Il triage Covid e i Beatles

Le “vecchie” Raccomandazioni Siaarti sono l’analogo del “rock”: gli amanti del “bel canto” all’inizio sono andati su tutte le furie e non l’hanno riconosciuta come musica, ma poi han dovuto prendere atto che anche i Beatles sono stato insigniti dell’Order of the British Empire.

24 NOV – 1. Analogia storica preliminare.
Si narra che nel 1831 il ministro degli esteri francese Horace Sébastiani concluse la propria relazione al parlamento di Parigi sulla situazione nella capitale polacca in cui l’insurrezione liberale era stata brutalmente repressa dall’armata russa con le parole: “la tranquillità regna a Varsavia” (la tranquillité régnait à Varsovie), dal momento che la piazza centrale era stata rasa al suolo e la città devastata.

Questa proposizione mi è subito venuta alla mente dopo aver letto il nuovo Documento Fnomceo-Siaarti che il redazionale di QS 30 ottobre annunciava come foriero di “indicazioni condivise, e in linea con il Codice deontologico” capaci di riportare la pace nel mondo sanitario italiano che era stata turbata dalle Raccomandazioni Siaarti. Ora che è uscito un altro documento, questa volta, Siaarti-Simla, su cui interverrò prossimamente, può essere opportuno qui cercare di articolare le ragioni dell’analogia sopra proposta. Comincio col ricapitolare i termini della questione.

2. Riepilogo del dibattito sulle Raccomandazioni Siaarti.
Il 6 marzo 2020, all’inizio dell’onda montante della pandemia Covid-19, il Gruppo di Studio di Etica della Siaarti rendeva pubbliche quindici Raccomandazioni per dare indicazioni ai colleghi rianimatori disperati su come affrontare le scelte tragiche imposte dal fatto che centinaia di pazienti richiedevano assistenza senza poterla ricevere.

Le Raccomandazioni sono state scritte in fretta e non sono prive di difetti, ma hanno il grande pregio di essere chiare e comprensibili, e soprattutto di affermare che in situazioni eccezionali “potrebbero essere necessari criteri di accesso alle cure intensive […] non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio […] di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate” : oltre ai tradizionali criteri clinici, si deve far appello anche a criteri extra-clinici, come per esempio anche l’età.

Le Raccomandazioni sono state subito duramente criticate dal presidente della Fnomceo, dr. Filippo Anelli, che le ha viste “come un grido di dolore. Nessun medico deve essere costretto a una scelta così dolorosa”. Scorrette in primis sul piano formale, perché “qualunque documento che subordini l’etica a principi di razionamento” avrebbe dovuto “in ogni caso essere discusso collegialmente dalla professione” prima di venir pubblicato, e poi anche sul piano sostanziale perché la Siaarti avrebbe dovuto tenere presente che per i medici l’unica “guida resta il Codice di deontologia medica. E il Codice parla chiaro: per noi tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni” .

Critiche anche più aspre sono venute da alcune società di geriatria, che hanno paragonato le Raccomandazioni a una sorta di rupe Tarpea per le persone più avanti negli anni . Invece di affannarsi a individuare “criteri stringenti” per la scelta, la Siaarti avrebbe dovuto mettere al centro la “valutazione multidimensionale del singolo caso […], nella certezza” che il medico sa “fare la scelta più appropriata ed equilibrata, ancorché pur sempre dolorosa […]. Anche in questo caso resta centrale il medico con il suo bagaglio di professionalità, esperienza e umanità che, insieme, gli permetteranno di formulare un piano di azione tarato sulle esigenze e possibilità del singolo caso”.

Dal canto suo il CNB (Comitato Nazionale per la Bioetica) ha condiviso con la Siaarti la centralità di criteri generali per la valutazione del caso singolo, ma ha escluso l’eticità di criteri extra-clinici: solo il criterio clinico è adeguato “punto di riferimento per l’allocazione delle risorse medesime: ogni altro criterio di selezione […], è ritenuto dal Comitato eticamente inaccettabile” .

Non è chiaro se il CNB abbia poi davvero mantenuto la posizione circa i criteri generali, e il dubbio sorge perché, come ho osservato nella mia Posizione di minoranza al Parere, il CNB assume un atteggiamento simile a quello che secondo Manzoni i milanesi hanno tenuto di fronte peste del 1630: dapprima negano la peste: peste no! (triage no: assolutamente); poi, l’ammettono per isbieco con un aggettivo: febbre pestilenziale (triage in emergenza pandemica); infine, riconoscono si tratti di una peste strana cui non si sa dare un nome (triage sì e no ma in senso del tutto speciale) . Tra tanta confusione, non si sa che dire se resti la centralità dei criteri generali o se abbia la precedenza il caso singolo, ma non è questo il luogo per approfondire il punto.

In linea con la Siaarti, nella mia Posizione di minoranza al Parere CNB ho sostenuto sia l’eticità dei criteri extra-clinici sia che il riconoscimento di questo apre “nuovi orizzonti che dovranno essere approfonditi e ulteriormente precisati” . Il compito al riguardo è grandioso, e richiederà tempo e impegno, ma va fatto. Un contributo di spicco è stato dato da monsignor Mauro Cozzoli, che ha mostrato come le esigenze etiche alla base dei criteri extra-clinici non dipendano dall’etica della qualità della vita, ma sono condivise anche dall’etica della sacralità della vita . Da ultimo va ricordato che all’estero le Raccomandazioni Siaarti hanno ricevuto grande attenzione e positiva accoglienza.

Dal riepilogo delineato emergono due diversi tipi di disaccordo circa le Raccomandazioni:
1) tra chi ritiene che la scelta vada fatta sulla scorta dei soli criteri clinici, e chi invece richiede anche -extra clinici, pur concordando che le scelte sono informate al modello dei “criteri generali”.
2) tra chi ritiene inadeguato il modello “dei criteri generali” e afferma il diverso modello “del caso per caso”.

Esaminiamo ora i due modelli alla base del secondo tipo di disaccordo.

3. I due opposti modelli di scelta: quello dei “criteri generali” e del “caso per caso”.
Nella realtà concreta non esistono mai due situazioni esattamente uguali né due individui identici: sempre c’è una qualche differenza (di tempo, spazio, peso, colore, etc.), per cui è ovvio che il giudizio (o valutazione o scelta) su qualcosa/qualcuno è sempre sul singolo caso. Riconoscere questo, però, è banale, perché il problema rilevante è sapere come avviene il giudizio, atto che comporta una selezione, ossia l’esclusione di alcune caratteristiche e l’inclusione di altre. Per questo, il giudizio spesso è fonte di conflitto: chi è escluso si sente danneggiato e, a volte, anche indignato in quanto crede di aver subìto un torto. Solo ammettendo tutti e non escludendo nessuno si può pensare di evitare il conflitto, cosa che non si dà in situazioni di scarsità o di competizione.

Altro modo per attenuare o evitare il conflitto è far sì che anche l’escluso riconosca la correttezza del giudizio. Se in una competizione canora il contendente eliminato riconoscesse di avere “steccato”, il conflitto sparirebbe. Purtroppo, però, non è sempre chiaro che cosa conti come “stecca”, né quale sia il suo peso nella performance complessiva. Invece di riconoscere di avere steccato, può darsi che l’escluso creda di aver aperto nuovi orizzonti musicali, com’è avvenuto tra i fautori del “bel canto” e del “rock”: accusati prima di distruggere la bella musica, i Beatles sono stati poi insigniti dell’Order of the British Empire (1965), massima onorificenza culturale del paese.

Per far riconoscere la correttezza del giudizio anche all’escluso, si è pensato di rendere espliciti e noti i criteri generali sulla cui scorta si formula il giudizio singolo: ove questo fosse congruo ai criteri stabiliti, l’escluso non avrebbe nulla da recriminare. Questa è la prospettiva che sta alla base del modello dei “criteri generali”, così chiamato perché prevede che la scelta sia informata a parametri generali e pubblici. La selezione per l’ammissione a un Dottorato di ricerca è scandita da quel modello, come ho potuto constatare avendo nell’estate fatto parte di una Commissione che ha giudicato 192 candidati per 18 posti (uno per circa 11 pretendenti). Non si è trattato di scelte di vita o di morte (in senso stretto e diretto), ma neanche di scelte di poco conto, in quanto possono incidere fortemente sull’esistenza delle persone.

Per Regolamento, nella riunione preliminare la Commissione esplicita i “criteri generali” di tipo accademico riguardanti l’originalità del programma di ricerca, le competenze linguistiche, le pubblicazioni fatte, etc., ciascuno dei quali ha un proprio “peso” espresso da un punteggio che consente di stabilire una gerarchia. I criteri accademici oggi esplicitati non esauriscono tutti i parametri di giudizio, per cui quello finale complessivo presenta uno spazio aperto alla discrezionalità.

i si può chiedere se questo spazio sia riservato alla mera “soggettività” (arbitrarietà) e sia ineliminabile, o se a sua volta non sia regolato da altri criteri accademici più raffinati e da criteri extra-accademici (età, provenienza geografica, hobbies e capacità di socializzazione, etc.), grazie ai quali completare la fisionomia del candidato. Ove così fosse, si può osservare che il modello oggi in uso è ancora rudimentale (non tutti i criteri sono stati esplicitati), ma si può pensare che in futuro lo siano e che si possa giungere a giudizi univoci, precisi e controllabili in cui il livello di discrezionalità è minima o nulla. Grazie all’Intelligenza Artificiale, si può pensare a un algoritmo capace di formulare il giudizio: non so quanto ciò sia davvero fattibile, né se sia auspicabile, ma questa è la prospettiva ultima sottesa al modello delineato.

D’altra parte c’è il modello “del caso per caso” che rigetta l’ipotesi appena proposta. Lungi dall’essere un aspetto residuale e in via di estinzione, il margine di discrezionalità nel giudizio è il sigillo dell’umanità della scelta. E’ un’illusione credere di poter dare giudizi o fare scelte solo sulla scorta di criteri generali più o meno gerarchizzati. Ciascun caso è così particolare e così diverso dagli altri da dover essere giudicato a sé, e è sbagliato pretendere di farlo sulla scorta di criteri generali. Ciascun caso è come se emanasse una propria “formula” che è còlta da chi è esperto e la sa giudicare e valutare iuxta propria principia (secondo principi propri).

Questo modello “del caso per caso” è stato (e forse ancora è) prevalente in ambito sanitario, in cui da sempre un’aura di (quasi sacrale) riconosciuta autorevolezza ha portato a far sì che la decisione fosse (sia) in capo al medico che decide sulla scorta del proprio “fiuto clinico” e in “scienza e coscienza”. Non è un caso che le società di geriatria abbiano riproposto il modello del “caso per caso”, sottolineando la centralità del medico che “con il suo bagaglio di professionalità, esperienza e umanità” riesce a cogliere le “esigenze e possibilità del caso singolo” e a “fare la scelta più appropriata ed equilibrata” . In questo modello è irrilevante la distinzione tra criteri clinici e extra-clinici, perché qui vale quella sorta di “magia” propria del clinico, che gli consente di azzeccarci in molti casi. Anche per questo il modello è ancora diffuso.

Bisogna altresì rilevare che le tante cause medico-legali che affollano i tribunali sembrano mostrare la crescente esigenza di criteri generali che consentono di valutare le stesse scelte cliniche. Positiva o negativa che sia, questa tendenza ha preso corpo nella L. 24/17 (legge Gelli) che prevede la stretta osservanza delle linee-guida da parte del sanitario.
Chiarita la differenza tra i due modelli, passiamo alla disamina del Documento congiunto Fnomceo-Siaarti.

4. La dissonanza degli obiettivi del Documento congiunto Fnomceo-Siaarti.
Gli obiettivi del Documento sono due: riportare “in modo condiviso il ragionamento entro l’alveo della deontologia medica”, e “valutare l’opportunità di prevedere eventuali modifiche del Codice di Deontologia Medica” (cfr. Premessa). Il primo dà per scontato che la Siaarti abbia debordato e debba essere ricondotta alla normalità stabilita dal Codice. Per questo il Mandato prevede si debba anche “Avviare una riflessione in senso deontologico sulle posizioni espresse dalla Siaarti”.

Il Codice sembra un mantra capace di dare risposta certa a qualsiasi interrogativo quasi fosse totem perfetto, immutabile e sacro. La sudditanza (quasi ossessiva) al Codice è così pervasiva che nel Documento ancora ricorre l’obsoleta espressione “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento” (cfr. d.4 e d.5) forse perché l’art. 38 del Codice così si intitola.

Dopo la Legge Lenzi (la 219/17) quell’espressione è tecnicamente erronea e avrebbe dovuto essere sostituita con “Disposizioni Anticipate di Trattamento”. Ma sul punto il Codice non è ancora stato modificato, e quindi l’erronea espressione rimane. L’auspicio è che si proceda al più presto alla modifica, come è stato fatto con l’art. 17 sull’eutanasia dopo la sentenza della Corte costituzionale.

L’altro obiettivo è solo enunciato e non è elaborato. Ma il solo fatto di riconoscere l'”opportunità di prevedere eventuali modifiche del Codice” lo rende dissonante rispetto al precedente: prima sembrava che il Codice fosse immutabile, mentre ora si scopre che è mutabile e che sono previste modifiche. E’ vero che il suo impianto risale al Settecento e la sua struttura agli inizi del Novecento, ma il Codice è già stato modificato più volte, e anche in modo significativo: nulla esclude che presto sia profondamente modificato nella struttura e in alcuni contenuti.

5. In prima battuta il Documento afferma il modello “dei criteri generali” (clinici).
In apertura, il Documento prende atto di quanto è accaduto in Italia, ossia che la Covid-19 ha portato a un aumento dei pazienti “con necessità di supporto vitale respiratorio prolungato” e che, nonostante gli sforzi fatti, “nelle aree più colpite si è reso necessario procedere a una allocazione delle risorse attraverso criteri di triage basati sul principio etico di giustizia distributiva” (a-): riconosce che, per necessità, c’è stata selezione di chi ammettere alle cure e che per la scelta sono stati utilizzati anche criteri extra-clinici concernenti l’etica della giustizia distributiva.

Come valuta il Documento condiviso questa condotta? E’ stata buona o cattiva? La risposta è alquanto confusa. All’inizio precisa che i criteri di accesso alla rianimazione “si basano prioritariamente su principi di appropriatezza clinica e proporzionalità delle cure verso il singolo paziente” (b-), e solo in via secondaria “devono rispondere anche ad esigenze di giustizia distributiva e di equa allocazione delle risorse sanitarie disponibili” (b-). Subito dopo, però, il testo ritorna sui propri passi e afferma: “L’accesso alle cure, indipendentemente dalle risorse [disponibili] e dalla garanzia dell’appropriatezza clinica, deve fondarsi sul ragionamento che è alla base del giudizio clinico, sulla proporzionalità e sulla adeguatezza delle cure secondo il CD [Codice Deontologico], in relazione al bilancio fra costi/benefici di ogni pratica clinica, commisurata agli esiti prevedibili di salute” (b-).

L’inciso “indipendentemente dalle risorse [disponibili] e dalla garanzia dell’appropriatezza clinica” manda il discorso in tilt: non ha senso dire che l’accesso alle cure è indipendente dalle risorse disponibili e dalla appropriatezza clinica, soprattutto se si considera che la frase è tesa a ribadire proprio l’obbligatorietà del giudizio clinico basato sulla proporzionalità e adeguatezza delle cure. L’inciso è forse un residuo di una precedente versione che non è stato cancellato o per stanchezza, o per lo scompiglio generato dall’impurità commessa per aver ammesso anche solo per un momento la validità del criterio-extra clinico della giustizia distributiva.

In breve: sia pure in modo poco lineare, il testo afferma l’obbligatorietà del giudizio clinico dato sulla scorta di criteri clinici generali con cui bilanciare oneri delle cure e benefici prevedibili di salute, ed esclude i criteri extra-clinici della Siaarti.

6. In seconda battuta il Documento sostiene il modello del “caso per caso”.
Nel paragrafo immediatamente successivo il Documento sottolinea che tutti i medici – rianimatori inclusi – “devono essere coerenti con i principi etici e le regole deontologiche della professione medica. Ciò comporta l’individuazione dei parametri clinico-strumentali e dei contesti personali di riferimento per un ponderato giudizio clinico e i suoi conseguenti sviluppi operativi; ogni decisione è formulabile caso per caso, con criteri rispettosi dei diritti e della dignità delle persone” (c-).

Mentre prima il giudizio clinico pareva far riferimento a criteri generali, ora ogni decisione circa un “ponderato giudizio clinico […] è formulabile caso per caso”, tesi confermata poco più sotto ove si legge: “Nel caso in cui lo squilibrio tra necessità e risorse disponibili persista, è data precedenza per l’accesso ai trattamenti intensivi a chi potrà ottenere grazie ad essi un concreto, accettabile e duraturo beneficio. A tale fine si applicano criteri rigorosi, espliciti, concorrenti e integrati, valutati sempre caso per caso, quali: la gravità del quadro clinico, le comorbilità, lo stato funzionale pregresso, l’impatto sulla persona dei potenziali effetti collaterali delle cure intensive, la conoscenza di espressioni di volontà precedenti nonché la stessa età biologica, la quale non può mai assumere carattere prevalente” (d.1).

A parte l’autoreferenzialità circa i “criteri rigorosi” (di rigore ce n’è poco, e anche i criteri ricordati sono a titolo esemplificativo), il punto importante è che il Documento ribadisce che la valutazione va fatta “sempre caso per caso” applicando criteri “concorrenti e integrati” cioè mixati in un’alchimia inestricabile riproposta anche poco più sotto ove i criteri previsti sono in parte diversi dai precedenti (“il rispetto, la tutela della dignità e della salute della persona, la proporzionalità e l’adeguatezza delle cure, l’equità d’accesso, il criterio di beneficialità, l’età e/o le altre situazioni di vulnerabilità”) ma tali che “non possono essere utilizzati separatamente” (d.3). Cioè vanno applicati tutti assieme e non sono gerarchizzabili, come vuole il modello del “caso per caso” in cui non vale l’appello a principi generali ma conta l’intuito, la sensibilità e l’esperienza del medico.

7. Norma di chiusura
Per non lasciar dubbi sul fatto che la scelta sia tutta in capo al medico, al suo intuito e alla sua competenza, prima di chiudere il Documento con solennità afferma: “Il diritto individuale all’eguale accesso alle cure sanitarie deve rimanere il cardine della protezione che lo Stato è tenuto a fornire e che i Medici hanno il dovere di garantire quale principio deontologico indissolubile” (d.3), ossia assoluto. Detto altrimenti: poiché i medici hanno il dovere indefettibile di garantire a tutti l’accesso alle cure, lo Stato deve aumentare i posti letto così da evitare le situazioni in cui fare scelte tragiche che possono suscitare conflitti.

Non potendo escludere, però, il ripetersi di situazioni in cui la scelta è inevitabile, il Documento precisa che “Il ricorso selettivo a criteri che valgano a legittimare differenziate modalità di cura è da considerarsi esclusivamente in stato di assoluta necessità. Il ricorso a tali criteri non può essere inteso come il diniego del principio non negoziabile dell’uguaglianza di valore di ogni essere umano” (d.3). In altre parole, quand’anche si dovesse fare selezione su chi ammettere o no alle cure sanitarie, la palese violazione del principio non negoziabile non conta e è come se non ci fosse stata. Invece di riconoscere che il problema c’è (come aveva fatto la Siaarti) e cercare di trovare una soluzione, magari attraverso un’interpretazione più raffinata dell’uguaglianza che consenta di individuare criteri equi di esclusione , il Documento preferisce negare la realtà e dire che quand’anche capitasse “il diniego del principio non negoziabile dell’uguaglianza” è come se nulla fosse avvenuto, che tale diniego è qualcosa che non esiste o che è da nascondere, o che comunque è irrilevante sul piano normativo.

8. Conclusione: perché la tranquillità regna nel mondo medico italiano.
Oltre al deprecabile fatto di essere stato elaborato da una Commissione tutta al maschile nonostante i medici siano al 50% e più al femminile, il Documento presenta altri punti poco chiari o imprecisi, come quello sull’informazione, che andrebbe data al paziente “con l’obiettivo di sviluppare una relazione di fiducia nell’affidamento alla cura” (e-) e non perché dovuta.

Tralasciando questo come altri aspetti minori, ho mostrato che il Documento presenta obiettivi dissonanti o strabici perché per un verso vuole ricondurre la Siaarti al Codice Deontologico prospettato come norma immutabile e sicura, e per l’altro prevede che sul punto il Codice vada modificato (§ 4).

All’inizio esclude i criteri-extra clinici delle Raccomandazioni Siaarti, pur accettando il modello dei “criteri generali” (§ 5). Subito dopo, però, lo abbandona per accogliere il modello del “caso per caso” (cfr. § 6) che assegna la scelta alla discrezione del medico. Non pare ci sia consapevolezza del salto metodologico compiuto, che mette il Documento sulla linea delle società di geriatria e annulla gli assunti stessi alla base delle Raccomandazioni Siaarti.

Infine, per chiudere ogni possibilità di ricorso a criteri extra-clinici di etica di giustizia distributiva circa le scelte tragiche, il Documento afferma che quand’anche si presentasse al medico la malcapitata ipotesi di dover scegliere, ciò non avrebbe alcuna conseguenza sul piano normativo e valoriale perché è come se nulla fosse successo (§ 7).

Ecco perché la lettura del Documento mi ha fatto tornare alla mente “la tranquillità regna a Varsavia”: come nel 1831 la repressione degli insorti da parte dell’armata russa ha normalizzato la situazione a Varsavia, così ora l’annullamento di ogni iniziale istanza Siaarti da parte del Documento congiunto ha riportato la pace nel mondo sanitario italiano. Come le richieste dei liberali polacchi allora silenziate a Varsavia si ripresentarono rigogliose qualche anno dopo, così prevedo che la proposta di criteri extra-clinici tornerà presto alla ribalta.

Forse sarebbe stato meglio che la Fnomceo si fosse messa in ascolto e, senza perdere tempo prezioso, avesse accettato di riflettere seriamente sulla questione.

In attesa di vedere se l’intesa con la Simla sia andata meglio concludo osservando che, mutatis mutandis, le Raccomandazioni Siaarti sono l’analogo del “rock”: gli amanti del “bel canto” all’inizio sono andati su tutte le furie e non l’hanno riconosciuta come musica, ma poi han dovuto prendere atto che anche i Beatles sono stato insigniti dell’Order of the British Empire.

Maurizio Mori
Ordinario di Filosofia Morale e Bioetica, Università degli Studi di Torino

Presidente della Consulta di Bioetica Onlus
Componente del Comitato nazionale per la bioetica
Socio onorario della Sifes (Società italiana di Fertilità e sterilità)

 

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