Gravidanza per altri, il divieto universale non tutela i diritti di donne e bambini

GRAVIDANZA PER ALTRI,
IL DIVIETO ASSOLUTO NON TUTELA I DIRITTI DI DONNE E BAMBINI

di Maurizio Mori*

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Il 26 luglio 2023 la Camera ha approvato in prima lettura con 166 sì, 109 no e 4 astenuti il Ddl che prevede il divieto universale di gravidanza per altri (GPA). Numerose sono state le dichiarazioni fatte a caldo, che qui voglio riportare per documentazione e anche per esaminare gli argomenti messi in campo.
Poco dopo l’approvazione della Camera, l’Associazione Pro Vita & Famiglia ha esultato: è «una vittoria di civiltà, umanità e buon senso. […] oggi è stato compiuto il primo e fondamentale passo per tutelare le donne e i bambini. La maternità surrogata, infatti, è la schiavitù del terzo millennio, che riduce le donne a corpi da usare e sfruttare, spesso in condizioni di indigenza economica e sociale, e usa i bambini come oggetti di desideri ideologici da comprare come merce al supermercato. Tutto questo abominio non può più essere tollerato, perché le donne non sono schiave e i bambini non sono un diritto”.

Forni per produrre bambini

Tesi e toni simili anche da parte di Maria Carolina Varchi (Fratelli d’Italia), relatrice del ddl: la scelta del divieto universale «rappresenta una questione di civiltà. […] La donna con questa pratica è trasformata in un forno per dare alla luce un bambino: non è possibile. La relazione che vogliamo proteggere è il diritto del bambino ad avere una mamma e un papà». Anche la deputata Grazia Di Maggio (Fratelli d’Italia) : «Oggi si compie un grandissimo passo e un indirizzo di civiltà. […] difendiamo il corpo delle donne che non può essere né mercificato né mortificato».

Il 27 luglio su Avvenire Assuntina Morresi ha scritto che approvando il divieto universale “il nostro Paese si avvia a essere un’avanguardia nella promozione, a livello internazionale, dei diritti fondamentali di donne e bambini”. Si tratta di una scelta di civiltà in quanto per Morresi la GPA mette in gioco “la concezione stessa del materno, cioè di quel rapporto unico che lega ogni donna al proprio figlio: rapporto che si forma durante l’esperienza della gestazione e del parto, eventi che segnano la differenza fra un uomo e una donna, caratterizzante la specie umana”.

Morresi sa bene che “diventare madre non è riconducibile al solo dato biologico”, e che può esserci maternità “anche al di fuori della generazione fisica di un figlio, ma è lo straordinario vissuto della gravidanza e del partorire a esserne il paradigma. Un paradigma che la surroga di maternità muta radicalmente”. In altre parole, gravidanza e parto sono il modello archetipo di maternità, mentre le altre possibili forme (es. adozione, etc.) sono forme derivate, se non dimidiate. La GPA stravolge l’“archetipo del materno”, e questo stravolgimento “reso possibile da certe nuove tecnologie” riproduttive (la fecondazione in vitro) crea un “mercato dell’umano” che è in sé “degradante”, a prescindere da eventuali consensi. Se si facesse dipendere il degradante o no “dalla percezione personale o dalle dichiarazioni di volontà delle persone” si dovrebbero ammettere anche i “liberi contratti di schiavitù”. Ma questi sono vietati, e quindi va vietata anche la GPA, per cui il divieto universale è affermazione di civiltà a tutela del “materno”.

Il 28 luglio su La Verità Massimo Gandolfini ha messo in luce che il divieto universale ha un duplice significato: da una parte fa riconoscere “l’assurdità di una pratica che Massimo Cacciari non ha esitato a definire «l’inferno sulla terra» e «vomitevole» il correlato business miliardario – che di fatto sfrutta la donna […] per soddisfare la volontà della coppia committente di avere un bimbo in braccio”. La cosiddetta «gestazione solidale» non esiste affatto, perché l’intera pratica è controllata da “agenzie che lucrano pesantemente sui bisogni economici delle donne e sul desiderio genitoriale delle coppie. I «rimborsi spese» […] non sono altro che il pretesto dietro cui nascondere parcelle di decine di migliaia di euro o dollari, nella quasi totalità incassati dagli speculatori, mentre alla gestante viene riservata qualche briciola”. L’altro significato del divieto universale è di carattere “culturale e antropologico e riguarda tutta la incivile pratica dell’utero in affitto”: significato che per Gandolfini avrebbe dovuto essere affermato all’unanimità e non solo a maggioranza (e neanche troppo ampia, aggiungo io). Dopo aver ribadito la «assurdità» di tesi come quelle che assimilano la GPA a un «trapianto temporaneo d’organo», Gandolfini auspica che il divieto sia confermato presto dal Senato: “ne va della civiltà del nostro Paese”.

Infine, il 30 luglio su Libero anche Roberto Formigoni ha ribadito che “è civiltà” considerare reato la maternità surrogata: pratica “orrenda” che era “già proibita in Italia, [… ma che] verrà da ora punita anche per chi la compirà all’estero. E la cosa interessante è che anche diversi membri dell’opposizione o non hanno votato o hanno votato a favore”. L’Italia, “primo paese al mondo” giustamente prende le difese “dei diritti fondamentali delle donne e dei bambini” perché “il rapporto tra una madre e il figlio che porta in grembo è unico, imprescindibile, non corruttibile e tanto più non comprabile da alcuno”. La scelta italiana “può segnare un’inversione di tendenza: in nessun paese l’utero in affitto è dichiarato reato universale, anche se molti paesi al mondo l’hanno messo fuori legge. Ma i paesi cosiddetti più moderni e avanzati lo considerano lecito, in diversi paesi è utilizzato dagli anni duemila e la pratica va diffondendosi”.

I diritti del bambino e delle donne

Il resoconto delineato rivela che tutte e sei le dichiarazioni riportate in qualche modo insistono nel sottolineare che il divieto universale è una scelta di “civiltà”, dove il termine “civiltà” è usato nell’accezione positiva che ha come contrario “inciviltà”, la situazione di barbarie in cui vige il “disumano” contrapposto all’“umano” inteso come indice appunto di civiltà. Il contenuto esatto di questa scelta non è specificato, anche se dal contesto si evince che il divieto universale sarebbe buono perché posto a tutela dei diritti del bambino e della donna. Salvo Morresi, su cui tornerò a breve, nessuno cerca di argomentare perché il divieto universale tuteli tali diritti, ma tutti danno il punto come ovvio e scontato. Varchi addirittura precisa che da proteggere è il “diritto del bambino ad avere una mamma e un papà”, dove il mantra “mamma e papà” è un insulto e a tutti i single che per le ragioni più diverse si trovano a crescere monoparentalmente i propri figli. Non c’è bisogno di essere psicologi né per vedere i disastri compiuti da una qualche figura genitoriale etero, né per riconoscere che la genitorialità dipende dall’assunzione di responsabilità per il benessere del nato a prescindere dal genere.

Ove si andasse a vedere quali sono i (presunti) “diritti” del bambino che sarebbero tutelati dal divieto universale, si avrebbe una sorpresa. Infatti, anche se forse non è pienamente adeguato formulare il discorso in termini di “diritti”, la riflessione rivela che invece di tutelare i “diritti” del nato, il divieto universale li viola in quanto previene l’interesse del bambino a nascere, dal momento lui può nascere solo grazie alla GPA: lui, quel bambino specifico senza di essa non nascerebbe. Se per lui, che è voluto dai suoi genitori, nascere è bene e dopo esser nato è amato e contento (come capita: i nati GPA sono felici di vivere e non vagolano disperati nel mondo!), allora vietare che nasca è recare un danno, in quanto il divieto evita la gioia che quella nascita porterebbe prima di tutto al nato stesso, il quale (ex-post) è contento di esser al mondo e che altrimenti non ci sarebbe. Ma sono contenti anche tutti gli adulti coinvolti, tranne chi è aprioristicamente contrario alla GPA. In breve: il divieto universale non tutela affatto i “diritti del bambino” ma se mai li conculca.

Quanto invece alla tutela dei “diritti della donna” il discorso va articolato meglio. Tutti gli interventi riportati hanno lanciato un grido sottolineando che la GPA violerebbe i diritti delle donne (in particolare delle “gestatrici”, le donne che accettano di avere la gestazione per altri) per via del business connesso alla pratica commerciale. Gandolfini addirittura nega che ci sia la GPA solidale, quella fatta gratuitamente. Spiace contraddirlo ma si informi meglio: ci sono donne disposte alla GPA solidale. Può darsi non siano molte, ma ci sono e vanno valorizzate, non offese. È fondamentale partire da quest’esperienza perché essa ci consente di capire la logica del discorso sotteso alla GPA e di considerare poi le varie obiezioni.

Partiamo da un caso realmente accaduto in Lombardia: due sorelle che si vogliono bene, di cui una sposata con due figli e l’altra che vorrebbe averne uno dal compagno ma che per ragioni di salute non può avere gravidanze: che male c’è se la sorella in salute avesse una gravidanza per l’altra? Unica che cerca di spiegare il divieto (senza darlo per scontato), Assuntina Morresi chiarisce che la GPA non va mai bene neanche in questo caso perché viola “l’archetipo del materno” e la pratica è in sé “degradante” a prescindere da eventuali consensi, che in questo caso non valgono perché altrimenti varrebbe anche il consenso per la “schiavitù volontaria”.

L’errore di Morresi sta nel non vedere che farsi schiavo è cedersi tutto come “persona intera”, mentre nella GPA la signoria su di sé e sulla propria persona resta integra e intatta, e questa persona integra offre e dona solo una specifica funzione e in via temporanea. È come se desse il proprio sangue che è pur sempre una parte di sé, ma è un dare volontario e limitato. L’analogia con la schiavitù è proprio sbagliata. Può darsi che Morresi sia fuorviata dal fatto che fino a poco tempo fa la sfera sessual-riproduttiva era avvolta da un’aura sacrale che regolava l’esercizio delle funzioni sessuali con norme tassative il cui mancato rispetto portava a situazioni degradanti e abiette (simili alla schiavitù). Chi supera quest’idea di sacralità della riproduzione riconosce che non c’è nulla di intrinsecamente degradante nell’avere una gravidanza per la propria sorella: anzi è qualcosa di buono che aumenta la felicità generale. Il divieto universale di quest’opportunità è una violazione del diritto della donna di offrire un aiuto alla propria sorella che ne ha bisogno.

Morresi potrebbe insistere che comunque la GPA viola l’“archetipo materno” che per lei è unico e caratterizzante la specie umana e che per Formigoni è imprescindibile e non corruttibile. Se così fosse una sua violazione sarebbe impossibile com’è impossibile violare la legge di gravità. Il problema è che l’archetipo del materno è qualcosa di storico, che cambia col mutare delle situazioni storiche e delle tecniche. L’adozione minorile ha già cambiato molto il “materno” e molto altro cambierà con le nuove tecniche riproduttive, con buona pace di chi, come Morresi, cerca di ipostatizzarlo ammantandolo di un’eternità che non ha.

Chiarito che la GPA solidale è buona e rispettosa dei diritti delle donne che liberamente si offrono e sono disposte a donare, si può passare a considerare la forma che prevede rimborsi o che è anche retribuita. So bene che la presenza del denaro, come sempre, crea ulteriori difficoltà che qui, per ragioni di spazio, non posso affrontare. Mi limito a dire che una volta riconosciuto che la pratica della GPA è in sé lecita, allora anche le ulteriori difficoltà poste dal denaro sono superabili.

Ultimo tema evocato dalle dichiarazioni contro la GPA è che è pratica riservata a soli committenti ricchi che si affidano a agenzie pronte a lucrare su tutto pur di realizzare affari miliardari. Non escludo che ci siano speculazioni e distorsioni, ma questo tema ricorda quello usato anni fa contro il telefono cellulare che agli inizi era solo per pochi eletti. Come il cellulare si è presto diffuso tanto da diventare oggi per tutti e indispensabile, ci si deve chiedere se qualcosa di simile non capiterà anche con la GPA. È difficile fare previsioni, ma un indizio è dato da Formigoni quando rileva che nei “paesi cosiddetti più moderni e avanzati” il cui la GPA è lecita “la pratica va diffondendosi”, forse perché intercetta un’esigenza diffusa.

*Maurizio Mori è Presidente della Consulta di Bioetica Onlus, Comitato Nazionale per la Bioetica