Comunicato Stampa: Sulla tragica vicenda di Alfie Evans

Sulla tragica vicenda di Alfie Evans:
ribadiamo il sostegno alla buona pratica clinica inglese e manifestiamo forte sorpresa per alcune reazioni italiane decisamente sopra le righe.

 

Alfie Evans è morto all’alba del 28 aprile 2018, a circa 5 giorni dalla sospensione delle terapie, dopo che la sera del 26 aprile i genitori avevano espresso la massima fiducia nell’operato dell’ospedale e chiesto ai sostenitori che stazionavano davanti all’ospedale di andarsene a casa per consentire alla loro famiglia di riguadagnare la normale privacy. Ora che la tragica vicenda è conclusa, sono opportune alcune considerazioni a commento.

Come già era accaduto meno di un anno fa col caso di Charlie Gard, la vicenda di Alfie ripropone il problema di quanto sostegno sia eticamente lecito dare a una vita ormai giunta alla fase finale, una questione che in Italia è stata affrontata dai casi di Piergiogio Welby (2006), Eluana Englaro (2009), Walter Piludu (2016) e tanti altri. Queste persone erano adulte, diversamente da Alfie che era un infante (come Charlie), ma i problemi sollevati sono sostanzialmente gli stessi, e riguardano per un verso le capacità predittive della medicina (che è su base probabilistica), e per un altro verso i limiti da porre agli interventi clinici, che possono trasformarsi in uno strapotere nocivo per l’interessato, sia questi un adulto capace di far conoscere in qualche modo la propria volontà di rinunciare alle terapie, o un infante incapace di farlo per il quale altri devono decidere. 

Pur nella diversità delle fattispecie, tutti questi casi hanno in comune la modalità dell’approccio: invece di essere affrontati con pacatezza e discrezione si è preferito urlare e sollecitare la pancia della gente, al punto che sembra che non si sia proprio imparato nulla al riguardo. Invece di lasciare che Alfie fosse accompagnato con rispettoso silenzio che gli era dovuto come stabilito dai medici e dalla magistratura britannica, i critici hanno affidato ai social networks dichiarazioni forti e hanno inscenato manifestazioni. Al tempo di Eluana c’era stato il gesto simbolico del portare acqua e pane, mentre ora con Alfie si è voluto coinvolgere papa Francesco, e da noi in Italia sono state sollecitate le forze politiche a prendere posizioni su cui preferiamo tacere.

Il piccolo Alfie, purtroppo, aveva una prognosi infausta sia per la durata della vita (quoad vitam) che per il ripristino della salute (quoad valetudinem): al di là dell’assenza di una diagnosi eziologica della sua patologia, tutti gli specialisti chiamati in consulenza hanno confermato la tragica realtà, ossia gli effetti destruenti e definitivi della malattia sul sistema nervoso di Alfie, per cui mai avrebbe potuto instaurare relazioni e consapevolezza, anche se non si poteva escludere che provasse dolore. Per questo i giudici inglesi ai vari livelli hanno riconosciuto che non era nel suo miglior interesse (best interest) continuare a vivere e che era meglio sospendere quello che da noi chiamiamo “accanimento terapeutico”: termine in sé sbagliato ma che rende bene l’idea di quel che i medici e giudici inglesi hanno voluto evitare. Diventano infatti accanimento terapeutico le terapie salvavita quando non fanno altro che allungare l’agonia. Purtroppo i genitori di Alfie non sono riusciti a accettare l’inesorabile tragica realtà clinica e questo è stato fonte di difficoltà. Ma continuare le terapie sarebbe stato accanirsi nei confronti di un bimbo senza nessuna speranza di recupero e forse in stato di dolore. Il fatto che poi Alfie abbia continuato a respirare qualche tempo senza respiratore non smentisce la correttezza della prognosi formulata dai medici (cfr. allegato n. 1). Non è vero che Alfie avrebbe potuto continuare a vivere fino a settembre o anche oltre come asserito da alcuni, né che avrebbe potuto beneficiare di migliori cure al “Bambin Gesù” di Roma: un’idea falsa che, purtroppo, è circolata e pare sia stata accolta anche dal Governo italiano nella inopinata, frettolosa e sbagliata decisione di conferire la cittadinanza italiana a Alfie Evans, decisa in un Consiglio dei Ministri durato 4 minuti (cfr. allegato n. 2)

Abbiamo ritenuto inopportuna e impropria l’iniziativa del presidente del Bambin Gesù Mariella Enoc di istaurare confronti tra Ospedali, lasciando intendere che quello di Roma fosse migliore dell’altro (cfr. Comunicato Consulta del 24 aprile 2018). Questo tipo di “gara” ha il tristo risultato di ingenerare sfiducia nella medicina e di offrire il fianco a inaccettabili insinuazioni circa il comportamento dei medici. Abbiamo già avuto esperienze di questo genere coi casi Di Bella e Stamina.

Riteniamo ancora più grave che, qualche giorno dopo, Mariella Enoc abbia rincarato la dose affermando che i medici inglesi «si sono messi contro [… come] risultato di una battaglia ideologica» (cfr. allegato n. 3). In realtà di “ideologico” c’è solo la posizione di Enoc.

Del tutto inaccettabili, infine, sono i due post diffusi nel web da un componente del Comitato Nazionale per la Bioetica (cfr. allegato n. 4), che sono intrisi di disprezzo per gli inglesi. Il contenuto di questi messaggi si commenta da solo: da chi ha compiti istituzionali ci si aspetterebbe qualcosa di più di simili scempi, che nulla hanno a che fare con il legittimo e doveroso esercizio di critica.

Le forti reazioni alla tragica vicenda di Alfie Evans hanno reso evidente, ancora una volta, quanto radicato sia ancora il vitalismo più estremo, che in questo caso si è coniugato con la volontà dei genitori. A questo riguardo va ricordato che nei casi difficili di contrasto tra medici e genitori anche nel nostro paese non spetta ai genitori la decisione ultima sulla salute o sulla vita del figlio, ma che anche da noi queste scelte devono considerare il “miglior interesse” del minore individuato dal giudice (cfr. allegato n. 5). Resta il fatto che nel caso di minori come Alfie (e prima Charlie Gard) il rapporto tra responsabilità genitoriale, consenso alle terapie e classe medica rappresenta una sfida etica e giuridica forse tra le più difficili e delicate, ma che deve essere affrontata. Ci auguriamo che un dibattito bioetico sereno, che tenga conto di tutti gli aspetti, scientifici, giuridici e morali, possa in futuro evitare il ripetersi di situazioni angosciose come questa caratterizzata da inappropriati interventi ideologici e politici di cui proprio non si sente il bisogno.

Dr. Giacomo Orlando
Vice-presidente della Consulta di Bioetica Onlus
Coordinatore della Sezione di Novi Ligure

 

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