“Scusi per la pianta. Nove lezioni di etica pubblica” di Giovanni Grandi – Recensione di Roberta Scalise

Tutto è iniziato con un bigliettino, scritto poco dopo il primo lockdown del 2020:

«Buongiorno, mi scusi per la pianta, l’ho colpita accidentalmente con un pallone da calcio. Ecco 5 euro per il danno».

A scriverlo, un bambino di 11 anni, reo di aver rovinato, in un eccesso di entusiasmo sportivo, la pianta di un vicino di condominio. Per riparare il danno, il giovane calciatore ha, dunque, deciso di lasciare, sua sponte, una banconota simbolica – sia per il valore, sia perché, probabilmente, costituiva la sua intera paghetta – proprio accanto alla pianta. E, per impreziosire il gesto, ha affiancato ai 5 euro un bigliettino di scuse.

Un gesto tanto semplice quanto commovente nella sua genuina purezza, che, proprio per tale motivo, ha attirato subito l’attenzione di Giovanni Grandi, professore associato di Filosofia Morale presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Trieste – nonché condomino del medesimo edificio, e osservatore privilegiato dell’accaduto.

Grandi ha, così, deciso di diffondere le sue sensazioni di ritrovata meraviglia mediante un tweet. In poche ore, le reazioni si sono moltiplicate e il messaggio affidato all’etere ha fatto la propria comparsa sulle piattaforme social di migliaia di persone, giungendo perfino sulle pagine di quotidiani nazionali e televisivi.

Che cosa ha scatenato una “simpatia” – nel senso humiano del termine – tanto contagiosa e – per una volta in accezione positiva – virale? È l’interrogativo che si è posto Giovanni Grandi, e a partire dal quale ha dato vita a “Scusi per la pianta. Nove lezioni di etica pubblica”, un vero e proprio vademecum di etica civile da poco edito da UTET.

Con un linguaggio e un approccio lineari, puliti e, a tratti, lievi – per la gentilezza con cui si rivolgono al lettore –, il volume delinea nove “lezioni” finalizzate ad acuire la riflessione sul nostro modo di porci, a livello etico, in pubblico, offrendo alcune linee guida per farlo in modo sempre più rispettoso, onesto e cooperativo.

Grandi ha, infatti, individuato nove “punti nevralgici” di etica pubblica, a ognuno dei quali ha dedicato un focus specifico.

1. Pubblico & privato

La prima precisazione attuata dal filosofo è proprio quella circa l’utilizzo del termine “pubblico”.

«Se esiste un’etica pubblica, vuol dire che esiste anche un’etica privata? Possiamo davvero scindere le nostre personalità e incarnare da una parte i dottor Jekyll e dall’altra i Mr. Hyde della morale? Voglio dire: possiamo far riferimento a una certa rosa di valori quando ci occupiamo delle cose di famiglia e degli affetti più prossimi e metterla tra parentesi o perfino contraddirla quando interagiamo con degli sconosciuti, con i concittadini, con il “pubblico”?».

Insomma: una distinzione netta tra pubblico e privato esiste o è solo fittizia? Secondo Grandi, l’esistenza di una “doppia etica” non può sussistere, per cui:

«Se immaginiamo di utilizzare nella filosofia morale la coppia pubblico-privato, deve essere per indicare qualcosa di altro, e in effetti oggi utilizziamo l’espressione “etica pubblica” soprattutto per riferirci ai comportamenti che assumiamo nelle relazioni con il pubblico e con i beni pubblici, dunque se e quando vestiamo i panni degli amministratori, dei dirigenti, dei “funzionari”. Non per dire che ci sia una doppia etica, ma per dire, invece, che l’impegno verso gli altri cresce quando gli altri sono “tutti” e quando le risorse che si amministrano sono quelle “di tutti”».

2. Tra fake news e copincolla

In un mondo dominato da clickbait e false apparenze, come giungere, allora, alla fonte della “verità”? Prendendo come spunto le persone che lo hanno accusato di aver scritto da sé il bigliettino per «finire nei telegiornali», Giovanni Grandi riflette sulle responsabilità della comunicazione pubblica, assumendo come esempio proprio gli errori compiuti nel narrare la vicenda sopraesposta, conseguenza di copia&incolla e fraintendimenti dettati da fretta e mancato accertamento delle fonti.

«La verifica di una fonte – infatti – richiede tempo, e oggi questo tempo sembra che non possiamo più permettercelo. Così nella comunicazione, pubblica tanto quanto privata, il tempo dedicato alla verifica diventa una questione dai risvolti morali, che ci rivela anche qualcosa di noi stessi».

Sempre più spesso, appunto, siamo portati a “copiare&incollare” le nostre idee, i nostri atteggiamenti e i nostri percorsi mentali nel corso degli anni, per rispondere a esigenze di immediatezza e performatività. E se, invece, rallentare fosse la soluzione giusta per superare i periodi difficili e per permettere a noi stessi una crescita morale che sia davvero autentica e ben radicata?

3. Responsabilità

Scrivendo il biglietto e palesando il danno arrecato dal proprio gesto, il piccolo protagonista della vicenda narrata ha dato esempio di maturità morale e, soprattutto, di grande responsabilità. Ma che cos’è quest’ultima? Lo esplica chiaramente Grandi:

«Assumersi una responsabilità è questo, non bisogna girarci attorno: è rispondere del male e rispondere al male. Del male che noi stessi abbiamo fatto, volontariamente o “accidentalmente”, ma anche al male che notiamo nella società e che ci inquieta e ci ripugna, così come al male che ci precede e che ci capita addosso, portando con sé quella domanda di giustizia che preme perché si faccia qualcosa».

Ma se è facile imputarla agli altri, risulta, al contrario, particolarmente difficoltoso richiederla a noi stessi.

«Forse è proprio per questo che il gesto di responsabilità di un undicenne ci cattura e ci provoca – continua Grandi: incarna da un lato quello che ci aspettiamo dagli altri ma, più sotto ancora, ci mostra quel che noi stessi vorremmo essere in grado di sostenere con maggiore determinazione».

Una strategia ci viene offerta da Platone, il quale, nella “Repubblica”, ci invita a valutare il nostro spessore morale osservando il modo in cui rispondiamo al male ricevuto, uscendo dai binari della reciprocità. Per cui:

«Una autentica virtù morale è stabile, non cambia in funzione di quel che si sta ricevendo. In breve: capiamo la “misura” della nostra giustizia e della nostra responsabilità solo guardando al modo in cui rispondiamo al male e del male, ovvero se continuiamo a rispondere agli eventi e alle persone mettendo in campo soluzioni costruttive che, inevitabilmente, sono per noi dannose».

4. Il sentire morale

Ma qual è la radice del “senso” di responsabilità? In questa espressione si pone, infatti, in rilievo un termine: il “sentire”. Grandi lo esamina facendo ricorso al concetto di “empatia”, esplorato a fondo dalla filosofa di inizio Novecento Edith Stein.

«Sentire il male che è entrato o che entrerà nella vita dell’altro è la chiave che letteralmente accende la responsabilità. Per questo il parlare comune coglie qualcosa di profondamente vero quando fa appello a un “senso”, alla capacità di percepire affettivamente, di lasciarsi toccare e colpire da quel che sta toccando e colpendo l’altro, causandogli tristezza o sofferenza».

Incontrare l’altro percependone i legami – anche materiali, come nel caso della pianta – e le sensazioni è, quindi, il primo passo per accrescere la propria sensibilità e, di conseguenza, la propria responsabilità, «trattandosi reciprocamente con umanità e giustizia, perché nelle cose a cui teniamo c’è sempre un tratto della nostra vita».

Ne consegue, perciò, che:

«L’assunzione di responsabilità passa attraverso il risveglio della sensibilità, sorge dal percepire il valore dei legami che l’altro coltiva, dal presentire la sofferenza che il disprezzarli genererebbe o che ha generato. Vale quando il male è compiuto deliberatamente, vale quando un danno è causato “accidentalmente”».

5. Accidentalmente

«Tra i commenti circolati su Twitter ne ricordo uno di particolare apprezzamento per quell’avverbio che giganteggia per estensione tra le poche parole del biglietto: “accidentalmente”. Si tratta dell’unica parola suggerita dai due amici, di poco più grandi, co-protagonisti della vicenda. […] Un po’ ce li possiamo immaginare, questi piccoli grandi amici intenti a consigliare una parola che potesse rinforzare il senso delle scuse, inserendosi nella schiettezza diretta e asciutta del dettato del protagonista».

Quanto è importante, nella nostra vita, avere degli alleati? Dei complici, dei “pari”, che possano sostenerci nella responsabilità, mettendo in gioco quel senso di empatia e condivisione cui si è accennato nei paragrafi precedenti.

Tali personalità hanno un nome preciso e sono definite “bystander”, come ricorda Giovanni Grandi, ossia «coloro che assistono ai fatti, che sono presenti e spettatori di quel che accade, magari tra due sole persone», e cui spesso ci si riferisce in casi di emarginazione sociale o violenza.

La figura del bystander è fondamentale per non essere “stranieri morali” e accogliere l’altro, offrendoci una «bussola per orientarci eticamente».

6. Il vicino

Riprendendo il discorso relativo al male subito e alla risposta allo stesso, c’è un dettaglio su cui Grandi desidera porre l’attenzione: la possibilità di “agire”, in quanto, al contempo, offensori e vittime.

«Dovremmo considerare più attentamente il fatto che chiunque patisca il male come vittima ha certo bisogno di giustizia, ma ha anche bisogno di recuperare il potere di agire – spiega il filosofo –, di fare qualcosa. […] In altre parole: da vittime abbiamo bisogno di ritornare quanto prima a essere attori, protagonisti, non spettatori passivi, messi in attesa – perfino in un’attesa dorata e coccolata – che altri facciano qualcosa, che altri agiscano».

La dignità risiede anche, e forse soprattutto, in questo potere di azione, di cui soffriamo l’impotenza quando ne veniamo privati. Agire è, infatti, l’unica strategia idonea per rispondere al male subìto dando «una risposta creativa e generativa, per non rischiare di risolverla a nostra volta in nuove forme di violenza contro altri, o in percorsi di progressiva corrosione di noi stessi e della capacità autonoma di reagire alle vicende faticose della vita».

7. Esemplarità

Un’azione morale può darci indicazioni più approfondite circa il carattere di una persona nella sua totalità? Nella maggior parte dei casi – o forse in tutti –, no. Lo affermava già Aristotele: «una rondine non fa primavera», e lo riporta saggiamente Giovanni Grandi, che, a partire dalla reazione di ammirazione suscitata dal bigliettino del giovane undicenne, ha deciso di condurre una disamina sul ruolo dell’esemplarità e sul rapporto che, spesso, intercorre tra azione e persona nel suo complesso.

Le polarizzazioni sono pericolose, mette in guardia il filosofo, che, per esemplificare il suo punto di vista, fa ricorso proprio ai nostri avi greci e, nello specifico, al largo utilizzo di maschere adoperato dagli autori tragici.

«Quando perdiamo di vista il rispecchiamento interiore ed esteriore, quando cioè ci dimentichiamo che se sulla scena letteraria o teatrale rappresentiamo “buoni” e “cattivi” è per vedere meglio parti della nostra stessa interiorità, finiamo molto facilmente per rimanere intrappolati nell’esteriorità. Le personificazioni perdono allora il loro carattere metaforico e inizia a sembrarci che possano davvero esistere dei “tipi” puri, unilaterali: compaiono i buoni e i cattivi, gli eroi positivi e gli antieroi».

E questa semplificazione, «in una mentalità che non ha più dimestichezza con i risvolti interiori, conduce a forti polarizzazioni: tutte le dinamiche noi/voi si basano sempre sulla stessa illusione, e cioè che esistano i buoni in lotta con i cattivi e non, invece, come realmente è, il bene in lotta con il male nell’intimo di ciascuno».

8. Educare

Come conoscere noi stessi e imparare a rispondere al male mediante l’azione, e non in un modo altrettanto malevolo? Gran parte degli insegnamenti, da questo punto di vista, derivano dal nostro nucleo familiare, nel quale – se si è fortunati – apprendiamo il senso di responsabilità e le dinamiche relazionali più idonee in ciascuna situazione.

Il processo educativo, tuttavia, non si ferma al mero ambito genitoriale. Come precisa, infatti, Giovanni Grandi, l’educazione e la responsabilità familiare non si esaurisce con i figli, ma prosegue

e si direziona verso gli “altri”, verso le persone che ci circondano e alle quali possiamo risultare utili attraverso i nostri gesti, le nostre riflessioni e, appunto, le nostre azioni.

«[…] Sono convinto – per quel che ho potuto vedere, sperimentare e studiare – che la famiglia rimanga un contesto di cura di primaria importanza, e quando viene a mancare molto spesso ai problemi si aggiungono problemi. Tuttavia questo nesso famiglia-educazione non ha la potenza tipica dei legami logico-deduttivi, come da tante parti si vorrebbe suggerire e, aggiungo, come molto spesso finiamo per credere».

Questo, però,

«non vuol dire, naturalmente, che le famiglie non abbiano fatto nulla o siano state irrilevanti, ma ci mostra invece qualcosa di diverso: nell’educazione delle cosiddette “nuove generazioni” è essenziale che ci siano degli adulti maturi e capaci di attivare il senso di responsabilità, ma è anche più raro che siano i genitori ad assumere questo ruolo verso i propri figli. Al contrario, accade molto più spesso che questi stessi adulti riescano a lasciare tracce morali più evidenti nelle vite di altre persone più giovani con cui entrano in contatto in contesti di formazione, in quelli professionali, del volontariato o dello sport etc.».

9. Day by day

Come passare, dunque, dalla teoria alla pratica, interiorizzando quanto assunto e mettendolo al servizio della nostra quotidianità? Il consiglio dell’autore è semplice: «un quarto di discernimento e tre quarti di esercizio».

Giorno dopo giorno, mediante lo studio e l’esercizio costanti, impariamo a coltivare la pazienza di ascoltare noi stessi e i nostri dissidi morali, aspirando al “meglio” che forse già conosciamo, ma non sappiamo concretizzare, dando voce, con dedizione e calma, alla voce interiore che ci guida nelle nostre azioni etiche. Voce che si trasforma in pensieri, a loro volta pronti a tramutarsi in propositi d’azione con cui prendere confidenza.

Temperanza e fortezza saranno, quindi, le due «forze morali che vanno allenate con gradualità e continuità, tentando e ritentando, vegliando su se stessi e sui propri automatismi, finché non matura finalmente un gesto nuovo, diverso. Di giustizia».

Per non perdere quel senso di responsabilità che, spesso fin da piccoli, accompagna le nostre giornate.

 

 

  • Autore: Giovanni Grandi;
  • Titolo: “Scusi per la pianta. Nove lezioni di etica pubblica”;
  • Editore: UTET;
  • Anno: 2021;
  • Pagine: 125.