Gentile direttore,
il prossimo 16 e 17 giugno 2023 si terrà a Trieste un Convegno di studio e di riflessione sul tema “In UK Charlie, Alfie … e qui in Italia tutto OK?!? Garantire la dignità dei bambini sempre”. Promosso dalla Consulta di Bioetica Onlus e col patrocinio di varie istituzioni, il programma si articola in due grandi sezioni: la prima (venerdì 16 pomeriggio) dedicata ai minori incapaci di consenso, e la seconda (sabato 17 mattina) ai grandi minori, tutte riguardanti situazioni critiche e di fine vita. Forse in modo un po’ schematico, il titolo chiarisce subito le tematiche al centro dell’attenzione, ossia i problemi clinici ed etici che si presentano in pediatria.
Come è ormai ampiamente noto, i progressi della neonatologia e della pediatria sono stati fortunatamente giganteschi, e nel frattempo le condizioni di vita sociale e culturale sono cambiate. Si è fatto molto per stare al passo coi tempi e dare risposte efficaci, ma talvolta si registrano alcune lacune da colmare, perché non mancano occasioni in cui, quando si arriva a certe situazioni di cura, sembra quasi che si torni alle tesi di sempre come se nulla fosse cambiato.
Si prenda per esempio l’aspetto vincolante (anche giuridicamente) dell’età, tema che definisce la competenza di una persona e che impregna e condiziona consciamente o inconsciamente anche le scelte che riguardano tutta la vita “sanitaria” dell’individuo. Come considerare un “grande minore”? La normativa italiana stabilisce con chiarezza quando un minore può prendere il patentino per un motorino (14 anni) o per un ciclomotore o una microauto (16 anni) e se possa o no bere alcool e comprare sigarette. Inoltre, a 16 anni un giovane può firmare un contratto di lavoro o riconoscere un proprio figlio e chiedere al Tribunale per i minorenni che venga sospesa la procedura di adottabilità; può aderire ad un piano di recupero in caso di tossicodipendenza; una giovane può abortire, assumere contraccettivi, e questo solo per citare alcune delle norme esplicite riguardanti i grandi minori.
Ma quando si arriva alle scelte sanitarie, quelle che riguardano minori con gravi patologie croniche, progressive che compromettono le funzioni vitali, con opzioni terapeutiche decisive, irreversibili e gravi, quali, per esempio, l’inserimento di una cannula tracheostomica, per garantire la respirazione, allora l’interessato è come se non esistesse affatto e gli interlocutori/decisori continuano a rimanere esclusivamente i genitori/tutori. Quando si è di fronte alle scelte sanitarie, il mondo pare si blocchi e si torni all’idea dei minori come incapaci a qualsiasi consenso e considerazione.
Sappiamo tutti bene che le Società scientifiche e le Carte Internazionali riconoscono al minore il diritto di esercitare una limitata autonomia nelle scelte di cura e sottolineano il dovere dei sanitari, i medici in particolare, a promuovere la loro autonomia, attraverso il coinvolgimento nei processi decisionali, in modo commisurato alle capacità del singolo minore. Ma quelle raccomandazioni sono talvolta intese dai pediatri esclusivamente come coinvolgimento del bambino/ragazzo nella comprensione di un processo di cura che è in larga misura già prestabilito da loro in concerto coi genitori da cui hanno avuto il consenso.
Nessun ruolo, quindi, è riservato al minore nel processo decisionale. Anche quanto espresso nell’ art. 3 della Legge Lenzi n. 219/17 al riguardo: “La persona minore di età … ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, …. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà” è in linea con una valorizzazione dell’autonomia del minore, ma poi nella pratica prevale l’idea tradizionale che lascia tutto in capo a chi esercita la responsabilità genitoriale o al tutore.
Se passiamo all’infante/bambino con deficit neuro-cognitivo grave che neanche sa esprimere il consenso o dare indicazioni proprie, talvolta la situazione è analoga a quella precedente in quanto prevale come un automatismo l’atteggiamento interventista e a fatica si prendono in considerazione le cure palliative pediatriche. Anche in situazioni similari a quelle che hanno coinvolto casi celebri degli ultimi anni, da noi sembra che i problemi non esistano e che la decisione sia presa sulla scorta di canoni clinici invalsi, anche se non sempre è provato che corrispondano al miglior interesse del bambino.
Questi pazienti non sono considerati nella loro complessità e gravità clinica, ma prevale in queste situazioni il peso che culturalmente e socialmente viene dato alla vita biologica di quel bambino dall’equipe curante e dai genitori/tutori, vita che riguarda un infante che rappresenta a pieno, nella teoria, tutte le potenzialità dell’essere umano. Non viene quindi considerato accanimento il mantenere le funzioni vitali artificialmente e non si parla di diritti di questi infanti. La proposta di una presa in carico di tipo palliativo è, solitamente, poco considerata, mal interpretata e talvolta anche rifiutata, mentre, nella realtà dei fatti, la biomedicina, non ha strumenti reali per “guarire” questi bambini e si concentra esclusivamente sul “mantenerli in vita”. È proprio qui che si presentano i problemi etici e clinici da considerare.
L’idea de “il bambino al centro” è sicuramente importante, ma orami pare sia diventato uno slogan un po’ inflazionato. Si tratta di mettere al centro le esigenze del minore per consentire che fioriscano nelle modalità possibili. C’è esigenza di chiarire bene il ruolo delle cure palliative pediatriche e di come prendere eventuali decisioni finali. Per questo i relatori hanno orientamenti diversi e sono studiosi di discipline differenti, che spaziano su un variegato orizzonte che va dalle discipline pediatriche all’antropologia culturale, al diritto e alla bioetica.
Tra i tanti relatori, oltre agli scriventi, ricordiamo Nicolò De Manzini ed Egidio Barbi dell’Università di Trieste, Ferruccio De Bortoli, giornalista e presidente dell’Associazione Vidas di Milano, Giuseppe Giaimo dell’Università di Palermo, Franca Benini del Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino di Padova, Luca Manfredini dell’IRCCS G. Gaslini di Genova, rappresentanti di varie religioni e altri studiosi di diverse professionalità e prospettive.
Il Convegno non ha soluzioni preconfezionate ma, partendo dalla consapevolezza che in talune situazioni c’è bisogno di un supplemento di riflessione, offre un’occasione per trovare soluzioni più adeguate e più attente alle esigenze dei bambini. Questo è l’obiettivo del Convegno di Trieste: contribuire a far crescere la riflessione etica in pediatria al fine di garantire la dignità dei bambini sempre.
Elisabetta Bignamini
Direttrice SC Pneumologia pediatrica, Ospedale Regina Margherita, Torino
Maurizio Mori
Consulta di Bioetica Onlus, Comitato Nazionale per la Bioetica
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