Gli anestesisti rianimatori in prima linea nel contrasto alla pandemia.

INTERVISTA AL DR DAVIDE MAZZON

 

A un anno dalla diffusione della pandemia Covid-19 che ci affligge, abbiamo interpellato il dottor Davide Mazzon, da quasi 20 anni direttore del Reparto di Anestesia e Rianimazione all’ospedale “San Martino” di Belluno, eletto vicepresidente dell’Ordine dei Medici provinciale e membro del Comitato Etico e del Consiglio Regionale della Società Italiana di Anestesia e Rianimazione.

Dottor Mazzon, ci può fare un bilancio della attività che ha visto in prima linea gli Anestesisti-Rianimatori, nella realtà bellunese e da un punto di vista generale?

“Un anno di pandemia ha comportato l’immersione in un mare di circostanze inedite e sconvolgenti che vanno analizzate dagli strati più superficiali a quelli più profondi. Ciò che è più macroscopicamente evidente è il numero elevato di pazienti affetti da insufficienza respiratoria da SARS-CoV2 giunti nelle Rianimazioni. A Belluno sono stati 25 nella prima ondata, 65 sinora nella seconda ondata, rappresentando circa un terzo dei nostri pazienti in quest’ultimo anno. Con la costante ricerca di perfezionare le conoscenze ed il trattamento su una malattia nuova, orientandoci fra la scarsità di evidenze scientifiche a sostegno di trattamenti specifici e la analogie possibili di trattamento con altre patologie trattate in Rianimazione, come l’ARDS (Insufficienza Respiratoria Acuta dell’Adulto nel paziente settico, traumatizzato, postoperato,…) e che conosciamo. Con la necessità di un collegamento e di un confronto sempre proficuo con il Reparto di Pneumologia diretto dal dottor Muzzolon, assieme al quale intercettare precocemente i pazienti da trasferire in Rianimazione, per arrestare una evoluzione fatale della malattia. Facendo quotidianamente i conti con l’affaticamento psicofisico degli operatori sanitari costretti a lavorare indossando dispositivi che da una parte proteggono dal contagio, dall’altra esasperano la condizione di isolamento dei pazienti che, anche se coscienti, non possono ricevere le visite dei familiari e si relazionano con operatori mascherati ed irriconoscibili. La pandemia in Italia ha interrotto bruscamente un percorso culturale pluridecennale di “apertura” delle Rianimazioni, mirato a riconoscere un preciso bisogno e un preciso diritto del paziente e dei suoi familiari, nonché a creare intesa e collaborazione fra famiglie dei pazienti ed equipe curante. Abbiamo aumentato, sia nella prima che nella seconda fase, cioè quella ora in corso, il numero di infermieri dedicati ad una assistenza altamente qualificata, sottoponendo questi professionisti ad un rapido percorso formativo, favorito da ammirevoli disponibilità e capacità di acquisire rapidamente le nuove competenze necessarie. Solo quando durante l’estate il virus ha allentato la morsa, le ferie hanno consentito un recupero di energie, sino a questa seconda fase, iniziata ad ottobre 2020 e che non accenna affatto a placarsi”.

A suo parere la struttura sanitaria in generale, oggi è maggiormente preparata ad affrontare eventuali recrudescenza del virus, oppure necessita di maggiori interventi ed investimenti?

“A fronte dello sforzo intrapreso e mantenuto ormai da un anno per fronteggiare la pandemia, che ha coinvolto gli Ospedali, la Medicina Territoriale, le RSA, la sanità del nostro paese ha mostrato le straordinarie doti dei suoi operatori, ma ha anche scoperto tutte le sue crepe, dopo decenni di definanziamento della sanità pubblica, tagli di posti letto, blocco del turnover del personale. La necessità di investire enormi risorse nel tentativo di controllare la pandemia ha comportato la conseguenza di allungare i tempi di attesa per interventi chirurgici, visite ambulatoriali, esami diagnostici, mettendo in crisi un modello di sanità pubblica ancora troppo “ospedalecentrico” e proprio laddove tale modello si è maggiormente esasperato, come ad esempio in Regione Lombardia, la pandemia ha determinato una vera ecatombe. Personalmente, ravvedo il pericolo che il contesto emergenziale possa comportare, anche se non deliberatamente, la messa in discussione del diritto all’accesso per tutte le cure, come se la pandemia oscurasse tutto il resto. Ma mi auguro che la pandemia possa rappresentare una forte stimolazione per rivedere e ripristinare quanto è stato smantellato e attuare un piano di robusto finanziamento del sistema sanitario pubblico. Io non mi sono mai trovato di fronte ad una reale carenza di risorse tecnologiche, di farmaci o dispositivi per affrontare la pandemia, ma sono estremamente preoccupato perché vedo il rischio concreto di esaurimento delle risorse mentali, emozionali, relazionali oltreché fisiche dei sanitari che operano da un anno con poco riposo e senza periodi di “stacco” accanto alle persone con infezione da SARS-CoV2”.

Esiste una regia per quanto riguarda le modalità di cura e la gestione dei pazienti affetti da Covid nelle Rianimazioni può contare su un Coordinamento regionale o centrale?

“A questa domanda, rispondo innanzitutto che sono pienamente convinto che solo un approccio collaborativo, in rete con altre Rianimazioni con cui condividere conoscenze ed esperienze, può consentirci di affinare il nostro approccio alla infezione da SARS-CoV2 e migliorare gli esiti dei nostri pazienti.
La Rianimazione di Belluno può contare su competenze professionali individuali e collettive maturate grazie a pluriennali contatti e collaborazioni con altre realtà italiane ed europee. Nel caso della infezione da SARS-CoV2, i protocolli terapeutici da noi adottati sono elaborati all’interno del Coordinamento Regionale delle Terapie Intensive della Regione Veneto, dove la nostra Rianimazione è rappresentata da me e dal dr. Poole, docente di metodologia della ricerca nei programmi formativi della Società Italiana di Anestesia e Rianimazione.
Ho già detto della condizione di isolamento vissuta dai pazienti e dai loro familiari come una fonte di frustrazione e di esasperazione che può certamente contribuire ad alimentare nei confronti dei professionisti sanitari diffidenza, sfiducia e ostilità. Inoltre, anche in circostanze drammatiche come quelle dell’attuale pandemia, uno degli obiettivi di cura resta quello di tutelare le relazioni, rispettando il più possibile il bisogno (e il diritto) del paziente di avere accanto a sé le persone per lei/lui più significative. La equipe della nostra Rianimazione, diretta dal dr. Bernardi e dalla Coordinatrice Infermieristica Dorigo, ha adottato sin dalla prima fase della pandemia modalità strutturate per garantire la migliore qualità delle relazioni fra pazienti e familiari “a distanza”, utilizzando videochiamate e contribuendo a realizzare le linee-guida della nostra Società Scientifica dal titolo “ComuniCoViD – Come comunicare con i familiari in condizioni di completo isolamento”, che affrontano i problemi etici, tecnici, psicologici e giuridici correlati a questa modalità comunicativa fra paziente e familiari. Ma le conoscenze attuali e la disponibilità di Dispositivi di Protezione Individuali oggi consentono e direi quasi obbligano anche di valutare con favore una attenta e progressiva ripresa delle visite ai pazienti affetti da infezione da SARS-CoV2 da parte dei familiari in Rianimazione, da strutturare con la Direzione Medica Ospedaliera”.

Pur con differenze fra Regione e regione, il Sistema sanitario è stato messo a dura prova e sorge la preoccupazione circa la possibilità che non mettere sotto controllo la pandemia possa comportare il rischio di abbassare la quantità e la qualità delle cure erogate. Si tratta di un rischio concreto? Vi sono indicazioni per medici come voi in prima linea nel contrasto alla pandemia?

“La pandemia da SARS-CoV2 ha sottoposto il Servizio Sanitario Nazionale a una pressione straordinaria, determinando in alcune regioni e in alcuni periodi situazioni di squilibrio fra domanda e offerta di assistenza nonostante la predisposizione di strategie di azione mirate a pianificare diversamente le attività sanitarie e a potenziare le risorse. Le Rianimazioni del Veneto hanno retto molto bene questa pressione, grazie alla realizzazione di posti letto aggiuntivi, ottenuti ristrutturando o riconvertendo strutture destinate ad altri usi e ad un aumento del parco tecnologico necessario per affrontare la pandemia. Si è ulteriormente rafforzata la collaborazione fra tutti gli Anestesisti-Rianimatori del Veneto, e mi risulta che durante il picco della prima ondata, per quanto possibile, sia stata data anche la disponibilità ad accogliere pazienti dalle regioni limitrofe.
La nostra comunità scientifica ha dovuto anche interrogarsi su come assicurare il primario e fondamentale diritto alla salute, nella condizione di squilibrio fra domanda e offerta di assistenza talora creatasi durante la pandemia. Ho avuto la grande opportunità di fare parte del gruppo di lavoro composto da Anestesisti-Rianimatori, Medici Legali e Giuristi che ha realizzato il documento “Decisioni per le cure intensive in caso di sproporzione tra necessità assistenziali e risorse disponibili in corso di pandemia da COVID-19”, che è stato assunto fra le “buone pratiche cliniche” dall’Istituto superiore di sanità, organismo del Ministero della Salute. In questo testo, di riferimento per gli Anestesisti-Rianimatori italiani e redatto anche dopo consultazione pubblica, sono esplicitati principi e criteri a cui fare riferimento per bilanciare il diritto di ogni paziente ad avere pari opportunità di accesso alle cure con la necessità di garantire i trattamenti di supporto vitale al maggior numero possibile di pazienti che ne possano avere benefici, analogamente a quanto succede in altre branche della medicina, dagli interventi chirurgici alle cure oncologiche, anche in condizioni di scarsità di risorse. Questo si attua attraverso un “triage” che deve tenere nella massima considerazione la doverosità di trattare il maggiore numero di pazienti con trattamenti potenzialmente utili quando si decide di applicarli, senza sconfinare nella cosiddetta ”ostinazione irragionevole”, vietata sia dal Codice di Deontologia medica sia dalla Legge 219/2017 sul Consenso Informato.
Vorrei concludere con un pensiero ai 332 Medici, agli oltre 80 Infermieri e ai 26 Farmacisti deceduti a causa del coronavirus, quasi tutti nell’esercizio della loro professione. Dal cordoglio per queste vittime scaturisce l’appello ad una responsabilità collettiva, dalle istituzioni a tutti gli individui, affinché le prime agiscano con tempestività, efficienza e trasparenza nel contrastare la pandemia ed i secondi si attengano con disciplina alle disposizioni per la prevenzione del contagio e si vaccinino. I dati GIMBE di qualche giorno fa mostrano che i contagi tra gli operatori sanitari si sono ridotti del 64,2% da quando è stata avviata la somministrazione delle seconde dosi di vaccino, con un calo costante registrato ogni sette giorni. Al momento, la vaccinazione di massa è l’arma in cui sperare più di ogni altra cosa per uscire dalla pandemia: è necessario quindi accelerare le forniture e le somministrazioni, facendo ogni sforzo per promuovere una piena adesione da parte della popolazione alla campagna vaccinale”.

 

Belluno Press