di Ottavio Davini

LA MEDICINA CHE NON C’È

di Dedalo Edizioni

Oggi a causa della pandemia sono emersi con violenza tutti i limiti del rapporto tra politica e medicina, tra le ragioni della salute e quelle dell’economia: Ottavio Davini ci guida allora in una riflessione acuta e attuale sulla “medicina che non c’è”.

Il libro sarà presentato al salone del libro il 15.10 e al

Circolo dei Lettori il 25.10

Recensione di Maria Teresa Busca

La medicina che non c’è è quella miracolistica che sa prevenire ogni patologia grave, che scopre le malattie prima che si manifestino e che cura ogni tipo di infermità.

È quella che Ottavio Davini chiama la medicina delle illusioni. Utilizzando una metafora militare, anche se non gli è molto gradita, Davini spiega bene che nella guerra contro la malattia sul campo ci sono sempre morti e feriti, perché le armi che abbiamo a disposizione non sempre funzionano adeguatamente. E ci racconta anche del cosiddetto fuoco amico, ovvero delle armi che dovevano distruggere la malattia e invece hanno ferito, se non ucciso il paziente. Questo è quanto in linguaggio scientifico si chiama iatrogenesi. Si stima che nel 1999 l’Institute of Medicine abbia calcolato queste vittime in quasi centomila all’anno nei soli Stati Uniti. Le cause sono da addebitarsi a complicanze imprevedibili, a interazioni non note tra farmaci, insomma casi in cui qualcosa non ha funzionato.

Purtroppo si muore, perché “il rischio è parte della vita” e “l’essere umano sbaglia. E l’infermiere o il dottore sono essere umani.” Quindi l’errore è inevitabile. Questo ovviamente non riguarda soltanto i professionisti della medicina, sottolinea Davini, ma tutti coloro che fanno qualcosa come guidare, lavorare con macchinari complessi o semplicemente svolgere attività all’interno della propria casa.

Un altro settore analizzato in questo interessante libro è quello dei check-up. Nel mondo, specifica l’Autore, ci sono aziende che fanno questo mestiere creando nel cliente l’illusione di poterlo mettere al riparo da ogni malattia.

E qui si passa al complesso tema della prevenzione che viene suddivisa in primaria e secondaria. La prima, che serve a evitare le malattie, propone stili di vita sani i cui risultati si vedranno nel tempo, mentre la seconda è utile per diagnosticare una malattia prima che abbia sviluppato tutti i suoi sintomi.

Ma anche in questo campo, ci mette in guardia Davini, bisogna essere molto attenti e porta l’esempio del PSA, il marcatore del tumore alla prostata. Riportando le parole di Richard J. Ablin, lo scienziato che lo scoprì, scritte nel 2010, si evidenzia che “il test non è più efficace di un lancio della moneta”. Il test, in realtà funziona, spiega l’Autore, perché consente di sospettare un tumore alla prostata, ma “non è indice univoco di un tumore” può segnalare anche una semplice prostatite. È utile quando sia necessario avvalorare l’ipotesi diagnostica di un bravo medico. Ablin ritiene erroneo l’uso del test come screening che come conseguenza può portare a un “sovra-trattamento”, ovvero curare persone che non ne hanno bisogno.

Questo caso porta a una questione molto seria con cui l’attuale medicina si deve confrontare: quella della sovra-diagnosi. Davini spiega molto bene il meccanismo per cui screening inappropriati arrechino inutili ansie al paziente e lo sottopongano a terapie che potevano essere evitate, con tutti i rischi e gli effetti secondari che un trattamento può causare. Ma combattere questo metodo non è semplice per due motivi, ci chiarisce l’Autore, che sono la medicina difensiva e l’imperativo tecnologico.

Davini mette inoltre a confronto “la medicina dell’ignoranza” come il metodo Hamer, la terapia Di Bella e il caso Stamina con la fiducia nella scienza, come può testimoniare il vaccino per il Covid 19, prodotto a tempo di record. Sono pagine molto avvincenti che è opportuno meditare anche per capire come fronteggiare coloro che non hanno fiducia nei vaccini.

La conclusione invita a educare cittadini “consapevoli e informati” che si rendano conto che la scienza non è una “torre d’avorio” lontana dalla società, bensì deve avere un posto ben preciso nella comunità dove lavora per “il progresso delle condizioni di vita dell’umanità”.

È opportuno, dunque, lasciare spazio alla medicina che c’è, quella costituita da professionisti preparati, da uomini di scienza che si occupano costantemente di ottimizzare prevenzione e terapie e da cittadini informati.

 

 

La medicina che non c’è, intervista con il dott. Ottavio Davini

Introduzione

La pandemia da SARS-CoV-2 ha fatto esplodere le contraddizioni di quella visione schizofrenica con cui osserviamo da anni la medicina, sgretolando in molti l’idea (sbagliata) che sia sempre possibile risolvere magicamente ogni nostro problema di salute, e per converso alimentando in altri l’idea (ancora più sbagliata e pericolosa) che la scienza sia inutile per fronteggiare le sfide future; o, peggio, sia alleata di oscuri poteri che minacciano l’umanità.
Tra i cittadini le domande si moltiplicano. Perché non capisco quello che sta succedendo? Come mai ci sono tante idee diverse? Perché non riusciamo a risolvere questo problema? Vorrei proporre alcune risposte, in particolare per coloro che, sconcertati dalla pandemia, aspirino a comprendere meglio cosa siano oggi scienza, medicina e salute, cosa le leghi tra loro e quanto dipendano dalla società nel suo complesso. E, perché no, anche per capire dove stiamo andando.
Siamo immersi nel nostro presente e fatichiamo a inserire in una prospettiva storica quel che accade nella società; stentiamo così a realizzare quanto sia migliorata la nostra salute nell’ultimo secolo, consentendoci di raddoppiare l’aspettativa di vita; larga parte del merito è della medicina moderna, che ci ha portato – naturalmente facendoci pagare qualche prezzo – ai limiti della nostra natura biologica.
Credo sia venuto il momento di governare con equilibrio queste conquiste e quelle che verranno, separando con cura la realtà dall’illusione, imparando a convivere con le incertezze e coltivando il dubbio, ma non il pregiudizio.
Non dobbiamo, in poche parole, cercare una medicina che non c’è.
Mi concentrerò pertanto su quelli che io ritengo siano gli ostacoli più seri allo sviluppo di un dibattito informato su presente e futuro della medicina, tale da garantire che le nostre scelte si fondino su ciò che realisticamente possiamo chiedere alla scienza. E vorrei dimostrare quanto terribilmente peggio sarebbe ignorarla, rincorrendo paure ataviche o disparate teorie del complotto: siamo saliti molto in alto e cadere sarebbe catastrofico.
Ogni tanto dovrò estendere lo sguardo alla società e alla nostra capacità di interpretarne i fenomeni, perché medicina e società, come scrisse il grande bioeticista Daniel Callahan, vanno nella stessa direzione.

 

Ottavio Davini – medico radiologo, primario e per cinque anni direttore sanitario alle Molinette di Torino. È autore di numerosi articoli scientifici e diversi libri.