Disforia di genere. Ecco perché è giustificata la risposta del Cnb sull’uso prudente della triptorelina

Sinora in Italia la triptorelina poteva essere acquisita dietro semplice prescrizione medica e senz’altra restrizione che il corrispettivo pagamento del costo dovuto, la cui entità è di circa oltre €. 2.000/anno: situazione questa che crea un’odiosa discriminazione su base economica. La soluzione individuata a grande maggioranza è equilibrata e saggia, e individua quella sana via media che evita sia la liberalizzazione che la sua assoluta proibizione.

08 AGO – La risposta data il 23 luglio scorso dal Comitato Nazionale per la Bioetica al quesito dell’AIFA circa l’eticità dell’uso off label della triptorelina nelle situazioni di giovani con disforia di genere è stata pressoché ignorata dai grandi organi di stampa. Eppure si è trattato del primo parere della nuova composizione del CNB istituita il 23 marzo 2018 dal governo Gentiloni, e non foss’altro che per questo avrebbe meritato maggiore attenzione.

Anche il tema oggetto della Risposta, poi, non è irrilevante, e la notizia ha trovato ascolto il 25 luglio in alcuni giornali minori (La Verità, La Croce, Libero) e poi sui social. Purtroppo, però, quasi tutti questi interventi quali hanno dato rilievo alle critiche contenute nella postilla dell’unico voto contrario (Assuntina Morresi) e nel comunicato stampa del centro Livatino, mentre hanno sottovalutato gli aspetti positivi della Risposta.

Andiamo con ordine: la triptorelina è un farmaco antitumorale utilizzato con successo da decenni. Se usato off label, ossia in modalità diverse dalle indicazioni iniziali, è in grado di bloccare lo sviluppo puberale. Viene così utilizzato per regolarizzare la crescita di giovani con sviluppo precoce (es. quelli che iniziano la pubertà già a 6 anni), e anche nei casi di disforia di genere ossia quando il giovane esistenzialmente non si ritrova nel genere assegnato alla nascita e c’è bisogno di avere un po’ di tempo per capire meglio il da farsi circa l’eventuale riassegnazione del genere.

Le situazioni che portano all’uso della triptorelina non sono frequenti (poche decine per anno), e sono comunque molto particolari e coinvolgenti, a prescindere da come le si voglia poi classificare. Si tratta di scelte difficili e complesse, quelle scelte che comunque cambiano la persona e che vanno trattate con speciale riguardo. I giovani che si trovano a viverle per un verso sono estremamente fragili e sensibili, al punto da essere soggetti a tendenze suicidarie, e per l’altro verso, come spesso accade in questi casi, presentano tratti di precoce maturazione e maturità.Sinora in Italia la triptorelina poteva essere acquisita dietro semplice prescrizione medica e senz’altra restrizione che il corrispettivo pagamento del costo dovuto, la cui entità è di circa oltre €. 2.000/anno: per alcuni cifra inaccessibile, per altri quota facilmente disponibile. Situazione questa che crea un’odiosa discriminazione su base economica. Forse anche per questo l’AIFA ha chiesto se dal punto di vista etico potesse essere inserito nei farmaci dispensabili dal SSN nei casi specifici, così da eventualmente togliere tale discrepanza.

Dopo attenta valutazione, il CNB ha deciso di evitare di esaminare “sul piano storico- sociologico e filosofico la questione della identità di genere”, per concentrarsi invece sul quesito specifico. Al riguardo ha ritenuto “opportuno giustificare l’utilizzo di tale farmaco ispirandosi ad un approccio di prudenza, in situazioni accuratamente selezionate da valutare caso per caso”, cosicché “tale trattamento è giustificabile sul piano bioetico in casi particolari, accertati, e valutati, dopo che sia stata effettuata la diagnosi di DG, possibilmente in una fase precoce, da una équipe multidisciplinare e specialistica”.

La soluzione individuata a grande maggioranza (un solo contrario e due astenuti) è equilibrata e saggia, e individua quella sana via media che evita sia la liberalizzazione sostenuta da chi vorrebbe la triptorelina distribuita come i confetti alla cerimonia di nozze, sia l’assoluta proibizione auspicata da chi la vede come un pericoloso agente contro natura da bandire senza esitazioni.

Si deve invece riconoscere che in certe specifiche e ben precise circostanze la triptorelina può essere utile e non va affatto demonizzata. D’altro canto come si fa a dire che un farmaco è eticamente cattivo? Solo chi assume un atteggiamento antiscientifico potrebbe dirlo. Ma come tutti gli ausili preziosi vanno usati con le debite cautele. A questo proposito il CNB è riuscito a avanzare proposte innovative e interessanti: ha infatti suggerito una soluzione nuova come quella di un’équipe multidisciplinare che valuti la situazione e cooperi con tutti i soggetti interessati (famiglia, scuola, ecc.) per garantire al giovane la maggiore tutela possibile e evitare ogni forma di discriminazione. L’auspicio è che la proposta diventi presto operativa, perché nel nostro paese ciò costituirebbe un passo in avanti sul piano culturale per l’analisi delle questioni connesse.

Altro aspetto di rilievo è che il CNB ha assunto un atteggiamento positivo e propositivo, evitando di arroccarsi nel bunker da cui lanciare strali contro il mondo ostile. Ha mostrato come etica e scienza possano fruttuosamente collaborare per favorire la fioritura umana di questi giovani che si trovano in una situazione complicata. Lungi dal cercare di distruggere o sconvolgere l’ordine naturale, la scienza cerca di offrire all’uomo nuove opportunità, le quali tuttavia vanno regolate oculatamente. Per prendere solo un esempio, la luce elettrica illumina la notte e così facendo crea nuove opportunità di vita per l’uomo, senza sconvolgere affatto l’ordine naturale dell’alternanza luce/buio. Ciò non toglie che debba essere usata con le precauzioni del caso e in base alle norme di sicurezza.

Sulla scorta di quest’atteggiamento propositivo, il CNB ha messo al centro “la tutela della salute psico-fisica del minore” e sottolineata l’importanza del fatto che il giovane dia “un consenso espresso in modo libero e volontario e con la consapevolezza delle informazioni ricevute nelle specifiche condizioni fisiche e psichiche”: prevedendo l’équipe di esperti ha pressoché sancito che siano evitate “forme di automedicazione e trattamenti non adeguatamente monitorati dai medici specialisti”. Cautela operativa e rispetto della libertà e del benessere del giovane sono stati così sapientemente contemperati.

Come ho ricordato, le principali testate hanno per lo più ignorato la Risposta del CNB, mentre alcuni giornali con minore diffusione hanno ripreso le obiezioni contenute nella postilla di Morresi o quelle del comunicato stampa del centro Livatino.

Le critiche di Morresi non fanno altro che riprendere alcuni rilievi contenuti nella pagina dell’inserto “è vita” di Avvenire del 12 aprile 2018. Accettando aprioristicamente la linea prefissata, Morresi ha semplicemente ripetuto il messaggio, e si è diffusa un po’ di più sulla presunta assenza di dati scientifici sulla sicurezza: un aspetto che dimentica come l’uso off label sia recente e su numeri limitati. Per il resto la postilla rivela come neanche Morresi riesca più a esplicitare direttamente la vera ragione che sta alla base dell’opposizione al farmaco, cioè quella “ideologica” circa il binarismo sessuale, la quale deve essere mascherata dietro altre considerazioni.

Quest’ultima considerazione vale anche per il centro Livatino, il quale addirittura osserva che, la Risposta del CNB suggerirebbe “il modello “gender fluid” in età sempre più precoce”. A ben vedere, è vero proprio il contrario: è il centro Livatino che distorce la realtà! Alla base di quest’accusa sta il fatto che il CNB sarebbe colpevole di limitarsi a fornire una risposta al quesito concreto e specifico rivolto dall’AIFA: come ha precisato uno studioso del centro Livatino, avrebbe rinunciato a combattere la mentalità oggi diffusa che stenta a accettare la “sessualità così come iscritta nella legge naturale”. Proprio per questa rinuncia la Risposta del CNB sarebbe preoccupante se non addirittura sconcertante.

Il richiamo alla “legge naturale” è interessante perché esplicita il “non detto ideologico” che sta alla base delle varie obiezioni. Se le critiche dipendono dai discorsi sulla “legge naturale”, allora non è da escludere che anche l’uso della luce elettrica sia eticamente inaccettabile: si potrebbe dire che l’illuminazione notturna stravolge il ciclo naturale del buio (notte) e della luce (giorno), in spregio all’ordine della natura! È una fortuna che il CNB abbia evitato di entrare in questioni generali e, spesso generiche, e che si sia concentrato sui casi concreti che si incontrano nella vita reale: casi che a volte sono drammatici, e comunque presentano sempre aspetti complicati, e che richiedono risposte efficaci e atte a favorire la migliore fioritura possibile dell’interessato.

Se si assume quest’atteggiamento attento alla concretezza, ci si accorge che subito svanisce anche l’altra obiezione mossa dal centro Livatino, quella circa la strutturale invalidità “consenso informato del minore e della sua famiglia, che si trovano a prendere decisioni così serie in mancanza di vere informazioni scientifiche, in un clima culturale condizionato da elevata pressione ideologica verso la cancellazione della identità di genere maschile/femminile”.

Eppure, anche il CNB ha sottolineato con forza l’importanza dell’informazione scientifica, per cui i casi sono due. O il centro Livatino non ha letto bene la Risposta del CNB, oppure giudica inadeguata quella raccomandazione perché assume che le “vere informazioni scientifiche” siano quelle informate alla legge naturale, e che le altre informazioni siano frutto della “elevata pressione ideologica” dell’attuale cultura corrotta e malvagia. Ma qui torniamo da capo sull’assunto della “legge naturale”. Se si evitano questi pregiudizi ideologici, e si guarda la realtà concreta, ci si rende conto che i giovani in questione hanno spesso una maturità superiore a quella dei loro coetanei, e che – sia pure con tutte le cautele del caso – le informazioni scientifiche date dagli esperti bastano a far sì che il loro consenso informato possa essere valido.

Resta il fatto che, come sempre accade in tutti i casi problematici, nelle situazioni in esame non si hanno certezze. Per esse vale la metafora biblica della “attraversata del deserto”: si sa da dove si parte, ma non dove si arriverà. È come quando ci si trova di fronte alle grandi scelte esistenziali: non ci sono certezze, ma solo la strutturale incertezza della “scelta” (scandagliata con acume dagli esistenzialisti).

Sbaglia, quindi, chi continua a dare per scontato che certezze ci siano e le richiede come ovvie. Per questo è impropria la domanda centrale posta dal comunicato stampa di Scienza&Vita del 30 luglio 2018: “esiste certezza che il blocco […] dello sviluppo puberale (livello corporeo) in un adolescente affetto da DG possa effettivamente costituire una condizione “favorevole” alla risoluzione del suo dissidio d’identità?”. L’inapropriatezza della domanda emerge se si considera che è analoga al chiedere a un figlio unico: “Quand’è che hai incontrato i tuoi fratelli?”. Come quest’ultima è sensata solo sulla scorta dell’assunto che ciascuno abbia fratelli, così la prima è sensata solo se si assume che i problemi d’identità sono risolvibili con certezza: assunto che forse vale per chi fa riferimento alla “legge naturale”, ma che altrimenti è il punto in discussione e non può essere dato per scontato in partenza.

Nelle situazioni considerate l’unica certezza è che se si lascia fare alla natura, lo sviluppo puberale può generare nel giovane sofferenze indicibili che possono creare disastri difficilmente rimediabili. Piaccia o no, questa è la realtà effettuale! Per questo ci vuole cautela e prudenza, e non apriorismi e ideologie. Se si assume quest’atteggiamento di attenzione al giovane in crescita, si dissolve anche l’altra obiezione di Scienza & Vita, quella basata sul “timore che, in contrasto con i migliori ed esigenti auspici applicativi del trattamento […] la pratica clinica quotidiana possa invece degenerare […], finendo per ridurre la soluzione ad un problema così complesso e decisivo per la persona alla banale somministrazione di una molecola, con un approccio del tutto insufficiente”. A dire il vero quella riportata non è un’obiezione, ma è un banale tentativo di spostare il problema e parlare d’altro, cioè esprimere la paura e l’angoscia che l’uso del farmaco possa portare a uno sconvolgimento dell’ordine del mondo scandito dalla “legge naturale”.

In breve, l’intero “giudizio globale critico” espresso da Scienza&Vita nei confronti del CNB non sta in piedi. Resta, invece, che l’atteggiamento di prudenza raccomandato dal CNB sia ben fondato perché grazie a esso si cerca di favorire il rispetto, la libertà e il benessere dei giovani con disforia di genere, come s’addice in una società civile.

Maurizio Mori

Presidente della Consulta di Bioetica
Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica

08 agosto 2018
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1 thoughts on “Disforia di genere. Ecco perché è giustificata la risposta del Cnb sull’uso prudente della triptorelina”

  1. Non c’era bisogno di alcun intervento, andava bene che il medico prescrivesse e decidesse insieme al ragazzo o bambino e alla famiglia. Il comitato di bioetica deve intervenire dove il conservatorismo becero pone limiti ideologici-religiosi alla libertà degli individui. Se una famiglia, un giovane e il medico decidono l’opportunità di fermare o prevenire la pubertà, perché mettersi di mezzo?
    Il fattore economico è secondario. Duemila euro l’anno si trovano per aiutare un figlio con questi problemi.

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