IL COVID-19 E IL SENSO DEL TUTTO. TECNICA E TECNOLOGIA A CONFRONTO – di Fiorello Casi

Sono ormai tre mesi che l’attenzione del mondo  è catalizzata e concentrata sulla pandemia scatenata dal virus Covid-19. Il pericolo incombente riguardo alla salute o, per molti, alla vita, rimanda e in parte eclissa, per ora, i devastanti effetti economici, sociali e politici che questa situazione  provocherà in tutto il pianeta. Quindi sono oltre due mesi che in Italia e nel resto del mondo, almeno da quando i primi casi di contagio si sono manifestati che, sia sul versante dell’evoluzione del contagio, che su quello delle azioni di contrasto alla congiuntura economica depressiva si ammassano tentativi di interpretazione della realtà. Si raccolgono dati, si sviluppano modelli predittivi, si utilizzano sofisticatissimi calcoli statistici. (che personalmente apprezzo molto) e si comincia anche a parlare di Big data; se ne parla, francamente, in diverse occasioni mediatiche a sproposito e in altre, in modo non troppo pertinente; tuttavia questi episodi danno la cifra di come il termine Big data sia ormai associato all’idea comune di avanguardia tecnologica, di strumenti indispensabili per ingaggiare una lotta in parità con qualcosa che ci è ancora ignoto o alla realizzazione di stati di innovazione (stavo per scrivere progresso ma mi sono fermato in tempo) epocali. Insomma si è innescato un grande processo epistemologico riguardo il tramutarsi della diffusione del virus in pandemia e alla previsione circa l’evoluzione di quest’ultima. E ancora, l’attenzione ad una possibile conclusione di questo flagello che, inevitabilmente, ha dato una forte spallata al corso della storia. Per ora, di questo gigantesco  problema non se ne viene a capo.

Arrivo subito al punto: è chiaro che, per come è strutturato l’ordine delle cose, fino a quando non sarà disponibile un vaccino contro il Covid-19 non saremo mai più al sicuro e vivremo i nostri giorni, come individui, società e stati, in un clima di pre – allarme permanente; con tutte le conseguenze psicologiche, sociali, economiche e politiche che ne deriveranno; proprio come quelle che da circa due mesi ormai quasi tutto il mondo sperimenta. Tutto, ma proprio tutto, oggi, ci riporta ad una visione del nostro mondo e della nostra vita, in termini che ce ne mostrano la connotazione precaria, instabile e molto più fragile, compresa la nostra rinnovata consapevolezza al riguardo.

Nell’ambito dei possibili strumenti di contrasto alla diffusione del virus, che la tecnologia può fornirci in tempi ragionevoli, in rapporto con le necessità della nostra civiltà, ci sono, tra i tanti, piattaforme che forniscano i dati sui cittadini, la loro condizione di (possibili) infetti e la loro ubicazione e i loro spostamenti,  in modo da impedire, ad esempio, l’incrociarsi di possibili portatori di contagio da quelli con gli anticorpi già sviluppati. Oppure l’utilizzo di dati massivi dei cittadini, incrociandoli con altri grandi archivi, al fine di pervenire, tramite strumenti Big data, all’individuazione di modelli (patterns) che indichino possibili e inediti stati di attenzione. E altro ancora.

Questo complesso di eventi, circostanze e opportunità, uniti a necessità impellenti e improrogabili per dare delle risposte adeguate a questa enorme criticità, ha creato la condizione affinché venisse riesumato anche il tema della Privacy in ambito informatico. Quindi garantire e proteggere (ancora una volta) con l’anonimato i dati sensibili dei cittadini oggetto di ricerca. Salto a piè pari il dibattito e le argomentazioni circa la privacy e vengo al punto che ci interessa ora.

Considerazioni intorno al ruolo egemone della tecnologia: i Big data

Rendere anonimi i dati digitali significa eliminare dagli archivi tutti gli elementi di identificazione, come il nome, dati demografici, geografici e commerciali. In questo caso sarebbe possibile utilizzare i dati preservando il diritto alla privacy. Ma tutto ciò si rivela una falsa soluzione. L’anonimato viene garantito in presenza di modalità operative precedenti e legate ai metodi (Datawarehouse) di analisi precedenti all’avvento dei Big data. Infatti  i Big data, operando su quantità enormi ed eterogenee di dati sono, di fatto in grado di identificare chiunque, anche in presenza di una mancanza di dati diretti sulla sua identità. Esistono al prezzo di poche centinaia di dollari applicazioni in grado di stabilire il sesso, la posizione geografica ed altre caratteristiche sensibili, dal solo traffico personale di un utente su Facebook.

Già dal 2006 il New York Times era riuscito ad identificare i singoli individui da un archivio reso anonimo da America On Line (AOL) e messo a disposizione dei ricercatori, dichiarandone la completa garanzia di anonimato. Nel caso specifico, esperti di Big data cooptati dal quotidiano, erano riusciti, operando sui presunti archivi resi anonimi da AOL, ad individuare una signora di sessantadue anni che viveva nella cittadina di Lilburn, in Virginia. La signora Thelma Arnold confermò ai cronisti che i dati ricavati dagli esperti del giornale riguardavano tutta la sua vita privata. Questa notizia fece perdere il posto al responsabile dei Sistemi Informativi di AOL ma sul fronte della soluzione del problema non si sono fatti passi avanti. Casi analoghi si sono verificati con altri fornitori di prodotti o servizi che sottoponendo i loro presunti archivi de-personalizzati hanno visto puntualmente identificati singoli utenti operando su dati apparentemente anonimi.

Il problema concreto che ci si trova ad affrontare in questa fase dello sviluppo della tecnologia dei Big data riguarda il fatto che essi, per loro stessa natura, rendono praticamente impossibile rendere anonimi i dati personali; se ci sono quantità di dati sufficienti l’anonimato è impossibile. Un sistema robusto di protezione dei dati resta quello, ormai storico, che consiste di renderne elevatissimo il costo (monetario) per l’attività di spionaggio e violazione degli archivi. Elevare gli standard e i livelli di addestramento e specializzazione delle persone dedite ad espugnare gli archivi protetti, i costi degli equipaggiamenti hardware e software utilizzati, le classi di server necessari e le tipologie sofisticatissime di apparati di connessione di rete e ancora altri software dedicati; tutto ciò aumentando sistematicamente i livelli di qualità rende possibile una grossa e importante selezione nella platea dei “ladri di dati” e, quindi,  di protezione di data base sensibili.

Il Senso del Tutto

Un tema centrale e ormai ben delineato, che distingue e caratterizza questa fase storica è la rapida transizione da un mondo che, nella sua parte avanzata, è altamente tecnologizzato ad uno basato sempre più sulla centralità della digitalizzazione e dei dati. Una transizione di carattere epocale, una transizione verso una cultura “datocentrica”.

E i dati hanno una propria morale. Un mondo nel quale la verità dei dati fonda una realtà propria, deve fondare una propria disciplina morale. Provvisoriamente possiamo indicarla con “Datizzazione”. Questa potrebbe divenire una nuova disciplina che potrà richiederà lo sviluppo di un’etica simmetrica e personale nell’era del WEB, della tecnologia avanzata. I Big data, in questo contesto, non sono soltanto strumenti complessi portatori di ulteriori valenze negative dovute al fatto di essere portatori di nuove complessità, legate, anche, all’idea di controllo totale e innaturale freddezza analitica. Ma possono essere molto produttivi e sorprendere per le opportunità che offrono nella realizzazione di progetti profondamente umani. Va sottolineato che comunque già oggi, quando stiamo ipotizzando, con il termine provvisorio di datizzazione, il futuro prossimo delle discipline del senso, la centralità dei dati, in modo sottile, si è stabilmente insinuata nella vita di tutti e ne presidia postazioni interpretative. Anche la politica ha adottato queste tecnologie per farne un uso molto importante quali strumenti interpretativi e di giustificazione della propria azione. Un’ultima ma non meno centrale osservazione a questo riguardo; esiste ormai una dittatura dei dati che, sia a livello dei singoli individui, sia di organizzazioni complesse, a nostro parere, è dettata anche dalla paura. Difatti il linguaggio, la sostituzione di oggetti con simboli, può presentare un inconveniente per gli uomini, come le vicende della sua lunga storia hanno dimostrato più volte. Epitteto sosteneva che “gli uomini sono turbati e allarmati non dalle cose ma dalle impressioni che hanno delle cose”; e il linguaggio ha liberato il potere dell’immaginazione, e con essa arrivano anche le voci, il panico, la paura. La paura è probabilmente l’emozione umana più forte; infatti chi si sveglierebbe nel cuore della notte perché si sente felice? Meglio i dati e gli algoritmi, anche e soprattutto per prendere decisioni critiche; sia nei sistemi bellici, in quelli di sicurezza e soccorso quanto nelle decisioni di borsa.

Nel caso dell’agire politico poi, ricorrere ai dati, alle analisi ed alle proiezioni che ne derivano, tende a dare una connotazione di scientificità sopra le parti, conferisce alle tesi sostenute un’aura di incontrovertibilità che, all’apparenza, solo l’autorevolezza e la potenza dei numeri reca con se.

Ma è opportuno sottolineare ancora che la Datizzazione, intesa come disciplina, si riferisce comunque a un mondo del senso totale.

In un mondo occupato totalmente dalla datizzazione la realtà sarà completamente tradotta in dati. Tutto viene misurato e registrato, giudicato e analizzato, strutturato e ottimizzato in tempo reale. Tutti i rapporti di questo mondo, tutte le connessioni – organiche, tecniche, economiche – potranno essere chiare e visibili. Di questo saranno responsabili i superserver che già oggi sono i protagonisti di elaborazioni superveloci che spulciano con velocità inimmaginabile quantità colossali (e sempre in crescita) di dati secondo riferimenti e modelli.

E la datizzazione del mondo in parte è già realtà: ad esempio nel marketing o nell’industria della finanza, dove la prospettiva di un profitto rapido ha accelerato la sviluppo tecnologico più velocemente rispetto ad altri ambiti. La vita nel mondo “datizzato” sarà come un’enorme partita a scacchi: tutte le varianti e sub-varianti saranno calcolabili e perciò potrebbero essere rese prioritarie. E di ognuna di questa varianti potrà essere previsto precisamente in quante mosse si arriverà all’obiettivo prefissato, allo “scacco matto”. Ogni mossa è decisiva e decisa, senza ripensamenti o dubbi.

Quindi la valutazione dei dati ha un criterio di senso. E il criterio di senso di questo mondo è la qualità delle nostre decisioni. E le decisioni in un mondo “datizzato” sono giustificate razionalmente. Non ci sono né sentimenti spontanei né intuizioni a fondamento per le nostre decisioni. Ma questo non significa che questo mondo non conoscerebbe alcuna libertà. La libertà umana esisterà sempre; nel caso della datizzazione; fin dall’inizio una decisione sbagliata sarebbe riconosciuta come una decisione sbagliata.

A  questo punto è lecito domandarsi: vogliamo veramente un simile mondo? Un conto è fantasticare su mirabolanti innovazioni tecnologiche (per parlare di progressi mi sembra, quantomeno metodologicamente prematuro) ma pensiamo veramente di essere pronti, di esserlo mai ? Una risposta immediata è: no, a pelle, prima ancora che col pensiero, non ci garba proprio affidarci ad una macchina che ci dica ciò che è vero e ciò che non lo è. Infatti estremizzando (ma non poi molto), in fondo significherebbe che l’analisi della registrazione dei singoli dati-genoma di una persona, in combinazione con la valutazione di tutte le registrazioni rilevanti degli altri dati inerenti allo stesso soggetto, potrebbe, nella stragrande maggioranza dei casi predire la causa della sua morte e la data puntuale. La datizzazione del mondo porterebbe a una vita che con il suo inizio conosce già la sua fine. Gli esseri umani sono preparati, siamo preparati o saremo (mai) preparati per questo senso totale?

Un’altra risposta plausibile potrebbe essere che, forse, il nostro desiderio di conoscenza, la nostra curiosità innata è molto forte. E quindi poiché la Datizzazione offre la concreta possibilità (pensiamo al sodalizio tra IoT, Big data, 5G, 6G…, Data mining, Machine e Deep learning) di oltrepassare molti confini fisici e computazionali, coi quali compiere un’analisi sistematica dei dati e di trasformarli in un mondo migliore. In un tale mondo è possibile prendere decisioni migliori, guarire da malattie incurabili, essere imprenditori di successo e creare posti di lavoro stabili, favorire essere umani specifici, forse addirittura prevedere il futuro e infine vincere la morte. Provocatoriamente, la vecchiaia e la morte, considerate da un punto di vista datizzato, sarebbero una concatenazione di decisioni sbagliate in un ambiente di dati ultra-complesso.

La datizzazione nella sua componente filosofica pone anche implicazioni morali ed etiche a questo procedimento; infatti in un mondo del “sapere assoluto”, si potrebbero prendere decisioni molto velocemente le quali potrebbero confliggere con le leggi dell’umanità e della dignità. Ad esempio, la difesa della vita embrionale è un ambito di un conflitto identificabile in una morale asincrona. Ma avere strumenti molto affidabili che consentano, ad esempio di conoscere dell’handicap di un bambino non ancora nato, permette di fornire materiale informativo supplementare affinché una gravidanza non si debba per forza interrompere. Queste conoscenze potrebbero venire utilizzate, ad esempio, per preparare se stessi e il proprio ambiente meglio e più a lungo a una vita con un bambino portatore di un handicap.

Questo significa che la datizzazione concorrendo alla creazione di sapere ulteriore non codifica a priori decisioni eticamente problematiche, ma può portare ad un effetto contrario, ovvero a condurre una vita aperta e coscienziosa in una situazione complessa al fine di preparare sé e il proprio ambiente a mutamenti di scenario preventivamente prospettati.

La datizzazione potrebbe allora  favorire l’intelligenza personale e sociale del singolo.

Ma gli esseri umani sono preparati per questo senso totale? Oggi la società  sta prendendo solo i primi contatti con questa (ancora) potenziale forma della trasparenza e perché la trasparenza, in parte già  esistente, viene collegata ad una teoria dell’individuo che discende da un’epoca pre-digitale. Per questa ragione sarà necessaria l’elaborazione di una nuova disciplina teorica che aiuti a comprendere e inquadrare le premesse e le conseguenze di una struttura tecnica ma soprattutto tecnologica, che si incammini sulla via della più vasta accettazione di ciò che è già tecnologicamente possibile e che determina e caratterizza segmenti della nostra vita privata e sociale.

La datizzazione così come ho tentato di descrivere è una disciplina che è radicata in modo uguale nella logica, nell’ontologia e nell’etica e alla quale è legittimo porre anche domande metafisiche («Cos’è il senso?», «Cos’è l’assoluto?», «Cos’è l’obiettività»). È possibile dunque anche un’ imminente rivoluzione della filosofia accademica. Il canone delle discipline filosofiche, fino a ora, prodotto e utilizzato è interpretato per la ricerca nella realtà pre-digitale e il riflesso su di essa. Ma la nuova realtà digitale , che – come abbiamo già sottolineato – si profila all’orizzonte, che si estende in tutti gli ambiti della vita, è possibile che poco si adatti a buona parte  della filosofia tradizionale. È necessario cominciare ad immaginare un approccio nuovo, un vero e proprio cambiamento di paradigma, più vasto, genuino e che non venga ricondotto a quello tardo-tecnologico attuale, condizionato per sua larga parte ancora dai modelli degli “studi tecnici di fattibilità”, dai mega progetti e dall’egemonia della cultura economico finanziaria tardo capitalistica. Ma che sia nelle condizioni e nella possibilità di cogliere il potenziale etico e metafisico del cambiamento.

Il fondamento tecnico della datizzazione, per ora, prende il nome di un vasto arcipelago di applicazioni – oggi indicati con il termine algoritmi -, devices, tecniche, tecnologie, denominato, già da alcuni anni, Big data; un concetto che descrive  una rivoluzione tecnica copernicana nella raccolta, nello stoccaggio e nell’elaborazione dei dati. Ormai è noto a tutti che oggi siamo nella condizione di raccogliere, salvare e elaborare classi, quantità e qualità di dati di dimensioni gigantesche rispetto al passato. E tutto ciò accade ormai con ritmo quotidiano con rapidità enorme e inimmaginabile. IoT, server e applicazioni web creano flussi di dati che confluiscono in centri di calcolo.

Gli scienziati, seguendo alcuni modelli, hanno trovato il modo di analizzare velocemente enormi quantità di dati mediante metodi statistici di analisi. Ma i modelli da soli non rappresentano un sapere. Il “sapere” nasce soltanto tramite un cambiamento della realtà. Il “sapere” nasce soltanto nel momento in cui il modello che genera l’analisi dei dati, che vengono reciprocamente confrontati, produce una nuova decisione che conduce a una nuova realtà. Se si considera l’insieme degli ambiti di impiego dell’analisi dei dati in combinazione con la possibilità di migliorare stabilmente il loro valore, allora emerge la prospettiva di una nuova obiettività e con ciò una nuova forma di realtà. La Datizzazione è candidata a diventare la scienza che si occuperà della nascita di questa nuova realtà, delle sue forme e delle sue condizioni.

Basti pensare alla gestione di quantità di dati impossibili da abbracciare dalla mente umana e la capacità di individuare dei modelli di correlazione tra essi (patterns) e le possibilità che una tale attività potrebbe offrire a tante discipline e ricerche oggi impossibili con i metodi classici di ricerca. Per esempio i flussi di movimento dei clienti all’interno di un grande magazzino incrociati con dati storici relativi al calendario civile, la stagionalità, il clima, ecc… Attività realizzate e che hanno portato a importanti miglioramenti delle performances, dai ricavi, al miglioramento della gestione dei magazzini, alla riduzione delle code alle casse.

Questo esempio è naturalmente triviale poiché rimanda ad una formulazione di una domanda esistenziale. Ma con i Big data vengono estratti da un’enorme quantità di dati anche modelli veramente importanti. Per esempio si possono scoprire determinate terapie di successo che, tuttavia, richiedono un tempo più lungo, in virtù di severi protocolli, di applicazione medica. Inoltre ciò è dovuto al fatto che esistono anche delle ragioni bioetiche in quanto ogni cambio di terapia non può e non deve venire completato immediatamente.

E il corpo umano, in virtù della sua processualità iper-complessa, è una delle sedi naturali d’applicazione dell’analisi dei dati resa possibile dal computer. Esiste quindi la fondata speranza che la medicina un giorno, in un contesto tecnologico datizzato, soltanto tramite il riconoscimento automatico di un campione, arrivi alla traccia della causa di molte malattie. Questo è e sarà ancora più possibile con la capacità delle macchine di eseguire Il calcolo di tutti i possibili rapporti e correlazioni che accadano, in questo caso, nel corpo umano, quando ciò non è più alla portata del solo cervello umano. Ma i soli modelli non sono ancora una forma di conoscenza. È necessario uno sguardo medico in cui i risultati di calcolo del computer si riconoscono con modelli di senso. Nel mondo dei dati dunque la macchina non sostituisce l’uomo, ma coopera con lui.

Morale provvisoria.

Ma oggi siamo ancora intenti a riflettere su ciò che è buono o meno, o non lo è affatto, in un mondo sempre più dominato da azioni esercitate e potenziate attraverso gli strumenti tecnologici.

Conclusione

Abbiamo fatto una breve e parziale ricognizione sulla nostra relazione con gli strumenti tecnologici e con le tecniche che ci servono per utilizzarli. Il nostro interesse non è stato quello di indagare su questi strumenti e queste tecniche (ci pensano già in molti e più autorevoli), considerati nel loro sviluppo sempre più autonomo. Anche se dei riferimenti ad alcuni apparati e strumenti sono necessari.

E qui arriviamo al confronto tra Tecnica e Tecnologia, che è il centro di questa riflessione.

C’è ancora confusione sui due termini, non solo nella trattazione storica ma anche in quella filosofica. Come in numerose lingue oltre alla nostra è ben presente la possibilità di distinguere fra queste nozioni usando parole  diverse, sebbene aventi entrambe come radice il termine greco TECHNE. Invece, ancora oggi, Tecnica e Tecnologia, spesso, sono trattati come sinonimi, non sempre in maniera giustificata. Aggiungo che anche nel greco antico, d’altronde, è attestata la presenza sia di TECHNE che di TECNOLOGIA, sebbene in misura diversa.

TECHNE, come ci insegnano Platone e Aristotele è un termine molto usato e significa in generale la «Tecnica», «l’arte», «l’abilità» possedute e messe in opera dall’artigiano. È all’attività dell’artigiano che i vari significati di Techne prevalentemente si collegano. In entrambe le accezioni la TECHNE è presentata in contrapposizione alla PHYSYS, alla natura, a ciò che si sviluppa spontaneamente. La TECHNE incide sulla PHYSYS, la piega a scopi  che non sono suoi propri e come nel caso di Prometeo (colui che ruba il fuoco agli dei), è destinata a far pagare a chi  se ne fa promotore questa violazione del corso naturale, che pure tanti benefici procura.

La TECHNE è quindi qualcosa che compete all’essere umano. Nella molteplicità  dei suoi significati il termine indica soprattutto l’attitudine a compiere qualcosa e la regola per realizzarla in maniera professionale.

TECHNOLOGIA compare, invece, nel greco antico, meno di frequente ed è usato in un’accezione molto particolare. Rimanda nello specifico all’Arte Retorica, alla sua struttura e alle regole che consentono di svilupparla, così come, pure, ai  SOFISMI e ai cavilli che possono essere escogitati per rendere più efficace una determinata esposizione.

Il verbo “TECHNOLOGEO” è attestato anche nel primo libro della Retorica di Aristotele, dove indica l’organizzazione di un discorso secondo regole, svolto soprattutto al cospetto di un tribunale.

In questo caso si fa riferimento alle Tecniche del Logos, del discorso, alla struttura di esso e agli espedienti che servono per adattare tale struttura nel modo migliore ai vari contesti.

Oggi Tecnica e Tecnologia sono usati molto spesso come sinonimi. La causa di questa identificazione deriva dal fatto che i due termini esprimono processi strettamente intrecciati fra loro.

Questo aspetto è amplificato oggi perché, rispetto al passato e all’antichità, sono cambiati il senso e la portata della Tecnica, e perché, soprattutto, il temine Tecnologia si è svincolato dallo specifico legame con l’arte retorica ed ha conosciuto una sintomatica estensione, favorita dai molti significati che può assumere nella lingua  greca il termine LOGOS. Ecco il motivo per cui, essendo mutato l’ambito di riferimento di entrambi i vocaboli, si è verificata anche una più ampia divaricazione dei loro significati.

Quindi concettualmente la Tecnica, specificamente intesa, rimanda anche oggi in primo luogo a un’attitudine che è propria dell’essere umano, e indica quella capacità di CONOSCERE e AGIRE che ci caratterizza. Quindi parlare di Tecnica significa richiamare l’abilità che serve a ciascuno per realizzare qualcosa e porre l’accento sul SAPERE PRATICO che guida la realizzazione. Ma rispetto al mondo antico, tale abilità e tale capacità d’interagire con determinati strumenti  per realizzare prodotti particolari, hanno subito un profondo cambiamento. Questo  cambiamento è stato dettato dalle mutate condizioni e dalle forme attraverso cui l’attività tecnica trova oggi la propria realizzazione: si è trasformato l’ambito della Tecnologia. Oggi in maniera più generale rispetto all’antica Grecia, la nozione di Tecnologia si riferisce in particolar modo all’insieme degli strumenti usati per ottenere certi risultati e alla logica del loro funzionamento, a differenza dell’originario contesto dell’arte retorica. E come gli strumenti tecnologici sono considerati come un insieme in sé organizzato e interconnesso, con il quale interagiamo e a cui in buona misura, proprio per utilizzarlo, ci dobbiamo adattare. Rispetto al termine Tecnica (capacità e abilità nell’uso di particolari dispositivi) il vocabolo Tecnologia allude dunque al complesso di questi dispositivi e alla loro interna strutturazione. Mentre Logos, nello specifico, rinvia alla razionalità e alla complessità di quel sistema di strumenti con cui l’agire tecnico ha a che fare.

Possiamo chiarire la differenza concettuale tra Tecnica e Tecnologia  riassumendo: La Tecnica si riferisce in primo luogo alla sfera dei comportamenti umani. E richiede di essere approfondita soprattutto da un punto di vista antropologico e, più ancora, richiede immediatamente una trattazione sul piano etico. Mentre la Tecnologia riguarda più propriamente la dimensione degli strumenti e degli apparati con cui questi comportamenti interagiscono. La tecnologia, nella misura in cui individua il sistema degli apparati con i quali abbiamo a che fare, sembra invece resistere a un approccio etico.

La tecnologia sfuggirebbe all’approccio etico se con etica si  intende ciò che concerne l’ambito delle azioni umane e la riflessione che su di esso può venir esercitata, proprio per la  sua specifica tendenza alla autonomia e all’autoregolamentazione. E nel caso dell’autonomia e della auto regolamentazione la questione da affrontare da un punto di vista etico sarebbe legata non solo ad una complessiva valutazione  della dimensione tecnologica ma soprattutto alla ricerca di modi buoni di vivere in relazione a essa e all’interno di essa .

In questo caso Etica significherebbe Etica della relazione con l’ambito tecnologico. E questa relazione non si risolverebbe però nell’acquisizione di specifiche competenze tecniche, finalizzate a sfruttare nel modo migliore ciò che la Tecnologia offre ma riguarderebbe in particolare una riflessione e una messa in opera di comportamenti che vanno al di là di questa dimensione puramente pragmatica.

Questo aspetto è centrale riguardo all’obiettivo di ragionare intorno all’Etica delle nuove Tecnologie. E dagli esempi fatti pare che i due vocaboli «Tecnica» e «Tecnologia», abbiano invertito i loro riferimenti semantici: pur sempre all’interno della medesima relazione – che è appunto quello che deve essere ancora approfondito: Tra agire umano e l’insieme dei meccanismi e delle procedure che mirano alla autoregolamentazione.

Stiamo aspettando l’annuncio della realizzazione del vaccino risolutore della pandemia, che minaccia il nostro mondo, le nostre vite e la nostra storia. E che dovrà essere fornito dal nostro apparato tecnologico; tuttavia ciò che ci consentirà di sopravvivere durante l’attesa del vaccino (forse) risolutore, lo dobbiamo esclusivamente alla quarantena; una tecnica di duemila anni fa.