Un articolo di MARIOLINA NOTARGIACOMO su la NUOVA del SUD del 5 marzo 2022
La Onlus, coordinata in Basilicata dalla giovane Alessia Araneo, non si ferma alle motivazioni della Corte Costituzionale sul respingimento del quesito referendario Coscioni, ma chiede al Parlamento di legiferare sul tema: i giudici non ammettono l’abrogazione dell’art. 579 del Codice penale, ma non escludono una possibile modifica o la sostituzione.
Da sempre mortificato o relegato a pochi – nonostante il tema si imponga in tutta la sua importanza e complessità – il dibattito sull’eutanasia, che nell’ultimo periodo ha ricevuto impulso da più di un milione e duecento mila italiani che hanno aderito alla campagna referendaria, non deve esaurirsi. E’ questo l’appello lanciato dalla Consulta nazionale di Bioetica Onlus, che all’iniziativa promossa dal Comitato Coscioni, ha voluto aderire proprio al fine di suscitare la doverosa attenzione alla questione e che, all’indomani della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale sull’inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente, accende i riflettori sull’incapacità della politica di legiferare in tal senso, consentendo che quello del “Fine Vita” continui a rimanere un caso politico a disposizione della querelle mediatica per le ragioni che quasi mai coincidono con le esigenze della comunità.
«Sappiamo bene – dichiara Alessia Araneo, coordinatrice della sezione lucana della Consulta di Bioetica – che riuscire a calibrare ogni diritto ed ogni interesse in gioco, non è affatto semplice. Nonostante è ormai chiaro, che da vero e proprio tabù, le tematiche che interessano la nascita, la riproduzione e la morte dell’individuo, continuano a riscontrare un interesse maggiore rispetto al passato. Ed è giusto che si predispongano le condizioni per un dibattito laico, plurale e razionale. È il caso anche del Sud del nostro Paese – spiega Araneo – il cui riscontro è stato possibile attraverso il dialogo con gli studenti. L’interesse mostrato da parte dei più giovani durante gli incontri promossi dalla Consulta nelle scuole fa ben sperare, anche perché si tratta di riflessioni approfondite e che, in qualche occasione, hanno visto i nostri ragazzi opporsi al pensiero dei genitori, nel segno di una sorta di affermazione, neppure timida, del principio dell’autonomia, dell’autodeterminazione del singolo e dei diritti civili, che nei giovani emergono più saldi di quanto non lo sia stato e non lo sia, nelle generazioni passate. Non mancano, infatti, casi in cui durante gli eventi ai quali partecipano le famiglie, si siano sviluppati confronti accesi. Beh, questo va nella direzione auspicata, perché potrebbe dare impulso all’azione dei parlamentari, spesso rinunciatari di fronte a scelte che potrebbero risultare impopolari. Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia, purtroppo, sconta un’arretratezza ingiustificata – scandisce – un ritardo che la Consulta di Bioetica prova a rincorrere ormai da decenni. La promozione di un referendum sull’eutanasia, per quanto il quesito referendario sia risultato carente per certi aspetti, rappresenta un passo in avanti importante per le ricadute sulla collettività e sulla individualità. Appiattire il discorso, molto più ampio e articolato dell’eutanasia, sul modo in cui è stato posto il quesito potrebbe risultare fuorviante, perché trascura l’importanza della materia. Sta dunque al parlamento formulare una legge che tuteli la vita, come richiesto dalla Costituzione, ma che apra e consenta a chi versa in una condizione di infermità irreversibile, ineluttabile, inguaribile di porre fine alla propria esistenza. La Consulta di Bioetica ha da sempre sostenuto che sia necessario mantenere sui temi che interessano l’inizio e il fine vita una cosiddetta giurisdizione morbida, che non ponga troppi paletti. Non legiferare sul tema dell’eutanasia, come da sempre accade, non corrisponde affatto alla tutela della vita in senso proprio, ma significa far valere una certa concezione della vita stessa, che non può essere uguale per tutti. Ammettere l’eutanasia, non vuol dire, come si vuol far credere, imporre la morte, ma consente ad un paziente afflitto da una malattia terminale o cronica la possibilità di appellarsi ad una buona morte da parte di chi ne fa legittima richiesta. Affermare poi, come di recente è stato fatto in un’intervista dal direttore del Centro di Bioetica lucano, Rocco Gentile, che la libera scelta di porre fine alla propria irreversibile sofferenza significhi annientare la cura ci sembra piuttosto azzardato. La relazione medico paziente è molto cambiata nel tempo – spiega Araneo – fino a qualche decennio fa, specie nel nostro Paese, il rapporto era sbilanciato, verticistico, paternalistico. Oggi si parla, invece, di alleanza terapeutica e di orizzontalità tra assistito e medico oltre che di principio di autonomia del paziente. Principi che si sono affermati anche in Italia e che consentono di poter assumere decisioni come nel caso dell’eutanasia. L’idea che la vita sia sacra e sempre indisponibile, se non per impulso del suo creatore o chi per lui, rappresentare da sempre la premessa sottesa al discorso. In una società laica e plurale, un convincimento religioso non può diventare un principio universalmente condiviso. Mentre è necessario tutelare anche chi la pensa diversamente. Come nel caso di chi ritiene, nella fattispecie, di poter disporre della propria esistenza che, è sì buona, ma non incondizionatamente, come, al contrario, si legge nelle motivazioni della sentenza della Consulta che considera la vita “bene apicale” e che limita “la libertà di autodeterminazione sulle ragioni di tutela del medesimo bene”. Sebbene i giudici lascino spazio all’attività del legislatore che, come riporta la stessa sentenza della Corte Costituzionale, può intervenire modificando e sostituendo l’art. 579 del codice penale, ma non abrogarlo, come potrebbe trasparire dal quesito referendario. Purtroppo non c’è stata la possibilità di un confronto serrato con il Comitato promotore, i tempi erano stretti e ci ritrovavamo ad organizzare la campagna durante la crisi epidemiologica, con tutte le difficoltà del momento. Allo stesso tempo, non si può non tener conto della risposta ricevuta dalla cittadinanza. Il sentire collettivo rispetto a queste tematiche è cambiato. Quando la Consulta di Bioetica scrisse il primo documento, pronunciandosi a favore dell’eutanasia, stiamo parlando del 1993, fu uno scandalo. Oggi non si può non tener conto dell’esigenza di una regolamentazione della materia. E’ un necessità emersa proprio con la richiesta del referendum, al quale non si può rispondere con una inderogabile scelta della tutela della vita umana. Il Parlamento – conclude Araneo – non può rimanere distante dalla cosiddetta “vita reale”, ma si dimostri capace di rispondere all’esigenza sempre più impellente, legiferando una buona volta in favore della morte medicalmente assistita per consentire a chi patisce una sofferenza grave e irreversibile di trovare pace, quando è impossibilitato a farlo da sé».