamente grande! La vittoria del Referendum per legalizzare l’aborto è un risultato eccezionale, sia perché scompare uno degli ultimi baluardi del divieto d’aborto in Europa (i rimanenti sono Malta, Andorra, e Vaticano) sia perché la maggioranza è stata schiacciante: 77,3% contro 22,7%.

Comunicato stampa: SPLENDIDO IL RISULTATO SULLA RACCOLTA FIRME PER IL REFERENDUM EUTANASIA.

È LA SOLIDARIETÀ UMANA ALLA BASE DELLA LICEITÀ DELL’EUTANASIA, NON L’INDIVIDUALISMO. Splendida è la notizia che già ci sono 500.000 firme per il Referendum sull’eutanasia, e che ora si punta al raddoppio! La spinta propulsiva aperta dal Referendum sul divorzio (1973) non ha perso vigore. Sembrava impossibile riuscire a raccogliere il numero minimo di firme d’estate e per di più in periodo di Covid, e invece in metà tempo già si è raggiunto l’obiettivo: un miracolo! Forse la pandemia ha abbattuto vecchi tabù sul morire e fatto superare gli ultimi ostacoli. A fronte di un tale eclatante risultato stupisce, e non poco, che la Conferenza episcopale Italiana (Cei, cfr. Nota del 18 agosto 2021) si sia limitata a esprimere solo “grave inquietudine”. Se si considera che quel risultato comporterebbe nientemeno che la “sconfitta dell’umano”, più che una reale e convinta condanna, quelle parole rappresentano una blanda difesa d’ufficio della tesi tradizionale. Lo si doveva fare, e si sono usate le solite parole di rito che van sempre bene e sono scontate e un po’ trite. Se avessero davvero voluto opporsi al risultato, più che essere solo inquieti cioè un po’ turbati, i vescovi avrebbero fatto meglio a dire di essere sconvolti, sconcertati, sgomenti, attoniti, stupefatti, atterriti. Stupisce anche che per la Cei le 500.000 firme raccolte rappresenterebbero la “vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista”: così facendo la Cei rimanda alla tesi che sia l’individualismo egoista di chi sta bene e guarda solo sé stesso a sostenere l’eutanasia: questo individualismo impedirebbe di vedere l’altro e le sue esigenze, e così consente a chi è fragile e ha maggiori esigenze di cura la possibilità di togliere il disturbo con l’eutanasia. L’antropologia solidale e altruista, al contrario, proprio perché presterebbe maggiore attenzione alle esigenze altrui, porterebbe a sostenere la morte naturale e le cure palliative come alternativa all’eutanasia. Quest’argomento della Cei è invalido, perché in realtà è vero proprio il contrario: alla base della richiesta di eutanasia sta la solidarietà umana per chi non ha più scampo e ha diritto di uscire dalla vita con dignità e senza soffrire. Le cure palliative sono un presidio importante ma non sempre bastano a evitare al morente la situazione infernale. Più che un’alternativa all’eutanasia, esse sono complementari: si comincia con la palliazione, e se funziona, bene! Se non basta, e l’interessato lo chiede si passa all’eutanasia. È l’interessato che sceglie e decide: chi altro?!? Non è però l’egoismo individualista che porta a accettare e avallare questa scelta, bensì la solidarietà umana: quella che ci porta a capire le sofferenze dell’altro e a avere rispetto anche della sua scelta di chiudere subito. È l’amore per l’altro che ci fa fare un passo indietro rispetto al nostro desiderio immediato (egoistico) di averlo sempre con noi. Autonomia individuale e solidarietà convergono. È vero proprio il contrario di quel che suppone la Cei, perché è antropologia individualista quella che porta una persona a essere così convinta che la propria individuale (e astratta) concezione della vita valga sempre e comunque per tutti da non riuscire né a capire che l’altro ha sofferenze infernali né a rispettare le sue scelte più intime. Molti pro-vita sono individualisti in questo senso perché sono così centrati su di sé e sulla propria ideologia da credere di aver titolo di imporre all’altro di vivere a tutti i costi, anche quando questi è ormai nella condizione infernale e non ne può più. È chi è solidale con gli altri che è pronto a ascoltare le esigenze di chi soffre, e sa capire anche quando chi è più fragile non sopporta più ulteriori sofferenze e vuole che la sua autonomia sia rispettata, anche eutanasica. La Cei sbaglia quando afferma che le 500.000 firme raccolte rappresentano la vittoria dell’individualismo nichilista: esse invece sono il segno che finalmente la solidarietà umana si estende fino alla fine della vita e si coniuga con l’autonomia individuale per evitare ai morenti disumane sofferenze infernali. Continuare a sostenere il contrario è insistere in un’ideologia vitalista che (per contrapposizione all’individualismo “nichilista”) si potrà anche chiamare “tuttista”, ma apporta solo ulteriori dolori e nessun rispetto per le scelte personali più intime. Maurizio Mori Presidente Consulta di Bioetica Onlus