Nei 45 anni trascorsi dall’approvazione della legge 194/78 tanto è cambiato e tanti sono stati i progressi scientifici che, intrecciati a cambiamenti della sensibilità etica, hanno portato all’affermazione dei “diritti riproduttivi”. Mentre da noi in Italia si continua a ripetere che circa il controllo della riproduzione non c’è nulla da cambiare e che tutto va bene com’è. Rimanere fermi quando tutto procede è come tornare indietro.
di Maurizio Mori, Consulta di Bioetica Onlus e Anna Pompili, Amica, Associazione medici italiani contraccezione e aborto per Quotidiano Sanità
07 NOV –
Giovedì 28 settembre 2023, giornata mondiale dell’aborto sicuro, nella sede della CGIL nazionale a Roma, in corso d’Italia nella notevole sala Santi, per iniziativa della Consulta di Bioetica Onlus e dell’Associazione Amica (Associazione medici italiani contraccezione e aborto) si è tenuto un partecipato convegno in presenza e on-line sul tema “Modificare la L. 194/78 per allargare i diritti riproduttivi”.
L’idea che ha permeato la riflessione fatta al Convegno è che a 45 anni dall’approvazione della legge 194, i cambiamenti culturali e sociali intercorsi impongono di tornare a riflettere sull’aborto volontario. Nessuno ha dubitato che la legge 194/78 abbia avuto un ruolo fondamentale nella vita civile italiana, consentendo di limitare l’aborto clandestino e aprendo le porte a un efficace controllo riproduttivo. Si è tuttavia osservato che oggi i significativi progressi scientifici che hanno riguardato anche le tecniche per l’aborto, e i cambiamenti di sensibilità etica, hanno rivoluzionato modo di guardare all’aborto. Per questo, l’impianto concettuale sotteso alla Legge oggi risulta essere un po’ “stretto”: va rivisto e allargato.
L’aspetto più problematico sta nel fatto che nella L. 194/78 l’aborto è consentito solo quando la prosecuzione della gravidanza, il parto o la genitorialità [maternità] costituiscono un pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Nella legge la scelta autonoma della donna è in ombra e in secondo piano, e rientra in modo tangenziale quando si considera l’aspetto psicologico. Oggi, invece, l’autodeterminazione della donna è al centro del concetto di “salute riproduttiva”, perché la fertilità di per sé non determina più il cosiddetto “destino biologico”. Qui sta l’idea alla base dei “diritti riproduttivi”, che per ora sono affermati solo sul piano etico, ma che presto dovrebbero essere riconosciuti anche come diritti umani: a questo si lavora in molte sedi autorevoli. Un “diritto” (in senso morale) è una “pretesa valida” che ha la precedenza su considerazioni di altro tipo. In questo senso i “diritti riproduttivi” sono le pretese valide avanzate da una donna per esercitare il controllo di quanto avviene nel proprio corpo, a prescindere da eventuali “bilanciamenti” tra la richiesta della donna e le presunte attese connesse all’eventuale sviluppo di processi biologici.
L’affermazione della “salute riproduttiva” e dei “diritti riproduttivi” sta alla base della richiesta di un ripensamento della Legge 194/78. È presto per avere uno specifico articolato per una nuova Legge, e il Convegno ben si è guardato dal fare precise proposte al riguardo: suo obiettivo era chiarire il nuovo quadro culturale e cominciare a porre il problema. Tuttavia, alcune idee di fondo sono affiorate e meritano di essere ricordate.
La prima è che l’art. 1 va ripensato per dare maggiore rilievo alla scelta autonoma della donna, che oggi è l’aspetto centrale anche quando è posta in relazione al suo diritto alla salute. Vi è poi l’art. 4, che fissa al novantesimo giorno il limite entro cui la donna ha la facoltà di valutare se proseguire o no la gravidanza: si è avanzata la proposta che tale facoltà vada estesa come minimo fino a quando il feto è in grado di sopravvivere fuori dell’utero (viability): limite oggi attorno alle 22 settimane che richiede approfondimenti. Nell’art. 5 è da eliminare senza indugi il periodo dei 7 giorni di riflessione imposto alla donna prima di potersi rivolgere alla struttura sanitaria per l’aborto e che risulta in netto contrasto con la decisione autonoma della donna. L’art. 7 verte sui cosiddetti “aborti terapeutici”, che riguardano pochissimi casi per lo più connessi a gravi patologie: oggi si prevede che, una volta raggiunta la viability, il medico operi sempre a salvaguardia della vita del feto, prassi da rivedere sia perché è contraria alle linee-guida delle principali società scientifiche internazionali sia perché in caso di diagnosi tardiva di gravi patologie impone di andare all’estero. Anche l’art. 8 va riconsiderato perché, riservando l’aborto alle sole strutture sanitarie pubbliche, viene sia pure implicitamente a conferire una sorta di “statuto speciale” a questo tipo di intervento, tanto da non poter essere attuato in una struttura privata o da ostetriche (come invece avviene in molti altri paesi e è raccomandato dall’OMS).
L’art. 9 è quello che già oggi è il più controverso in quanto assegna al personale sanitario la facoltà di sollevare obiezione di coscienza. È noto che in alcune aree del paese le alte percentuali di obiettori possono costituire un ostacolo all’accesso all’aborto e all’applicazione della legge, per cui già ora questa parte della legge solleva questioni molto concrete e sentite. Non si può poi ignorare che a livello internazionale l’aborto viene sempre più considerato “diritto umano”: ci si chiede dunque a quale titolo si potrà obiettare all’esercizio di un diritto umano. Pur riconoscendo che il discorso sul tema prevede molte sfumature e non può certo essere semplificato, si è ritenuto opportuno modificare la previsione attuale, almeno nel senso di limitare l’obiezione alle sole figure che partecipano attivamente alla procedura abortiva.
Quello tenuto alla CGIL di Roma non è stato un convegno “di consolidamento” di posizioni già note e diffuse che abbisognano solo di conferme, ma si è posto come convegno “di frontiera” teso a aprire nuovi orizzonti e a arare nuovi territori. Nei 45 anni trascorsi dall’approvazione della legge 194/78 tanto è cambiato e tanti sono stati i progressi scientifici che, intrecciati a cambiamenti della sensibilità etica, hanno portato all’affermazione dei “diritti riproduttivi”. Mentre da noi in Italia si continua a ripetere che circa il controllo della riproduzione non c’è nulla da cambiare e che tutto va bene com’è, il Convegno ha sottolineato invece come il mondo sia andato molto avanti, e che rimanere fermi quando tutto procede è come tornare indietro: per questo bisogna pensare di modificare la 194/78 per allargare subito i diritti riproduttivi, e forse anche pensare a nuove regole per l’intero ambito riproduttivo che in pochi decenni è radicalmente cambiato.
Maurizio Mori, Consulta di Bioetica Onlus
Anna Pompili, Amica, Associazione medici italiani contraccezione e aborto