BIG DATA BIOECONOMIA E BIOETICA – di Fiorello Casi

Un settore emblematico di quanto emerso e affrontato fino a ora, e in modo particolare i mutamenti sociali causati dall’emersione delle nuove tecnologie, in particolare i Big Data, può senza dubbio essere quello che, genericamente, definiamo della salute. Cittadini, aziende farmaceutiche, centri di ricerca e di sperimentazione pubblici e privati, le Corporation dei farmaci e quelle degli apparati elettromedicali, governi e istituzioni della salute pubblica, tutti sono coinvolti in questo processo di interazione nell’ambito di un nuovo contesto delineato dalla nuova prospettiva tecnologica.

Già da alcuni anni la necessità di ripensare un modello economico più adeguato alla salvaguardia delle risorse ambientali ha indotto gli stati, e fra essi la U.E. a sviluppare il concetto, seguito da azioni concrete, di bioeconomia. Il principio alla base della bioeconomia è quello di promuovere un’economia basata sull’utilizzazione sostenibile di risorse naturali rinnovabili e sulla loro trasformazione in beni e servizi, sia finali che intermedi. Un aspetto non secondario, alla luce di questa definizione, concerne il fatto che la bioeconomia comprende, quindi, non solo i settori tradizionali come l’agricoltura, la pesca, l’acquacoltura e la selvicoltura, ma anche e sempre più settori economici d’avanguardia, come quelli delle biotecnologie, della biomedicina, dei nuovi farmaci e delle bioenergie. Nel complesso, nel 2009 la bioeconomia in Europa totalizzava un valore aggiunto di oltre 1.000 miliardi di euro, un giro d’affari di oltre 2.000 miliardi di euro e circa 21,5 milioni di addetti.  Le prospettive di un’ulteriore crescita sono ancora maggiori; secondo uno studio dell’Ocse (Oecd, 2009) si stima che nel 2030 nei paesi sviluppati le biotecnologie rappresenteranno il 35% dei prodotti chimici e industriali, l’80% dei prodotti farmaceutici e per la diagnostica e il 50% dei prodotti agricoli; delle cifre molto importanti.

La bioeconomia, grazie al suo enorme potenziale innovativo, può costituire una risposta importante a gran parte delle sfide globali che dovremo affrontare nei prossimi anni, dal risanamento ambientale, ai problemi del cambiamento climatico, all’invenzione di nuovi medicinali, alla necessità di sfamare un mondo in cui i fabbisogni alimentari aumenteranno del 70% da qui al 2050.

Sebbene la bioeconomia non possa essere considerata la risposta a tutti i problemi globali, certamente dispone di alcune potenzialità e prerogative per contribuire concretamente alla sostenibilità ambientale ed economica delle nostre società. Tuttavia, come si è visto, le soluzioni tecnologiche da sole non sono per nulla una garanzia di successo. Le sfide globali appena citate richiedono un profondo cambiamento sia dell’assetto politico, che della ricerca. Riguardo al primo punto, le sfide globali richiedono il passaggio da politiche e meccanismi di governance settoriali a un approccio molto più ampio e integrato (EuropaBio, 2011). Da questo punto di vista, il carattere “trasversale” della bioeconomia offre un’opportunità unica per affrontare in maniera onnicomprensiva e sistemica le sfide sociali interconnesse. E in questa attività trasversale è accompagnata da nuove tecnologie, sostanzialmente nate nello stesso periodo, come i Big Data. Non a caso questo approccio è presente all’interno della strategia “Europe 2020” (European Commission, 2010), che afferma esplicitamente che la creazione di una bioeconomia entro il 2020 rappresenta un fattore chiave per la creazione di un’economia basata sulla conoscenza e l’innovazione. Lo stesso fanno “Horizon 2020” (European Commission, 2011), il nuovo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico dell’UE per il periodo 2014-2020, e la recente comunicazione della Commissione Europea su “L’innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa” (European Commission, 2012a). L’obiettivo comune che sta dietro è quello di promuovere la bioeconomia come strumento per favorire la crescita e la creazione di occupazione.

Un’attività che è iniziata di pari passo è stata quella di riorganizzare il sistema della ricerca e della formazione universitaria. Ciò sta già avvenendo a diversi livelli, come mostrato, per esempio, dal lancio del programma Horizon 2020, dalla nascita di iniziative di cooperazione nel campo della ricerca a livello internazionale (come il gruppo di lavoro tra EU e America Latina sulla bioeconomia), la nascita di istituti/dipartimenti che hanno per oggetto la bioeconomia (come il Bioeconomy Institute presso l’Iowa State University ) o reti di istituzioni e ricercatori (come il Bioeconomy Network presso la Michigan State University,  il Bioeconomy Science Center presso l’Università di Aachen, e il Consorzio Internazionale per la Ricerca Applicata sulla Bioeconomia – Icabr)  o, ancora, programmi di formazione post-laurea (come il Master in gestione della bioeconomia, innovazione e governance presso l’Università di Edimburgo).Tutte queste iniziative hanno in comune l’idea per la quale il mondo della ricerca e dell’istruzione superiore devono essere riorientate verso un modello più inclusivo basato sulla “convergenza” di diverse discipline, riconoscendo che conoscenze più approfondite a livello settoriale svolgono un ruolo cruciale nella soluzione di problemi complessi come quelli sopra citati. Ma la vera sinergia si ottiene rendendo più interdisciplinare la ricerca, la condivisione tramite i networks, dei dati e soprattutto la raccolta di informazioni tramite piattaforme basate sulla tecnologia dei Big Data.

E’ da qui che bisogna partire per una ricognizione su di un settore articolato e complesso come quello della salute. Infatti, la bioeconomia globale si sta orientando sempre più verso l’adozione di un paradigma legato al concetto di innovazione e conoscenza collettiva.

Le dimensioni della ricerca sono ormai planetarie, i raggruppamenti hanno le dimensioni di veri e propri consorzi, sia di scienza, basati sui dati, illustrati dal neologismo di Big Science, sia di elaborazioni di carattere etico a esse afferenti, descritte come la Big Ethics.

Gruppi o networks di queste dimensioni possono determinare e guidare dei cambiamenti notevoli nel progresso e nelle nuove attitudini verso rinnovati modi di agire nel mondo. Come in parte già visto, esiste anche la minaccia che alcuni aspetti legati al nuovo paradigma in via di propagazione, possano generare situazioni difficili, in parte inedite, per quanto riguarda i diritti umani e di lacune da colmare nel diritto positivo e nella bioetica. I Big Data si presentano sempre con una duplice facciata, quindi la loro costante crescita e penetrazione, l’utilizzo sempre più articolato e completo nel settore sanitario, sia pubblico ma in modo preferenziale, privato, deve essere sempre interpretata alla luce della loro ambiguità e ambivalenza. Difatti, a esempio, lo sfruttamento commerciale dei dati sanitari per i prodotti basati sulla ricerca è un fattore fondamentale nella bioeconomia ma è altrettanto un motivo di diffidenza e attenzione da parte degli utenti e dei cittadini di tutto il mondo. Questa tensione tende ad aggravarsi proprio con l’espansione e interconnessione, a livello globale, dei networks scientifici con quelli etici. Ma si sta anche sviluppando una sorta di conformismo epistemologico, probabilmente causato dalla eccessiva esposizione dei networks scientifici e una minore indipendenza critica; ciò lo si può individuare con maggiore nitidezza nell’ambito dei networks etici. Infatti, in questo caso, la tensione tra i poli, scientifico ed etico, anziché subire una torsione conflittuale, tende a una posizione intermedia, che non sfavorisca nessuno degli attori dell’innovazione. Una posizione equilibrata, in ogni caso, riveste una notevole importanza per quanto concerne un nuovo modo di connettere le comunità scientifiche a quelle con sensibilità a valori etici. Ma quando il tema è quello delle violazioni dei diritti umani, la sensibilizzazione dei networks etici è fondamentale per vigilare e promuovere un equilibrio tra le due sfere di pensiero. Bisogna in ogni caso, interrogarsi sul ruolo che giocano il diritto, i diritti umani e la bioetica, sia come settori separati, sia in sinergia tra loro. E come devono ripensarsi nell’affrontare molti aspetti, legati a questo nuovo scenario, probabilmente anche inediti, all’inizio del terzo millennio? La storia ci insegna che, molto spesso, per domande nuove valgono risposte antiche. Quindi una soluzione potrebbe essere quella di valutare un’evoluzione delle norme e delle leggi senza perdere mai di vista le implicazioni etiche delle scelte e delle azioni intraprese. La dispersione geografica dei protagonisti, unita al numero di voci che si levano nell’incessante dibattito tra nuove realizzazioni tecnologiche e valori etici, aumenta il rumore di fondo dell’informazione e rende complicata una comunicazione efficace e che disorienta il grande pubblico su molti temi sensibili; è in questo senso che diversi autori sostengono essere l’affidabilità la risposta adeguata ai nuovi scenari che ci si aprono dinanzi. Questo può essere realizzato facendo evolvere in modo nuovo il modello formato da componenti etici e legali, che si ponga come garanzia per il diritto, i diritti umani e la bioetica. Un tale atteggiamento potrebbe favorire e promuovere un clima culturale di fiducia tra la ricerca scientifica e le sue esigenze e l’attenzione e il rispetto dei valori bioetici; evitando pericolose compromissioni o sovrapposizioni dovute a speculazioni a fini di lucro o di egemonia economica; tutti aspetti che oggi, almeno per la grande parte delle persone, non è una caratteristica scontata.

La promozione di un clima di fiducia reciproca, anche se complesso come obiettivo da raggiungere, si presenta probabilmente come l’unico per garantire lo sviluppo scientifico e le garanzie etiche, in special modo per quanto riguarda l’accedere in maniera illuminata ai Big Data sanitari, e a tutti i dati utili per il beneficio della salute e del benessere pubblico e privato.

Negli ultimi anni si è assistito a un notevole incremento dell’attenzione a livello globale sui temi riguardanti la salute e il tentativo di proporne una conduzione politica anche sovra nazionale. Il dibattito su temi quali la salute, i rapporti tra ricerca scientifica, bioetica e le implicazioni riguardanti i diritti umani è stato posto al centro di molte iniziative nazionali e sovranazionali.

A livello mondiale l’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015 ha approvato, in seduta plenaria, il documento riguardante gli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2015-2018. Le aree tematiche comprendono l’urbanizzazione, i cambiamenti climatici, e la realizzazione di infrastrutture che favoriscano lo sviluppo di società più integrate ed il miglioramento della salute umana e ambientale. Raccomandando attenzione all’importanza della libertà, della pace, della sicurezza, il rispetto per tutti i diritti umani, lo stato di diritto, il buon governo, parità di genere, il maggiore coinvolgimento delle donne a tutti i livelli delle società e l’impegno allo sviluppo di società più democratiche; le Nazioni Unite indicano un percorso ideale e pressoché tutto da realizzare. Infatti gli indirizzi hanno una marcata caratteristica votata all’aspirazione a cui tendere ma l’orientamento all’azione è subordinato ancora a molte altre variabili, quasi mai sotto il controllo di questo Ente.

Certamente, oltre ai temi puntuali trattati, un segnale importante questo documento la fornisce; emerge chiaramente quanto ormai esista una connessione e una interconnessione serrata, a livello globale, tra la scienza, la società e le strutture economiche. E come tale interconnessione manifesti sempre più l’esigenza di un controllo a livello globale, avendo ormai, di fatto, superato qualsiasi tipo di confine, sia fisico che sociale. Il nuovo millennio si sta delineando come un mondo interconnesso dove molte modalità di gestione dei rapporti economici, di potere, sociali, politici e della scienza richiedono l’apertura di nuove prospettive di impiego, di una nuova conduzione generale, che non può essere confinata entro i precedenti confini, così come venivano intesi nel secolo scorso.

Queste nuove istanze hanno generato una ulteriore attenzione anche sulla bioeconomia; infatti, come si è già accennato, quest’ultima ha assunto una centralità nelle politiche di molti stati, sia a livello fattuale, sia per quello politico. Anche la U.E. e l’OCSE hanno sottolineato con enfasi questo nuovo modo di approccio alla gestione delle complesse problematiche di governo.

Con bioeconomia, sia la U.E., sia l’OCSE, e molte altre organizzazioni, si riferiscono oggi anche e soprattutto, all’impiego e sfruttamento di dati sanitari, di materiali e composti organici per tutte le attività scientifiche riguardanti la vita umana; dalle biotecnologie ai nuovi farmaci e vaccini, al fine di migliorare le condizioni di vita per tutti, calmierando, con politiche adeguate l’egemonia economica che potrebbe derivarne per le nazioni più ricche.  Nel rapporto dell’OCSE, sulle direttive di sviluppo della bioeconomia fino al 2030 viene affermato che la bioeconomia è: “Un mondo in cui la biotecnologia contribuisce a una quota significativa della produzione economica” e che coinvolge tre elementi: la conoscenza delle biotecnologie, biomasse rinnovabili, e l’integrazione tra le applicazioni.

Indubbiamente la bioeconomia si è attestata nelle prime posizioni per quanto riguarda gli artefici dello sviluppo economico globale e ci sono i presupposti che lo diventi sempre più.  Basti ricordare l’attenzione posta dall’agenda dell’OCSE e degli U.S. riguardo le ricerche mediche di precisione, il progetto sui Genomi nel Regno Unito e in altre nazioni . Quindi la bioeconomia si trova all’incrocio di alcune potenti tendenze che riguardano le auspicate e necessarie istanze di miglioramento delle condizioni di vita globali, osservate con attenzione per l’immediato futuro per il concreto timore di una deriva speculativa, sia in termini di abusi scientifici, sia di quelli economici. Le prospettive di uno scenario, quantomeno controverso, in termini di controllo e indirizzo, ci sono tutti. I sintomi di evoluzioni preoccupanti sul piano della ricerca e dell’uso delle realizzazioni scientifiche vengono registrati a tutti i livelli e settori.  Le minacce principali derivano dalla tentazione degli attori principali operanti in questo settore in forte espansione, di utilizzare i dati derivanti dalla ricerca e i relativi feedback, in maniera non corretta o abusando delle prerogative offerte dalle posizioni di privilegio in cui operano. Questo rischio è molto concreto ed è già stato evidenziato più volte dalle cronache di tutto il mondo, riguardo a usi, abusi e condotte illecite da parte di grandi Corporation dell’energia, della salute, dei farmaci e, soprattutto delle biotecnologie. I grandi profitti economici in gioco, sia attuali che futuri, legati all’inarrestabile progresso tecnologico, sono una forza imponente che muove importantissimi interessi economici in gioco. Il rischio di abusare o ledere i diritti umani è molto più di un solo rischio; il pericolo di una trasformazione dei diritti umani in termini peggiorativi o maggiormente limitativi è concreta.

Inoltre la potenza finanziaria tende a contaminare, sia il pensiero politico, sia la sua azione; questo significa che importanti risorse economiche, destinate a programmi e progetti di dimensione universale, possono essere deviati e dirottati in favore di altri con una vocazione maggiormente utilitaristica, nella declinazione meno felice del neo liberismo.  Quindi occorre vigilare affinché ingenti quantità di denaro pubblico non siano dirottate da progetti di utilità pubblica ad altri che aderiscono maggiormente con gli interessi del capitale finanziario che, inoltre, manifesta una scarsa sensibilità nel seguire un codice etico nel suo agire a tutti i livelli della sfera sociale e politica. E’ necessario chiedersi sistematicamente in che modo la bioeconomia può apportare un cambiamento sostanziale alla qualità della vita delle popolazioni, in che modo incide sui diritti fondamentali dell’uomo e cosa, invece, viene distratto, per interessi privati, dal percorso virtuoso di realizzazioni bioeconomiche. E ancora, di che tipo sono i legami e di che intensità sono i rapporti tra il mondo della scienza, della ricerca e quello delle industrie biotecnologiche, farmaceutiche, elettromedicali e dell’energia; e quali possibili danni, analizzando i casi passati, può causare un rapporto non eticamente corretto alla collettività.

Indubbiamente la bioeconomia porta con sé un nuovo mondo e un nuovo modello epistemologico prezioso; un nuovo modo di sviluppare conoscenza e un nuovo modo di intendere e realizzare la produzione, operando un cambiamento strutturale, peraltro già in atto. Nei capitoli precedenti abbiamo visto come la tecnologia Big Data si ponga come campione in questo processo di cambiamento e ne fornisca il substrato.