Il concetto di evoluzione è intrinseco a quello di scienza e tali sollecitazioni e conseguenti perturbazioni nella società, sono state sempre presenti nella storia, a fronte di mutazioni di paradigmi e pratiche tecniche. Questo ha sempre spronato gli stati e i governi a investire grandi risorse per mantenere un adeguato livello di competenza scientifica, al fine di mantenere una affidabile potenzialità scientifica nei confronti degli altri stati; al fine di cogliere opportunità economiche e strategiche per la propria preservazione e per la propria sicurezza e benessere. Un interessante esempio a questo riguardo viene citato da Edwards S. Dove, che riporta un passo di una relazione, del 1945, di Vannevar Bush (ex direttore dell’Ufficio di ricerca scientifica e sviluppo degli Stati Uniti, Preside della Facoltà di Ingegneria al MIT, Presidente del Carnegie Institute e fondatore di Raytheon Corporation) che scriveva:
La scienza offre un vasto entroterra inesplorato per il pioniere che possiede gli strumenti per questo scopo. Le ricompense di tale esplorazione sia per la Nazione che per il suo esploratore sono grandi. Il progresso scientifico è una chiave essenziale per la nostra sicurezza come nazione, per il nostro migliore benessere, per maggiori posti di lavoro, un livello di vita più elevato e per il nostro progresso culturale.
Il caso preso in esame mostra chiaramente quanto la ricerca e l’innovazione tecnologica abbiano da sempre, e specialmente nell’ultimo secolo, condizionato lo sviluppo politico, economico e sociale, imprimendo cambiamenti epocali e accelerazioni, sia culturali che economiche. Il governo federale degli Stati Uniti decise di investire milioni di dollari in finanziamento della ricerca di base; e pochi anni dopo, nel 1950, è stato creato il National Research Foundation per finanziare i progetti scientifici in tutto il paese, un’azione che fornì tutti gli strumenti necessari all’industria per attrezzarsi e garantire la supremazia necessaria ad affrontare la “guerra fredda” che da li a poco sarebbe iniziata.
Già nel 1960 gli studiosi usavano il termine “Big Science” per indicare l’impegno nel passare dall’attività di ricerca individuale o di piccoli gruppi di lavoro, come era stato fino ad allora, a quella di un impegno su vasta scala, che coinvolgesse strutture primarie della ricerca scientifica, dell’industria e dell’economia. Eventi politici ed economici favorirono questa sinergia, la corsa allo spazio, iniziata in quegli anni col lancio dello Sputnik da parte dell’U.R.S.S. e con la risposta americana attraverso la costituzione della NASA e l’avvio progetto Mercury, impressero un’accelerazione enorme in moltissimi distretti di ricerca, con ricadute importanti nella produzione. Gli enormi investimenti e pubblici e privati nella ricerca e nello sviluppo produssero innovazioni che condizionarono e diedero un nuovo assetto ai mercati e alle economie di tutto il mondo. Come rileva anche Edward Dove, fu il registro qualitativo a determinare la definizione di “Big Science” a quello di “piccola scienza”, il metodo, fino ad allora, in auge nell’attività di ricerca e sviluppo. Quindi il salto di qualità non fu la dimensione in sé dei progetti che determinarono questo salto, quanto piuttosto la innovativa collaborazione e cooperazione tramite la nascita di networks tra scienziati, ricercatori e professionisti che inaugurarono questo nuovo sistema di interscambio scientifico e culturale.
La nascita della Big Science è stata possibile attraverso l’evoluzione e la maturazione di alcuni campi scientifici, certamente importanti ma non ha abbracciato la scienza e la ricerca in toto. Non tutti gli ambiti della scienza e della ricerca possono aspirare o avere i requisiti per diventare grandi. Dagli anni 60 del secolo scorso fino a oggi, molti segmenti della scienza vengono seguiti da gruppi più ristretti, da comunità che si rifanno a ideologie alternative o da figure con un tratto più amatoriale, dotati ancora oggi, da mezzi e strumenti più circoscritti e che tendono a costituire più dei circoli ristretti, dove i metodi adottati sono caratterizzati da maggiore eterogeneità nella raccolta e nell’utilizzo dei dati e dei metodi di analisi; e sempre riconducibili ad ambito locale.
Lo scenario oggi vede due aree contrapposte, anche se con dimensioni non speculari; la Big Science e la Piccola Scienza; la dialettica tra queste due dimensioni caratterizza per diversi aspetti, i toni e le dimensioni del dibattito culturale in atto.
Come si è tentato di sottolineare fino a ora, la Big Science è entrata in una nuova fase, o sta subendo una nuova spinta per un ulteriore o mutato salto dimensionale e di trasformazione. Il rischio, come già accennato nell’introduzione riguarda una deriva verso la Tecnoscienza; infatti le controversie tecnoscientifiche popolano ormai quotidianamente le pagine dei giornali e il Web 2.0; esse rendono evidente la centralità della Tecnoscienza nella società contemporanea, ma generano allo stesso tempo interrogativi e dubbi, sia tra gli esperti, sia tra il pubblico. Si tratta quasi sempre di discussioni particolarmente intense, partecipate e in alcuni casi accese e conflittuali. Le controversie tecnoscientifiche nascono quando la scienza e la tecnologia diventano pubblicamente rilevanti e gli esperti scoprono che il loro lavoro è discusso e dibattuto al di fuori della comunità scientifica attraverso linguaggi, codici e rappresentazioni che appaiono diverse e distanti dai loro modi usuali di interagire.
Quindi, se da un lato, i problemi legati alla condizione esistenziale degli individui nell’epoca attuale, richiamano aspetti di isolamento e ricerca di nuove forme di comunicazione e interazione, anche la visione del futuro e l’immaginazione di esso segnano una fase controversa e dibattuta e di sostanziale stagnazione. Se di futuro si riesce a pensare, questo è monopolizzato ormai da temi come la biologia, la genetica, le nanotecnologie e la fisica. Ma indubbiamente, se il diciannovesimo è stato il secolo della fisica, quello nel quale siamo entrati sarà quello della biologia e di tutto il complesso e articolato universo che le ruota intorno.
La Big Science è in trasformazione; questa evidenza ha provocato una presa di coscienza con la conseguente svolta delle istituzioni verso istituzionalizzazione della bioeconomia; che a sua volta determinato una nuova variazione di scala della Big Science.
Lo sviluppo della Rete, la potenza elaborativa e le tecnologie come quella dei Big Data consentono e promuovono lo sviluppo di pratiche e modalità nuove, diverse e inedite nell’ambito della Big Science. Siamo in presenza di innovazioni collettive di grandi dimensioni e su scale maggiori del passato. La scienza è diventata stabilmente globale, i grandi gruppi di ricerca distribuiti nel mondo, lavorano congiuntamente su grandi progetti comuni, sottoponendo anche all’etica una nuova dimensione riflessiva, una nuova scala di valutazione che la scienza globale determina, attraverso innumerevoli nuovi attori scientifici, nuovi modi di sperimentazione, raccolta a trattamento dei dati, super-calcolo e fonti di finanziamento eterogenee.
Probabilmente il rischio principale insito nel sistema della Big Science riguarda la dimensione e gli interessi coinvolti negli enormi programmi di ricerca. Lo si è già visto in relazione alle Corporation dell’ICT e degli interessi e della posta in gioco resa accessibile dalle loro realizzazioni. Già nel 2012 Albert Bruce, Editor della rivista Science, aveva osservato come fosse reale il rischio che aree di eccellenza derivanti dalla piccola scienza, fossero minacciate di estinzione, con conseguenze nefaste, dal potere e dall’espansione della Big Science.
“[…] la scala [della Big Science N.d.R] … crea una condizione tale per cui questi progetti risultano difficili da fermare, anche quando ci sono chiari segni di diminuzione dei rendimenti. […] Assicurare un futuro di successo per le scienze biologiche richiede moderazione nella crescita di grandi strutture di ricerca e sviluppo; al fine di garantire maggiore sostegno finanziario per il lavoro critico dei più piccoli ma altrettanto innovativi laboratori che si sforzano di comprendere la meravigliosa complessità dei sistemi viventi.”
Va sottolineato che la minaccia, come già accennato, riguardo l’emersione dei Big Data, riguarda il fatto che queste nuove modalità di azione, nell’ambito della Big Science, sono in grado di provocare un cambiamento di paradigma circa i valori e le prassi da seguire nell’ambito della scienza e della interpretazione dei dati che ne deriva; una mutazione, sia ontologica, sia epistemologica.
La separazione tra “Big Science” e “Little Science” risale dunque alla seconda guerra mondiale, ma oggi si fanno strada nuove forme di aggregazione che rispondono a concetti simili ma non uguali dei precedenti; sono “raggruppamenti” o “associazioni” che si configurano come la connessione di diverse entità, aderenti ad attività scientifiche della Big Science e ad altre, speculari, relative all’etica o Big Ethics, che i profondi e veloci progressi scientifici e tecnologici rendono urgente.
La bioetica, come disciplina istituzionalizzata, si affianca ai circoli e alle comunità scientifiche, sia pubbliche che private, con le proprie figure professionali, e insieme a essi articolano le politiche di indirizzo morale nell’ambito delle realizzazioni tecnologiche e della ricerca scientifica.
E’ facile immaginare come queste nuove forme e pratiche della scienza e della bioetica tendono a discostarsi dal precedente modello più artigianale di scienza. Tutto ciò caratterizza, sia i circoli scientifici, sia quelli etici, con una maggiore indipendenza, un pensiero più aperto e una più alta pluralità.
Il compito tradizionale dell’etica e della scienza è stato quello di “dire la verità al potere”. Oggi il rischio, come sostiene, a esempio, Edward S. Dove, i circoli scientifici ed etici tendono, invece, a “diffondere il potere come verità”; col fine di mantenere lo status quo, sia della scienza, sia dei relativi grandi circoli nei quali si riconoscono. Ciò per mantenere tutti i protagonisti dell’innovazione, evocando diversificati valori e metodi (competizione, cooperazione o conflitto), in qualche modo uniti e aderenti tra loro, per evitare di non incrinare la relazione tra scienza ed etica. Questo è reso possibile tramite la formulazione di ipotesi di cambiamento caratterizzate da una particolare sottigliezza e pragmaticità circa le nuove e fondamentali trasformazioni di valore nel campo dei diritti umani e del ruolo della bioetica come professione.
Il rischio, in queste circostanze, è quello che in politica viene definito il “centrismo estremo”; un atteggiamento mentale per cui si privilegiano sempre posizioni centrali quando si tratta di produrre normative di carattere bioetico. Più che di equidistanza si può parlare di elusione a un coinvolgimento radicale, che non comprometta o danneggi nessuno. E’ un atteggiamento noto e studiato dalla scienza politica; le posizioni radicali tendono sempre a danneggiare il consenso e a destabilizzare gli equilibri in gioco. Il risultato è che spesso le decisioni prese risultano essere lontane dalla contingenza che le ha fatte emergere quando non addirittura decontestualizzate. L’eccesso di centrismo si può notare nelle resistenze manifeste o latenti degli attori principali e i notabili di questa disciplina, per congelare, ad esempio, l’elaborazione e lo sviluppo di un pensiero critico, all’interno di un gruppo allargato, oppure scoraggiando il sorgere del dissenso o modi originali di ragionamento. Attestarsi su posizioni neutre, centriste col fine di diluire le istanze di richiesta di principi normativi, è la vocazione di questa strategia che, quando viene adottata, dalla politica in primo luogo, porta sempre un alone di impopolarità e nel caso della bioetica, minacciare la produzione adeguata di pensiero critico, nell’ambito di un determinato circolo o consorzio di ricerca.
I Big Data rivestono un ruolo centrale in questo contesto, ne diventano in certa misura un supporto centrale. La Big Scienza intercetta i Big Data nel momento in cui le tecnologie ne rendono possibile l’utilizzo. La condivisione di dati e metodologie a livello globale, la loro raccolta ed elaborazione, anche da fonti eterogenee, imprimono un’accelerazione qualitativa e quantitativa della Big Science e l’utilizzo massivo delle tecnologie legate al processo di datizzazione. La condivisione di valori, modalità di lavoro, consuetudini, tutto ciò che costituisce un nuovo paradigma, viene modificato e portato su una scala maggiore, nell’ambito dei nuovi circoli di ricerca e sviluppo di dimensione globale. Si è visto con particolare attenzione, la portata che tutto ciò ha nell’ambito della società e di alcuni settori, come quelli dell’ICT, della politica e dell’economia.
Ma un caso altrettanto emblematico e degno di particolare attenzione è appunto quello legato all’influenza dei Big Data in ambito bioetico. Il livello di penetrazione di queste nuove tecniche e la loro portata si può riscontrare tramite una ricognizione nella letteratura specialistica legata al mondo della salute e delle biotecnologie. Questo stato di cose sta definitivamente mettendo in secondo piano, sino a minacciarne la scomparsa, quella che abbiamo definito piccola scienza, legata a strutture di ricerca su temi più circoscritti, basati ancora sull’iniziativa privata e, spesso, filantropica.
Quello che era, come si è già visto, il metodo egemone nel mondo della ricerca scientifica, fino alla seconda guerra mondiale, sta cedendo il passo, fino alla minaccia dell’estinzione, al sistema della Big Science e dei suoi criteri di gestione delle prestazioni e del profitto.
Il modello della piccola scienza è caratterizzato ancora dall’impegno di ricercatori individuali, che operano in laboratori unici, su di una determinata geografia, utilizzando modalità diversificate di ricerca, spesso empiriche, con infrastrutture calibrate alle esigenze e spesso finanziati da enti benefici o organizzazioni no profit, animate da uno spirito di assistenza e condivisione; è un modello in cui ancora è predominante l’utilizzo di “little data” e la vocazione etica resta quella di tipo personale, individuale. La Big Science, invece, reca con se le caratteristiche sopra accennate; si avvale dei Big Data e tende a sviluppare una Big Ethics, di tipo centrista. Si avvale di gruppi di ricercatori, ubicati in numerosi laboratori distribuiti su vastissime geografie, si richiama a un unico modello epistemologico, opera nell’ambito di strutture istituzionali con disponibilità finanziarie importanti ed è popolata da comunità di professionisti.
A causa della diminuzione delle risorse finanziarie a disposizione, un rischio concreto riguarda il fatto che molti fondi per la ricerca, possono essere dirottati a favore dei grandi progetti scientifici, la Big Science, che utilizzano i Big Data e adottano una prassi etica più votata allo status quo. Questo comporta una diminuzione sostanziale nel supporto all’attività degli ormai residuali centri di ricerca, di tipo artigianale, basata su dimensione limitate di dati e ispirata dall’etica personale. Un’attività per certi versi artigianale ma votata ancora alla ordinata ricerca dei significati dei cataloghi biologici, primo fra tutti la mappatura del Genoma Umano, tutte realizzazioni dei grandi centri e delle Big Science e Big Data.
Le analisi riportate sulla transizione da Little a Big Science mostrano come, mentre nessuno nega che un cambiamento sia avvenuto, questo non si possa comprendere solo come un mutamento di scala, ma abbia conseguenze profonde sull’organizzazione interna della scienza e sui suoi rapporti con la società. In particolare, Big Science non significa semplicemente maggiori investimenti, ma crescente concentrazione in un limitato numero di centri di ricerca, e la nascita di infrastrutture appositamente dedicate a specifici obiettivi di studio. Inoltre, in queste istituzioni centralizzate, il lavoro nei laboratori è altamente specializzato; e la divisione non è soltanto tra scienziati teorici, sperimentali e ingegneri, ma anche in gerarchie di responsabili di gruppi, manager di laboratori e coordinatori del lavoro.
E soprattutto la Big Science dipende fortemente dalla percezione sociale e politica della rilevanza dei propri progetti, in termini di ricadute sanitarie, militari, industriali o di prestigio nazionale. Questo continuo processo di giustificazione ha influenzato la comprensione dei ricercatori del proprio lavoro e in ultima analisi anche del suo contenuto intellettuale. La scienza contemporanea ha intrecciato un rapporto con la società con caratteristiche sempre più spiccate di mutua dipendenza, perciò non può pensare di sopravvivere in isolamento. Potrebbe accadere, se gli scienziati non verranno messi in condizione di comprendere appieno le mutate condizioni in cui si trovano a lavorare, come ammonisce De Solla Price, l’attività scientifica potrebbe anche non raggiungere una stabile età senile, perdendo definizione o addirittura scomparendo.
Quindi è evidente che sono e saranno i diritti umani il punto di squilibrio tra la Big Science e la Little Science. Il rischio di tutto ciò, come abbiamo già visto nei capitoli precedenti, è il cambiamento che si determina nella cultura, nella scienza e nella società. In questo caso si genererà un clima che fornirà meno spazio per il dissenso e l’indipendenza accademica all’interno della ricerca scientifica delle Corporation e dei consorzi scientifici; e la massimizzazione del profitto fatalmente determinerà, all’interno di queste organizzazioni, la promozione di un clima culturale improntato al contenimento dei contrasti, alla loro attenuazione, sui valori a cui ispirarsi, sui metodi e, soprattutto sulle priorità.
Il sistema della Big Science, in buona parte, dipende da un sostegno populista; infatti durante il corso del XX secolo, in particolare dopo la fine della seconda guerra mondiale, lo si è già sottolineato, si è verificata una transizione netta nel modo di fare scienza; se, per esempio, Ernest Rutherford all’inizio del ‘900, poteva esplorare le proprietà dell’atomo con una strumentazione che stava tutta sul suo tavolo da laboratorio, oggi per studiare i componenti della materia sono necessarie le enormi apparecchiature del Large Hadron Collider al CERN. Sono aumentati incredibilmente i costi degli esperimenti e le dimensioni dei gruppi di lavoro, imponendo un cambiamento nel modo in cui la scienza percepisce se stessa: non più in dignitosa solitudine ma bisognosa di consenso popolare, in questo senso populista, e finanziamenti pubblici e privati; non più fantasiosa e pionieristica, ma fortemente programmata e gerarchizzata. E il sostegno alla Big Science passa soprattutto dalla generalizzazione delle informazioni, e i grandi attori possono in questo modo aumentare il loro potere di condizionamento e favorire l’aumento delle tendenze etiche centriste. Il rischio è quello di vedere attenuarsi l’energia nel prendere posizioni nette, in caso di violazioni dei diritti umani nella società e nelle attività di ricerca, da una parte, anche importante dei referenti etici e bioetici; che tenderebbero a non dire sempre la verità al potere quando si dovrebbe; tutto ciò può essere causato dal tentativo di giungere a un compromesso, volto a garantire il sostegno dell’opinione pubblica verso i grandi centri di ricerca e le Corporation.
Le nuove piattaforme digitali sollecitano i governi, le istituzioni, i ricercatori accademici, e le organizzazioni senza fini di lucro; lo scambio di idee, valori e opinioni facilitano e favoriscono la produzione di nuove idee e innovazioni. Il mondo sempre più ravvicinato e l’interconnessione di milioni di individui hanno collocato la tecnologia dei Big Data come medium indispensabile, e generatore di indubbi benefici; tuttavia, come si è già visto, ha creato anche diverse problematiche sulle quali abbiamo già sviluppato una articolata riflessione, presentano ancora alcuni aspetti da valutare, per delineare un quadro di riferimento completo al fine di tentare un bilancio in sede di conclusioni. In relazione a ciò, possiamo ulteriormente osservare come l’interazione e la condivisione creano certamente un clima favorevole allo sviluppo di nuove idee e alla realizzazione di soluzioni, come nel caso della salute; sono molto utili a creare le condizioni per dei miglioramenti concreti e veloci riguardo, sia la salute, sia il benessere delle persone. Ma l’eccessiva e incontrollata fluidità della circolazione delle informazioni comporta il rischio di diffondere anche cattive pratiche, informazioni fallaci e dati non verificati. L’infedeltà di collaboratori, ricercatori e addetti alla comunicazione, possono generare informazioni devianti circa molti aspetti relativi a un determinato campo di ricerca o di applicazione. Sappiamo già che i Big Data vanno comunque saputi interrogare, che il segnale va saputo isolare dal rumore di fondo; in questo caso il rischio di vedere violata la riservatezza delle ricerche e, soprattutto l’uso manipolatorio dei dati, in grado di generare la confusione tra correlazione e causalità e soprattutto un trattamento giudiziario preventivo. La produzione legislativa, l’attenzione ai diritti umani e la bioetica assumono un ruolo centrale nel fornire una coscienza allo sviluppo scientifico, ponendo confini legali e morali alle attività nell’ambito del sistema globale della Big Science.
La legge, i diritti umani e la bioetica restano di carattere normativo. Resta da interrogarsi se in questa epoca di profondo cambiamento, dove la scala e il registro, sia dei dati che della scienza e dell’etica, assumono nuove dimensioni, e il determinare nuovi confini, concettuali e pratici, non sia solo una sfida importante da raccogliere ma anche la verifica se le strutture culturali attuali siano realmente in grado di sostenerla.
L’interrogativo si pone sul ruolo che ciascuno degli attori sopra citati, ognuno nel proprio campo, sarà in grado di giocare; tenendo presente che i nuovi modi, come già visto, di svolgere attività scientifica e produzione etica, tenderanno a fare aumentare considerevolmente il numero di coloro che parteciperanno al dibattito su questi temi; ma ciò non significa, a nostro avviso, solo una maggiore fecondità del dibattito; può allo stesso tempo scoprire il fianco al tentativo di introduzione di interessi diversi nell’utilizzo dei dati e delle tecnologie sulla salute. E’ chiaro che tutto ciò ponga molti interrogativi, per l’imminente futuro, sul trattamento delle informazioni, la raccolta e l’elaborazione massiccia dei dati, circa le normative e le garanzie legali legate ai diritti delle persone. Si pone una nuova sfida per il diritto, i diritti umani e la bioetica che dovranno fronteggiare un probabile aumento dell’ingerenza dei grandi attori e gestori della grande ricerca.
Il secolo nel quale siamo entrati, lo abbiamo detto, è caratterizzato da una serie importante di realizzazioni scientifiche che portano a concludere come sia il secolo della biologia; come il precedente lo fu con la fisica. Questa è una considerazione importante perché da essa si può tentare di articolare un discorso interpretativo sulle azioni e sui rischi insiti in tale campo che si possono sviluppare, in maniera più marcata, inedita e precoce rispetto ad altri settori. Le continue conquiste della tecnologia biomedica, genetica e farmaceutica pressano sempre più l’agire umano verso i confini del possibile. E tutto ciò, come stiamo vedendo, genera enormi problemi di carattere etico, legati al senso della vita e alla dignità e ai diritti inalienabili dell’uomo. Abbiamo anche visto che i grandi interessi finanziari e strategici in gioco tendono a ovattare un’azione veracemente critica della bioetica, favorendone la diffusione di una versione bioeticista, se non addomesticata, quantomeno caratterizzata da una vocazione centrista, mutuata dalla scienza politica. La Big Science così intesa e l’etica sottesa possono provocare il grave rischio di mutazioni culturali serie nell’ambito della scienza e della società. La Big Science che assume questa forma tende a nutrirsi di una importante visibilità pubblica che crei consenso intorno al suo agire, e questa strategia adottata tende fatalmente anche ad alimentare tendenze centriste più radicali da parte della bioetica.
Senza perdere di vista il filo conduttore dei Big Data, poniamo l’attenzione su due aspetti e sulle loro manifestazioni, circa la rete di connessioni globali che si sta sviluppando a livello di ricerca sanitaria, con l’evoluzione dei grandi centri scientifici e dell’ambiente culturale e il pensiero etico corrispondente, da un lato, e il crescente uso commerciale dei dati sanitari: una vera e propria commercializzazione dei data set sanitari, nell’ambito del percorso di realizzazione della bioeconomia.
Un punto di riflessione riguarda la portata che una situazione di questo tipo può avere sulla bioetica; l’aspetto principale riguarda come garantire, a fronte di legittime preoccupazioni, un trattamento eticamente corretto dei dati sulla salute, strettamente connessi con quelli sui diritti umani, e gli interessi giganteschi in gioco, come abbiamo visto nelle sezioni precedenti. Interrogarsi se il diritto e la bioetica saranno in grado di operare come strumenti sufficienti a garantire, per questo nuovo mondo, uno sviluppo al riparo da abusi e violazioni dei diritti e del diritto e promuovere concretamente lo sviluppo di un ecosistema efficace e giusto per la sanità globale. Ciò significa, concretamente, a esempio, che a livello di anamnesi, un medico si informa, come sempre, dello stato di salute di genitori e nonni prima di prescrivere una cura; ma la novità risiede nel fatto che invece sono nuovi metodo e strumenti; la medicina personalizzata del prossimo futuro (ma su fasce elitarie di individui è già applicata) è in grado di creare una cura esclusiva sul singolo individuo. E questo è possibile tramite i risultati di Big Data e genetica; attraverso il sequenziamento del DNA, ovvero la lettura del codice genetico di ciascuno di noi, infatti, risiedono le premesse per cui sarà possibile anticipare e prevenire le malattie alle quali il nostro DNA ci condurrebbe. Si potrà mettere in un computer il genoma di milioni di individui e i dati clinici che li riguardano, per un certo numero di anni, per conoscere quali malattie hanno, se e come funziona un farmaco; la possibilità di trovare legami statistici tra le persone e la reazione ai prodotti e ai farmaci e alle terapie. Il patrimonio informativo è prezioso e inedito. La possibilità di operare la prevenzione segue a ruota; infatti partendo dal genoma di un individuo e avendo alle spalle tutti questi dati e questi risultati, si possono fare delle previsioni su come trattare al meglio le malattie. E tramite la raccolta, la memorizzazione e l’analisi dei Big Data sarà quindi possibile fare della medicina preventiva.
E’ opinione diffusa tra gli specialisti di genomica che nell’arco di cinque anni, i progressi nella Big Data analytics e negli emergenti sistemi cognitivi, Intelligenza Artificiale e Machine Learning, unitamente ai progressi nella ricerca e sperimentazione della genomica, potrebbero aiutare i medici a diagnosticare con precisione il cancro e a creare piani terapeutici personalizzati per milioni di pazienti. Macchine intelligenti cattureranno l’attività dell’intera sequenza del genoma e perlustreranno vasti archivi di cartelle cliniche e pubblicazioni per apprendere e fornire in modo rapido agli oncologi suggerimenti specifici e perseguibili sulle opzioni terapeutiche. La cura del cancro, personalizzata fino a livello genomico, è all’orizzonte fin da quando i ricercatori hanno sequenziato il genoma umano, ma pochi medici hanno gli strumenti e il tempo per poter valutare i suggerimenti disponibili. Nell’arco di cinque anni, i sistemi cognitivi basati sui Big data potranno rendere disponibile questa medicina personalizzata su ampia scala e a velocità che, in precedenza, erano impossibili. La condivisione dei dati relativi al genoma sono un altro esempio controverso riguardo il diritto e la bioetica. Tuttavia è bene sottolineare che tale condivisione, nel caso di malattie genetiche, per esempio, o in caso di un malato oncologico, comparando la sequenza di un genoma con milioni di altri in un database, si aumentano enormemente le possibilità di cura. Ma chiaramente un database di questo tipo è più efficace se, oltre al DNA, ha tutta una serie di altre informazioni: età, sesso, abitudini, residenza, ecc. Big Data insomma. Un obiettivo ideale sarebbe quello che, sia i grandi aggregati della Big Science coi loro circoli etici, sia la vecchia cultura legata alla piccola scienza, quella precedente al grande sviluppo della metà del secolo scorso, dotata di contenute dimensioni di dati e struturte e ispirata da un’etica individuale, possano trovare un equilibrio. Che le grandi corporation traggano ispirazione, su temi molto sensibili, anche dal retroterra e dalla storia culturale nella quale affonda le proprie radici la piccola scienza.