Il caso di Gloria e il diritto all’autodeterminazione nel fine vita – di Mario Riccio

Sono passati ormai quasi 17 anni dalla morte di Piergiorgio Welby. Al tempo alcuni – anche fra i più autorevoli giuristi e filosofi – ponevano dubbi sul diritto o sulla eticità della semplice interruzione di terapia, una volta iniziata.
Siamo adesso al secondo caso di assistenza al suicidio in Italia. I fatti intercorsi in quasi venti anni (casi Englaro, Piludu, Dj Fabo ed altri) sono sicuramente noti a chi legge queste riflessioni.
Ma ci sono almeno due motivi per affermare che il caso di Gloria (nome di fantasia) è ancor più importante del primo caso, cioè quello del giugno 2022 di Mario/Federico, anche questo sostenuto dalla Associazione Coscioni.
Il primo è che la struttura sanitaria di riferimento, l’ospedale di Treviso ove risiedeva Gloria, incaricata di verificare la sussistenza dei criteri indicati dalla nota sentenza della Corte costituzionale sul caso Dj Fabo/Cappato, ha riconosciuto anche le terapie oncologiche assunte da Gloria quali forme di sostegno vitale. Finora questo criterio sembrava limitato solo a quelle terapie più strettamente intese come salvavita, quali ad esempio la ventilazione (caso Welby) o la nutrizione (caso Englaro).

Questo elemento è molto importante, stante che il 70% dei richiedenti la morte medicalmente assistita risultano essere affetti da patologie tumorali. Pertanto questa decisione permette di estendere la pratica dell’assistenza al suicidio nel nostro paese.
Il secondo elemento di novità è costituito dal fatto che lo stesso ospedale di Treviso ha fornito gratuitamente a Gloria i mezzi materiali (strumentazione e farmaci) per praticare il suicidio. Questa è una interpretazione della sentenza – per alcuni osservatori errata, per altri doverosa – che segna l’ulteriore presenza del sistema sanitario nella pratica del suicidio assistito.
L’ospedale di Treviso non ha trovato disponibilità del personale sanitario. Ma qui si introduce il delicato tema dell’obiezione di coscienza, che chi scrive riconosce comunque come legittimo in materia sanitaria, nonostante il sottoscritto sia il medico che ha praticato l’assistenza a Gloria nella sua decisione di uccidersi.

Però la questione adesso risulta più squisitamente politica. La sentenza Dj Fabo/Cappato ha reso non punibile l’assistenza al suicidio, pur con molti limiti, ed ha invitato il legislatore a provvedere alla materia in questione. Come sappiamo il precedente Parlamento ha di fatto ignorato, come ormai è prassi, l’autorevole sollecitazione.
Oggi il rischio è che l’attuale governo potrebbe voler mettere mano nella materia con un esito che andrebbe a ridurre ancor più i già ridotti spazi di manovra. A ciò si aggiunga che a breve saranno nominati dallo stesso parlamento più di un terzo di nuovi giudici costituzionali. Così da risultare dagli esiti incerti anche un eventuale ricorso alla stessa Consulta.
In definitiva, il diritto all’autodeterminazione nel fine vita, pur con alcuni limiti faticosamente conquistati in questi anni, è attualmente in pericolo. Ricordo le parole di Gloria poco prima che azionasse il morsetto che le ha permesso di somministrarsi il farmaco che l’ha condotta alla morte : “la vita è bella se si è liberi fino alla fine”.
Purtroppo il referendum sull’eutanasia non è stato al tempo ammesso, con motivazioni che non hanno convinto pienamente. Mentre è evidente che l’attuale governo ha deciso che la lotta ai diritti (lavorativi, sanitari, riproduttivi, sulla materia del fine vita, sugli orientamenti sessuali) diventi un suo tema identitario, in coerenza peraltro con quanto affermato in campagna elettorale. L’elettorato spagnolo ha probabilmente imparato la lezione dall’Italia ed anche per questo ha fermato la corsa di Vox alle recenti elezioni.

Mario Riccio, medico, Consulta di Bioetica

 

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