Non controllando assolutamente gli strumenti tecnologici a nostra disposizione, non siamo in grado di conoscere neppure i criteri di selezione e filtraggio dei dati, sia in ingresso, sia in uscita, dalla nostra capsula informativa; quindi la maggior parte degli utenti è convinto di ricevere informazioni obiettive, selezionate con criteri oggettivi e non pesate con altri metodi. La realtà non corrisponde a questa idea diffusa; all’interno del nostro mondo informativo è molto difficile rendersi conto di quanto le informazioni che ci giungono siano filtrate e mirate.
Un ultimo aspetto riguarda il fatto che la scelta di entrare in una capsula informativa, non è frutto di un’azione libera da parte dell’utente. Infatti nelle scelte di altre fonti informative, per esempio scegliendo di leggere il quotidiano “La Stampa” oppure “Il Manifesto”, siamo noi che decidiamo e attiviamo il filtro desiderato. E lo stesso vale per moltissimi aspetti della nostra vita, dall’informazione politica, etica, fino alle letture sportive. Non accade così con i filtri personalizzati; in questo caso non siamo in grado di prendere una decisione completamente consapevole. Gli algoritmi ci attendono nei siti Web, traggono profitto dalla pubblicità e dal drenaggio dei nostri dati e quindi questo fenomeno è destinato a ingigantirsi sempre più.
Comunque la si pensi al riguardo dei filtri, si deve sottolineare che il motivo per cui gli algoritmi di filtro hanno avuto uno sviluppo iperbolico, ha anche delle ragioni oggettive. Sono ormai anni che gli individui sono sottoposti a dei flussi di informazioni quotidiane giganteschi; ogni giorno il ciberspazio accoglie da oltre 900.000 post nei blog, oltre 60 milioni di aggiornamenti di stato su Facebook, 50 milioni di tweet e 210 miliardi di email, ma è ormai complicato dare una cifra esatta. Il presidente del consiglio di amministrazione di Google, Eric Schmidt ha dichiarato, già alcuni anni fa, che se si registrassero tutte le comunicazioni umane dall’inizio della storia fino al 2003, si occuperebbero intorno ai 5 milioni di Gigabyte di memorie. Oggi creiamo la stessa quantità di dati in poco più di un giorno. Questa espansione ha raggiunto un ulteriore passaggio critico. Le stesse istituzioni governative sono ormai in difficoltà nel gestire il traffico e il controllo su questa massa, su questo mondo specchio, che si sta evolvendo ogni giorno. La National Security Agency, l’agenzia per la sicurezza nazionale degli U.S., che svolge il monitoraggio totale del ciberspazio a fini di prevenzione terroristica su scala mondiale, ha dovuto avviare progetti enormi per la costruzione di nuovi centri di elaborazione dei dati. Il problema della potenza necessaria a far funzionare queste strutture è di tale portata, che è stato necessario chiedere al Congresso U.S. i finanziamenti per la costruzione di nuove centrali elettriche. E la quantità di dati che dovrà essere gestita costringerà a dover creare delle nuove unità di misura per i byte necessari.
L’esorbitante disponibilità di dati a disposizione per tutti, in qualsiasi luogo e tempo, ha creato il “crollo dell’attenzione”, come lo definiva un esperto blogger statunitense, Steve Rubel, il quale, già nel 2008, sosteneva che da quando è possibile comunicare con un numero sempre maggiore di persone e a grande distanza, non si è più in grado di seguire tutto in modo uniforme. L’attenzione si sposta da una email, a un video, una clip e a un’altra email. In queste condizioni navigare in un mondo di notizie, alla ricerca di quello che ci interessa, veramente diventa un’impresa faticosa.
Quindi i filtri personalizzati, entro questo gigantesco flusso di informazioni, sono in grado di dare un aiuto sostanziale e, quindi, per molti versi sono bene accetti. Potenzialmente sono in grado di aiutarci a trovare molto più velocemente e con precisione le informazioni che ci interessano veramente, districandoci tra un elevato rumore di fondo, fatto di foto di animali domestici, pubblicità di farmaci per il potenziamento sessuale, filmati e clip musicali. Non solo le ricerche letterarie e culturali sono facilitate ma la scelta di spettacoli di intrattenimento, brani musicali, novità nei campi di nostro interesse che, con la cacofonia di sottofondo, probabilmente sfuggirebbero alla nostra attenzione.
I filtri e le personalizzazioni, ci orientano verso un’angolazione di ricerca tagliata su misura sulla nostra attività in Rete, fino a costituire un microcosmo che rappresenta le nostre preferenze, vere e presunte.
Oltre a essere indubbiamente utile, questo microcosmo rappresenta tutto ciò che si ritiene ci renda conforto, con la selezione di persone, idee e oggetti preferiti. Se non si desidera sentire parlare più di immigrazione clandestina, siamo in grado di farlo, se non desideriamo sentire il genere musicale “rap” possiamo sbarazzarcene in poco tempo. Altrettanto possiamo decidere di essere informati sulle novità editoriali della musica classica barocca o sulle novità nel settore filatelico, saremo in grado di essere informati e di non perdere nessuna novità. Se non mostreremo mai interesse per questi argomenti, manifestando il nostro gradimento con un “click”, tutto ciò scomparirà dall’orizzonte della nostra capsula informativa. Si è già mostrato, con l’esempio di “Torino antiche immagini”, come questa modalità sia totalmente trasparente. Tanti argomenti che possono annoiarci, infastidirci, offenderci, si possono semplicemente ignorare, in favore di ciò che ci interessa, e cesseranno di esistere. Quindi i nostri strumenti di informazione riflettono completamente i nostri gusti. Ci sono degli indubbi vantaggi in tutto ciò; la prospettiva di accedere a un cosmo tolemaico, in cui stiamo al centro delle informazioni e degli oggetti desiderati, oltre a farci vivere in modo confortevole, aumenta considerevolmente l’efficacia della nostra navigazione in Rete.
Tuttavia il prezzo che si paga, e il rischio che si corre, come già accennato, riguarda il fatto che la personalizzazione ha anch’essa due facce. Difatti se da un lato abbiamo un innegabile guadagno, dall’altro si paga il prezzo di perdere tutti gli aspetti (integrazione, confronto, informazione, interrelazione e controllo) che con l’avvento di Internet erano stati salutati come l’inizio di una nuova era dell’informazione democratica.
Circa dieci anni or sono il tema dei filtri per la personalizzazione era appena accennato e molto poco sentito. Ma oggi, con le cifre in gioco in termini di utenti, siti Web, servizi e prodotti offerti, e la diffusione della digitalizzazione, diventa importante interrogarsi su cosa significhi tutto ciò per la società intera, quali sviluppi interverranno con questi nuovi strumenti che, di fatto, ne regolano tanti aspetti. La rapidità di sviluppo della tecnologia è impressionante, diventa difficile per gli addetti stessi essere aggiornati su tutti i punti salienti. I listini dei prodotti digitali vengono aggiornati ogni trimestre in tutto il mondo, questo rende la cifra della portata di quanto stiamo vivendo.
Approfondire temi come il funzionamento degli algoritmi di personalizzazione, individuare le strutture e le sovrastrutture (in senso marxiano) che stanno dietro e quali siano gli scopi che muovono tutto ciò, e che effetti produrrà sugli individui, sulla vita di tutti, sono interrogativi che richiedono delle risposte urgenti.
Dagli algoritmi che gestiscono i siti di incontri per cuori (più o meno) solitari, a quelli che gestiscono la pubblicità on line, ai motori di ricerca; tutto ciò ha raggiunto una complessità tale per cui diventa ogni giorno più complicato isolare e osservare i meccanismi che presiedono alla creazione delle nostre capsule informative e dei filtri che le costruiscono. Infatti il responsabile del settore personalizzazione delle ricerche di Google, Jonathan McPhie, ha affermato che è quasi impossibile prevedere come gli algoritmi condizioneranno l’esperienza di ogni singolo utente. I fattori da prendere in considerazione e le loro variabili si avvicinano al punto di non essere più nella portata di una comprensione sistematica. Ciò significa che, se anche Google è in grado di contare e tracciare tutti i click di ogni utente, ormai non è più in grado di stabilire l’esatto profilo nella dimensione del singolo individuo.
La personalizzazione, nel corso degli ultimi anni, è dilagata in tutto il Web ed è a livelli elevati; come sostiene un commentatore come Cass Sunstein , un giurista che, già nel 2000, aveva scritto un libro sul pericolo della personalizzazione dei media. Ciò che alcuni anni or sono rivestiva ancora un interesse in buona parte teorico, oggi ha una connotazione estremamente pratica. Lo dimostrano le innumerevoli iniziative, a livello nazionale ed europeo, per regolamentare i diversi aspetti di questa nuova epoca digitale.
La personalizzazione della nostra sfera informativa, quindi, ha un’incidenza nella nostra vita quotidiana molto maggiore di quella che si possa intuire.
Possiamo cercare di andare più a fondo nella comprensione della costituzione della capsula dei filtri, dei supposti punti oscuri o negativi e sul loro riflesso nella vita quotidiana delle persone e della società.
Secondo Ryan Calo, professore di diritto a Stanford, “Ogni tecnologia ha un punto di intersezione, un punto in cui finiamo noi e comincia lei “; e se la tecnologia è votata ad aiutarci nel guardare al mondo, fatalmente si colloca tra noi e la realtà, condizionando la nostra visione delle cose. Calo sostiene che ciò: “è una posizione di grande potere e può distorcere in molti modi la nostra percezione del mondo”. Ma, come abbiamo ormai visto, è proprio ciò che mette in atto la capsula informativa personale.
La nostra sfera personalizzata ci costringe a pagare un costo in termini, sia personali, sia culturali. Ormai tutti siamo immersi, a diversi livelli per ora, nella dimensione della personalizzazione; ciò produce come abbiamo visto, delle conseguenze dirette di isolamento e di ipotrofia di coscienza. Ma tutto questo si riverbera con altrettante conseguenze sul piano sociale.
I filtri dunque condizionano la nostra esperienza informativa individuale, come una dieta alimentare è in grado di condizionare la nostra vita. Interessante è quanto ha affermato il sociologo Danah Boyd nella prolusione all’inaugurazione del Web 2.0 Expo del 2009:
“Il nostro corpo è programmato per consumare grassi e zuccheri perché in natura sono rari. Allo stesso modo, siamo biologicamente programmati per prestare attenzione alle cose che ci stimolano: contenuti volgari, violenti o di tipo sessuale e pettegolezzi umilianti, imbarazzanti o disgustosi. Se non stiamo attenti rischiamo di ammalarci dell’equivalente psicologico dell’obesità. Di trovarci a consumare contenuti che sono dannosi per noi stessi e per la società.”
E’ evidente che oggi viviamo in un mondo dove la datizzazione e digitalizzazione facilitano l’enorme massa di informazioni di cui siamo subissati. Se questo fatto ha indubbiamente degli aspetti positivi, una quantità eccessiva di informazione può allo stesso tempo creare diversi problemi. Il proliferare degli algoritmi di filtro può così rendere bulimica la nostra stessa cosmogonia, con effetti anabolizzanti sui nostri desideri circa le cose che gradiamo, che sono confortevoli, rendendoci sempre meno informati su tutto il resto, aumentando così, paradossalmente, la nostra disinformazione.
Nel contesto personalizzato dai filtri gli incontri casuali con l’altro, a volte anche traumatici ma spesso forieri di nuove esperienze, sono sempre meno possibili e quindi anche la possibilità di nuove esperienze e la creazione di nuove opportunità, sia intellettuali, sia umane sono minacciate. Sempre meno frequentemente, l’auspicata creatività, che dovrebbe nascere dall’incontro tra le diversità, diviene possibile.
Dai forni a micro onde alle tomografie computerizzate, dai detersivi ecologici alle auto elettriche; è dalla combinazione tra scienze e discipline diverse che sorgono la stragrande maggioranza dei nuovi oggetti e strumenti della vita quotidiana. Tutto ciò può essere pesantemente inibito se le aziende, basandosi sui filtri, ci propongono sempre prodotti affini, coassiali con quelli abitualmente richiesti da noi. Il rischio risiede nel fatto che non è solo la possibilità personale di esplorare cose nuovo a essere minacciata; vivere in un mondo confortevole ma occupato solo da cose familiari, note, diviene un mondo nel quale la possibilità di fare nuove esperienze può diventare più rarefatta e, quindi, altrettanto la possibilità di apprendere e imparare. L’eccessiva personalizzazione può inibire il contatto con tutto quello che può avere un effetto destrutturante delle nostre visioni del mondo, di quelle esperienze che mettono in crisi le nostre idee, a volte preconcette, che consentono di mutare molti nostri atteggiamenti e visioni nel corso della vita.
La personalizzazione ha certamente diversi vantaggi, lo abbiamo visto; tuttavia, oltre al rischio di un possibile e probabile impoverimento delle nostre esperienze intellettuali, resta il problema dell’utilizzo dei dati generati da noi e filtrati dagli algoritmi. Infatti, oltre a suggerirci che prodotti possono essere di nostro interesse, le aziende possono utilizzare i nostri dati per interpretare non solo i nostri gusti ma anche i nostri stati emozionali. Così, se da un lato possono contribuire al nostro benessere, suggerendoci prodotti legati ai nostri interessi, dall’altro, con meno scrupoli, usando gli stessi dati, sono in grado di attivare dei processi che possono influenzare negativamente la vita delle persone. Immaginiamo che la nostra traccia digitale, trattata secondo quanto finora osservato, venga analizzata da tutte le aziende ed enti che accedono ai nostri dati di navigazione. Questo accade sempre più spesso, e tenderà ad aumentare ponendo seri problemi, sia etici che politici. Conoscere l’interesse di un utente per uno sport estremo o per viaggi avventurosi, può autorizzare la compagnia di assicurazione ad aumentare il premio annuale; coltivare un determinato hobby potrebbe indurre il datore di lavoro di chi lo pratica a comportamenti selettivi nei suoi confronti, o indagare sulle gravidanze del personale femminile tramite analisi predittive. E’ nota la vicenda del prodotto “Echometrix Sentry”, un software di monitoraggio sull’attività dei minori in rete. Agli indubbi benefici offerti da questo strumento per il controllo parentale sull’attività in rete e sugli interlocutori cibernetici, dopo qualche tempo i genitori si sono resi conto che l’azienda fornitrice del prodotto vendeva i dati di navigazione dei figli alle società di marketing.
Riassumendo, la personalizzazione si basa su uno scambio. Al servizio offerto dai filtri l’utente diventa un lavoratore occulto per le aziende, fornendo a esse enormi quantità di dati sulla propria vita privata, molti dei quali così riservati che nemmeno la ristretta cerchia parentale ne può essere a conoscenza. Questo stato di cose è in continuo sviluppo, e da alcuni anni ha raggiunto livelli decisamente sofisticati e pervasivi. Tutto ciò consente ad aziende ed enti governativi di disporre di un potente strumento per prendere decisioni, le quali non è detto, come abbiamo suggerito, che siano sempre a vantaggio delle persone, o che potrebbero influire negativamente su di esse. Il nostro micro cosmo informativo è in grado di influire sulla serenità di giudizio e su come desideriamo vivere. Sarebbe auspicabile poter essere consapevoli di contesti alternativi nei quali è possibile vivere e interagire ma all’interno della capsula informativa questo potenziale si attenua. In qualche modo consentiamo alle aziende che la gestiscono, di costruire loro stesse le alternative. Il rischio risiede nel fatto che, distrattamente, riteniamo di essere i soli artefici del nostro destino; invece, sottilmente, questo sistema ci conduce entro un mondo determinato; ciò che abbiamo cliccato, la nostra storia digitale, crea le condizioni per quello che esperiremo nel futuro. Una storia incapsulata anch’essa, con buona pace di Giambattista Vico.