È stato (e rimane) un gigante della Scienza e della biologia molecolare moderna. Ho avuto l’immensa soddisfazione di conoscerlo personalmente a Napoli nel 2000, in occasione di un Convegno Internazionale “The Human Genome”. Ricordo ancora l’enorme carisma direi “stellare” che emanava da questo anziano Professore di Chicago, che con un sorriso acconsentì a farsi ritrarre in fotografia con un tremante giovane genetista di Verona. James Watson, a soli 25 anni, nei laboratori britannici Cavendish di Cambridge, sotto la guida del suo mentore Francis Crick, identificò e scoprì il “segreto” della vita, descritto in una memorabile paginetta di “Nature” dell’aprile 1953. Quella paginetta valse loro il Nobel per la Medicina nel 1962. E dopo nulla fu più come prima, intendo nella medicina e nella biologia. Ora, all’inizio del 2019, Watson, 92enne, sta facendo sobbalzare l’opinione pubblica, scientifica e non, per le sue affermazioni molto spinte e a dir poco sconcertanti (qualcuno le definisce “disgustose”), sulla presunta minore intelligenza, su base genetica, dei neri rispetto ai bianchi. Allo stato attuale delle conoscenze, queste affermazioni risultano prive di fondamento biologico. A mio parere inoltre fomentano prese di posizione potenzialmente pericolose nell’opinione pubblica, data la grande autorevolezza del personaggio, che rimane comunque un gigante della Scienza moderna. Anche un Nobel, da essere umano, può dire cose sbagliate, ma se esiste l’aggravante della reiterazione provocatoria, per di più su argomenti relativi alla genetica, di cui lui è stato padre e sommo maestro, le affermazioni assumono valenza e risalto planetari. Watson è comunque sempre stato razzista e privo apparentemente di vincoli etici, una “lingua lunga” e pungente, e ha sempre espresso le sue idee in modo diretto e provocatorio. Non è infatti nuovo a “gaffe” su donne, neri e omosessuali. Sostenere che i “neri” sono geneticamente meno “intelligenti” dei bianchi è, allo stato attuale delle conoscenze condivise dalla maggior parte della comunità scientifica internazionale, privo di fondamento. Può darsi che in futuro vengano dimostrati alcuni “luoghi comuni” relativi a specifiche popolazioni o etnie (per es. gli indiani come geni dell’informatica e della matematica). Ma si parla di mere ipotesi futuristiche. Una realtà attuale invece è rappresentata dal fatto che una delle maggiori “sorprese” dell’ambizioso Progetto Genoma Umano (mastodontica impresa scientifica mondiale iniziata negli anni 90 e terminata nel 2000 [ed ecco il motivo del Convegno di Napoli], che è riuscito a “leggere” (sequenziare) tutti gli oltre 3.4 miliardi di “lettere” (nucleotidi) che compongono il nostro genoma aploide, è stata la conferma biologica della inesistenza delle razze umane. Il mio genoma e quello di un “nero” possono essere molto più simili tra loro (in termini di omologia di sequenza) rispetto ai genomi di due veronesi o due tedeschi, o di un francese e un belga presi a caso. Inoltre la cosiddetta “intelligenza” è un qualcosa di titanicamente difficile e complesso da definire. È un carattere “multifattoriale“, definito da varianti in molti o moltissimi geni (la maggior parte dei quali ancora totalmente sconosciuta), da molti stimoli ambientali (sociali, educativi, emozionali), fattori stocastici imprevedibili, fattori di regolazione genica epigenetici, stimolatori e/o inibitori, e probabilmente altri, o moltissimi altri, che ancora non conosciamo. Le dichiarazioni di Watson, come ricorda “The Guardian”, sanciscono definitivamente la rottura con la comunità scientifica che, unanime, ha deciso non solo di smentire, ma di prendere le distanze da esse e dalla figura stessa di Watson. E il Cold Spring Harbor Laboratory, prestigiosa istituzione di ricerca biomedica a New York, diretto dallo stesso Watson per tre decenni, a causa di reiterate, “abominevoli” e gravi affermazioni razziste, gli ha revocato qualsiasi posizione emerita e onorificenza assegnatogli, e commenta così le parole di Watson: “[…] riprovevoli, non supportate dalla scienza, che non rappresentano in alcun modo le opinioni di CSHL, dei suoi fiduciari, docenti, personale o studenti. Il Laboratorio condanna l’abuso della scienza per giustificare il pregiudizio”. A seguito di queste dichiarazioni c’è anche chi addirittura ipotizza un intervento dell’accademia svedese per il ritiro ufficiale del Nobel. A difendere lo scienziato è giunta la famiglia. Il figlio di James Watson, Rufus, ha dichiarato ai media: “Mio padre è stato subito dipinto come bigotto e razzista, ma ritengo ridicole tali accuse. Ha semplicemente condiviso quello che è emerso dalle sue ricerche nel campo della genetica. Mio padre ha trascorso quasi tutta la vita in laboratorio e ogni sua parola si basa solo sulle evidenze scientifiche raccolte in oltre sessant’anni di attività. Il mondo accademico gli deve rispetto”. Personalmente non sono in grado di prevedere gli sviluppi di questa imbarazzante situazione, che non fa comunque bene alla Scienza, perché insinua il sospetto che anche gli scienziati siano divisi su fenomeni che dovrebbero essere, almeno fino a un certo punto, “indiscutibili”. Posso solo permettermi una breve considerazione personale sul James Watson scienziato: una stella di prima grandezza. Su James Watson uomo, e ora vecchio, mi sia consentito un “no comment”.
Prof. Alberto Turco
Professore di genetica medica Università di Verona
Verona, 18.01.2019