OSSERVAZIONI A MARGINE DELLA POSIZIONE DI MINORANZA ESPRESSA AL CNB

Cara Maria Teresa e caro Mino,

propongo alla sezione sui problemi etici suscitati dalla pandemia Coronavirus che state coordinando un contributo con due obiettivi: chiarire un problema specifico di carattere teorico e soprattutto rilevare un aspetto di carattere storico-antropologico-culturale circa il dibattito suscitato dalle Raccomandazioni Siaarti (Società italiana di anestesia analgesia e terapia intensiva).

L’occasione mi è offerta dal fatto che il 15 aprile scorso il CNB (Comitato Nazionale per la Bioetica) ha pubblicato il Parere sul tema della scelta di chi ammettere alle cure in condizioni eccezionale carenza di risorse: Parere che in un senso esce un po’ in ritardo, ma in un altro resta abbastanza tempestivo dal momento che l’emergenza Covid-19 ha preso un po’ tutti di sorpresa. Considerate le difficoltà di comunicazione, il CNB è riuscito a far sentire la propria voce in tempi ragionevolmente adeguati.

C’è, invece, da riflettere sul tipo di voce proposta dal CNB e sul messaggio dato. Uscite subito all’inizio della pandemia (6 marzo 2020), le Raccomandazioni Siaarti hanno suscitato vivaci reazioni contrarie, ma anche acquisito importanti consensi come quelli delle Regioni Veneto e Piemonte, e della Sicp, la Società italiana di cure palliative. Invece di mettersi nella scia del dibattito già avviato, il CNB ha pensato di partire pressoché ex-novo proponendo una riflessione “propria”: le Raccomandazioni Siaarti sono state così ricordate solo in una nota assieme a vari documenti di diverso valore e di ben altro impatto, anche se è chiaro che l’intero Parere CNB è una sorta di risposta a quelle, che sono il non-detto implicito da contrastare e esorcizzare.

 

Come tutte le cose umane, le Raccomandazioni Siaarti sono migliorabili in qualche aspetto (formulazione, contenuti, ecc.), ma ho sostenuto che si muovono nella direzione giusta perché hanno un’adeguata impostazione teorica: il quadro concettuale o paradigmatico è corretto, al di là di eventuali correttivi su punti specifici. La principale ragione al riguardo (cfr. la Posizione di minoranza contenuta nel Parere CNB) sta nel fatto di riconoscere che la scelta da farsi nelle situazioni eccezionali rimanda a fattori extra-clinici. Qui voglio ora completare il discorso e richiamare l’attenzione su un altro punto che rafforza l’impostazione Siaarti, la cui adeguatezza emerge per la presenza di due aspetti teorici fondamentali, e cioè:

  1. Il riconoscimento del fatto che, nelle condizioni di eccezionale emergenza considerate, la scelta di chi curare o no avviene non solo sulla scorta del criterio clinico, ma anche di criteri extra-clinici. In questo senso, l’età a volte rientra come fattore di carattere clinico, e altre volte di carattere extra-clinico: dipende dalle circostanze;
  2. Il riconoscimento del fatto che, nelle condizioni di eccezionale emergenza considerate, si richiedono norme o raccomandazioni generali che siano abbastanza precise e specifiche per indirizzare le scelte e stabilire la loro correttezza, il che significa riconoscere classi o categorie di atti che vanno al di là del caso singolo che, in un senso, è unico e irripetibile.

Già ho argomentato per il punto 1), e qui voglio dire qualcosa in più circa il punto 2). Proponendo le 15 raccomandazioni specifiche, la Siaarti ci ricorda un aspetto fondamentale della vita morale, ossia che essa richiede norme abbastanza precise come “non rubare!”, “non mentire!”, le quali suppongono si sappia individuare classi generali di azioni (il furto, la bugia) che vanno al di là del caso singolo (unico) e escludono l’analisi “caso per caso”. La logica “del caso per caso” è pre- o extra-morale, perché suppone che ciascuna situazione sia a sé, unica e diversa da ogni altra, così che la risposta sul da farsi non è nota a priori va come “inventata” al momento o “ritagliata” al caso specifico. Al contrario, la moralità (ordinaria) presuppone la logica “della norma o della regola”, la quale dà per scontato che si diano situazioni o casi simili o anche uguali, così che la risposta sta nel vedere se un caso particolare rientri o no nella classe generale, cioè se un certo atto sia o no classificabile come furto o bugia. La moralità è fatta di norme, le quali hanno un posto centrale nella vita etica, perché le persone scelgono e giudicano sulla scorta delle norme specifiche presenti nell’ethos, che stanno alla base anche delle virtù. Le norme assumono maggior rilevo nelle situazioni di urgenza in cui non si ha tempo di ponderare le varie alternative: quando la scelta va fatta all’istante, il riferimento alla regola concreta è il toccasana che sblocca la situazione. Bisogna riconoscere che la Siaarti è riuscita a dare raccomandazioni abbastanza specifiche che colgono quest’aspetto strutturale e imprescindibile della vita morale, al di là del fatto che sia rivedibile qualche dettaglio.

Dal canto suoi, invece, il Parere CNB rifiuta entrambi i punti sopra ricordati. Infatti, da una parte afferma che il criterio clinico è il solo adeguato e bastevole a informare le scelte circa chi curare o no, escludendo ogni fattore extra-clinico; e dall’altra insiste nell’affermare che tale criterio va applicato, senza automatismi o incasellamenti aprioristici, direttamente a ciascun paziente singolo nella sua situazione unica e irripetibile. Ciò significa escludere che ci siano norme specifiche o indicazioni concrete circa classi di casi, la cui individuazione comporterebbe appunto una qualche forma di apriorismo o automatismo. È vero che il criterio clinico al fine di ottenere “più vita o sopravvivenza” rimanda a competenze e prassi abbastanza delimitate che escludono alcune scelte e ne propongono altre, ma è anche vero che il concetto di “clinico” è estendibile a vari ambiti, e che il criterio è pur sempre ampio e generale, la cui applicazione risulta non facile all’agente morale ordinario. Il Parere CNB, poi, espressamente esclude la presenza di norme più specifiche che integrino il criterio clinico, e anzi richiede che il criterio sia applicato direttamente al caso singolo e irripetibile considerando la globalità della situazione propria del paziente, aspetto che suppone adesione alla logica del “caso per caso”. Mentre la Siaarti riconosce che la vita morale concreta richiede norme specifiche e propone raccomandazioni precise che consentono di controllare la adeguatezza delle scelte, il Parere CNB non considera quest’aspetto e mette in campo il solo (e generale) criterio clinico da applicare direttamente caso per caso alla situazione singola di ciascun paziente: al di là delle dichiarazioni di intenti, in pratica il Parere CNB viene a dire che la scelta al riguardo è quella fatta dal medico in “scienza e coscienza”, cioè non catalogabile in norme, sulla scorta della diretta applicazione del generale criterio clinico.

Ci sarà tempo e modo di approfondire questo secondo aspetto strutturale concernente la stessa impostazione concettuale del problema, ma mi pareva importante almeno segnalarlo. L’altro punto su cui intendo richiamare l’attenzione riguarda l’atteggiamento riscontrato nei confronti del Parere CNB, che è stato approvato con 25 voti a favore e col mio unico voto contrario. Al di là di questo, il punto più interessante da rilevare è che l’adeguatezza del solo criterio clinico non è mai stata messa in discussione e anzi è stata accolta come scontata e del tutto ovvia. La mia prospettiva diversa è stata ascoltata con rispetto, ma anche con aria un po’ sorpresa come a dire “Ma come fai a sostenere tesi così bizzarre, suvvia ?!?”. Così l’argomento da me avanzato per sostenere la presenza di fattori extra-clinici è stato lasciato cadere nel vuoto pneumatico e neanche considerato. Si è preferito sottolineare che “in Italia, fortunatamente, la situazione è diversa” da quella di altri paesi in cui, invece, è presente “una mentalità utilitaristica, per cui è bene che si lasci spazio ai più giovani, perché poi quello era il discrimine” (Assuntina Morresi, Blog “Provita e famiglia”, 17 aprile 2020). La presenza di un solo voto contrario starebbe a indicare che la maggioranza della classe medica e dell’opinione pubblica italiana respinge con sdegno l’approccio utilitarista e riafferma “il valore della persona umana è inteso in senso “assoluto” e cioè “sciolto” da qualunque criterio che miri a circoscriverlo e dunque a ridurlo, seguendo l’odiosissima logica della “dignità della vita” che altro non fa che buttare dalla rupe Tarpea quelli che sono considerati “inutili” nella società dello scarto” (“Blog Provita e famiglia”, 17 aprile).

In effetti, il Parere CNB è stato accolto con grande favore, quasi che quella data fosse una risposta fortemente attesa, cioè che fosse richiesta una rassicurazione collettiva del tipo: “Va tutto bene! Non preoccupatevi non è successo nulla di strano e non succederà nulla!”. Questo è il punto da mettere in luce e su cui riflettere, ossia l’uniformità di vedute diffusa sul tema. Mentre su altri temi bioetici come aborto, fecondazione assistita, eutanasia, ecc. c’è ormai grande differenza di posizioni, su questo aspetto della scelta tragica la situazione è diversa: qui non c’è contrapposizione paradigmatica e neanche si riesce a capire la posizione diversa, che è semplicemente messa da parte senza essere neanche presa in considerazione. È assurda e non c’è bisogno di perder tempo, non merita proprio!

È sorprendente vedere la amplissima convergenza di pensiero sul tema: il Parere CNB è in linea con le posizioni espresse dalla Fnomceo, dalla Pontificia Accademia per la Vita (30 marzo), dagli ambienti di “sinistra” (progressisti) che hanno approvato rimanendo in silenzio, e dalle organizzazioni di “destra” (tradizionaliste) che invece hanno esplicitamente plaudito. Tra queste il blog sopracitato dell’associazione “Provita e famiglia”, che nel marzo 2019 ha organizzato il discusso Congresso di Verona sulla famiglia, e la testata telematica La Nuova Bussola Quotidiana (18 aprile 2020), che ha sottolineato come le argomentazioni CNB “vogliano rispondere alle ormai famigerate” Raccomandazioni Siaarti, e ha spiegato che “il criterio clinico è giusto”, perché comporta l’applicazione del principio di efficacia e di proporzione “che è presente nel principio del duplice effetto”.

Il punto da rilevare è la solida e compatta koinè creatasi sul tema: mentre su altri temi di bioetica è ammesso (direi scontato) il pluralismo etico e la varietà di posizioni che sono alla base delle contrapposizioni paradigmatiche e a modi di vedere del tutto diversi, sul tema della scelta in condizioni eccezionali c’è un monolitismo di vedute che accomuna destra e sinistra. È come se tutti ragionassero ancora sulla scorta di un unico paradigma e non ce ne fossero altri, com’era ancora negli anni ’60 o inizi ’70 quando il solo parlare di “aborto” era visto come fortemente sconveniente e subito dismesso come “disdicevole disattenzione su cui sorvolare”, o com’era negli anni ’80 o inizi ’90 con il testamento biologico. Quasi allo stesso modo le Raccomandazioni Siaarti sono presentate quasi fossero un tentativo satanico teso a iniettare il losco approccio utilitarista nel sano e limpido spirito italico da sempre sarebbe refrattario a tale indirizzo.

È ovvio che il termine “utilitarismo” è usato dai critici in senso non-tecnico, ma in senso ampio per indicare ciò che è da rifiutare: qualcosa come “cattivismo” o similare. Tuttavia, l’aspetto da osservare riguarda la stratificazione del mondo morale: la vita morale presenta livelli diversi, e per alcuni di essi è ormai riconosciuto il pluralismo delle prospettive e la presenza di diversi paradigmi o diversi modi di pensare e di atteggiarsi. Sul suicidio medicalmente assistito il CNB non ha fatto altro che prendere atto del pluralismo di posizioni e si è limitato a descrivere le diverse prospettive, senza neanche pensare di poter raggiungere una posizione unitaria. Su altri livelli della vita morale, invece, vige ancora il paradigma unico, e il dissenso è a malapena tollerato: nel caso specifico è stato accolto in quanto le Raccomandazioni Siaarti sono state lette come un “grido di dolore” (scusabile), e il mio impegno teorico a sostenerle come un vezzo un po’ stravagante di tipo intellettuale (o intellettualoide).

Nell’editoriale del fascicolo 2-3/2019 (in uscita) sul trentennale della Consulta di Bioetica ho ricordato lo stupore con cui fu accolta la proposta di testamento biologico, tesi allora ritenuta assurda e incomprensibile. Eppure, ventisette anni dopo grazie alla Legge Lenzi (la 219/17) il testamento biologico ha ricevuto riconoscimento giuridico e oggi a molti appare istituto normale e apprezzabile. Sono quindi abituato a stare in minoranza, condizione che non è affatto equivalente a “avere torto”, ma che anzi spesso è indice di anticipazione dei tempi – com’è accaduto col testamento biologico o con la liceità della fecondazione assistita e tante altre controversie bioetiche.

È difficile fare previsioni circa ciò che capiterà sul tema della scelta, ma non è escluso che qualcosa di simile a quanto è accaduto sulle altre tematiche ricordate accada anche per la questione in esame. A sostegno di questo sta un’osservazione fatta da La Nuova Bussola Quotidiana, ossia che il principio di efficacia e di proporzione usato dal CNB è “presente nel principio del duplice effetto”: se fosse vero questo, allora avremmo una buona ragione per dire che il cambiamento previsto accada. Infatti, per secoli il doppio effetto è stato usato per ammorbidire le rigidità dell’etica della sacralità della vita, che diventavano indigeribili per la nuova sensibilità morale favorita dalle nuove tecniche. La nascita della bioetica, negli anni ’70-80 del secolo scorso, ha di fatto segnato la fine e l’abbandono del principio del duplice effetto, visto come una sorta di epiciclo ad hoc introdotto per tenere in piedi un paradigma che ormai faceva acqua da tutte le parti. Se fosse vera l’osservazione de La Nuova Bussola Quotidiana, allora dovremmo prendere atto che al livello di vita morale considerato, in controtendenza all’indirizzo generale, il principio del duplice effetto continua a mantenere un notevole appeal, tanto che l’applicazione di quel principio di efficacia e proporzionalità è largamente condivisa. Tuttavia, proprio perché si ha a che fare con un processo storico più generale, può darsi che, com’è già capitato in passato, anche questa sorta di controtendenza venga presto intaccata e che il baluardo si sgretoli come già è avvenuto per gli altri che parevano solidissimi. È per questo che diventa urgente riflettere sul tema, al fine di individuare le soluzioni giuste. Le Raccomandazioni Siaarti hanno aperto la strada, hanno l’impostazione giusta e si sono mosse con grande cautela e circospezione: il CNB avrebbe dovuto costruire su quella scia e andare oltre. Toccherà a altri farlo.

20 aprile 2020

 

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20 maggio 2020 – su Quotidiano Sanità, un lettera del dottor Emilio Pucci sostiene la posizione di minoranza del prof. Mori.

UNA DISCUSSIONE “TRASPARENTE” SUL TRIAGE IN EMERGENZA COVID

Gentile Direttore,
il parere maggioritario del CNB sul Covid-19, giustifica il solo criterio clinico alla base del triage. Peccato che è proprio questo criterio che è venuto meno se 13 colleghi di Bergamo scrivono “Older patients are not being resuscitated and die alone without appropriate palliative care” (1), per citare una delle tragiche esperienze.

Ha ragione Maurizio Mori che, in minoranza, sostiene: “Mosso più dall’intento di dare rassicurazioni, è come se il Parere negasse la realtà eccezionale verificatasi circa l’esigenza di fare scelte o triage.”

Il nucleo del problema morale (in qualsiasi contesto, campo di battaglia, incidente catastrofico, emergenza COVID-19) è quando il medico si trova contemporaneamente più persone da trattare con medesima possibilità di sopravvivere ed eguali indicazioni ad un trattamento appropriato/proporzionato ma questo è indisponibile (il caso di Tizio e Caio proposto da Mori).