Storia della parola EVOLUZIONE – di Maria Teresa Busca

Si apre la nuova rubrica dedicata all’Evoluzionismo.

Il primo articolo è dedicato alla storia della parola evoluzione.

 

L’Albero della vita – Gustav Klimt – 1905-1909

È interessante iniziare con quello che può sembrare un paradosso: Darwin, Lamarck e Haeckel, che sono stati i più grandi studiosi di evoluzione nel XIX secolo, non adoperarono la parola evoluzione nelle edizioni originali delle loro opere. Darwin, infatti scrisse “discendenza con modificazioni”, Lamarck “trasformismo”, mentre Haeckel usò “teoria della trasmutazione” o “teoria della discendenza”.

Darwin evitò di usare il termine evoluzione per descrivere la sua teoria per un preciso motivo.

Questo si riferiva al fatto che, in quei tempi, evoluzione aveva un significato tecnico in biologia. Con questo nome si era usi designare una teoria embriologica che non era compatibile con la visione di Darwin. Infatti, nel 1744 il biologo tedesco Albrecht von Haller aveva coniato il termine evoluzione per designare la teoria per cui gli embrioni si sarebbero sviluppati da omuncoli preformati racchiusi nell’uovo o nello sperma. E per quanto oggi possa sembrare fantasioso, tutte le generazioni a venire dovevano essere state create già nelle ovaie di Eva o nei testicoli di Adamo, chiuse l’una dentro l’altra come in una matrioska.

Contrari a questa teoria dell’evoluzione, detta anche preformismo, furono gli epigenisti perché, secondo loro, la complessità della forma adulta poteva scaturire soltanto da un uovo che all’origine fosse privo di forma.

È interessante una piccola digressione per capire anche i motivi che spinsero i preformisti a sostenere questa teoria che oggi pare, a dir poco bizzarra. Gli epigenisti, invece si dedicarono all’osservazione delle uova e attraverso questo giunsero a dimostrare che la complessità della forma adulta si sviluppa gradualmente nell’embrione. I preformisti, che erano intelligenti e attenti quanto gli epigenisti, sostenevano che le ridotte dimensioni iniziali dell’embrione e il suo aspetto gelatinoso non permettevano di vedere le strutture preformate, data anche la rudimentalità dei microscopi di allora. Bonnet, nel 1762, scriveva: “Non dobbiamo pensare che gli esseri organizzati incomincino a esistere quando incominciano a diventare visibili; non costringiamo la natura all’interno dei nostri sensi e dei nostri strumenti.” Inoltre non pensavano a perfette miniaturizzazioni dell’uomo, ma piuttosto ad abbozzi. E come ci si può spiegare oggi la reductio ad absurdum di un essere dentro l’altro per cui tutta la nostra storia sarebbe iniziata nelle ovaie di Eva?

Bisogna pensare al contesto del XVIII secolo, al fatto che in quel periodo gli scienziati credevano che il mondo esistesse soltanto da alcune migliaia di anni, cosicché il numero di generazioni da incapsulare era ridotto, inoltre non esisteva una teoria cellulare che ponesse un limite minimo invalicabile alle dimensioni degli organismi viventi. Ma perché i preformisti sentivano così forte l’esigenza di andare oltre le apparenze? È molto interessante il loro ragionamento. Per loro c’erano due ipotesi: o tutte le parti erano presenti fin dall’inizio, oppure, se l’uovo fosse stato privo di forma, avrebbe dovuto esserci una forza esterna per imporre le strutture alla materia. E l’interrogativo si spostava su quale forza e se questa forza fosse la stessa per ogni tipo di animale. Il preformismo fu concepito per difendere quello che oggi si chiamerebbe un ragionamento prettamente scientifico da qualsiasi forma di vitalismo. Se le uova erano totalmente disorganizzate per giungere a una così meravigliosa complessità, di quale forza misteriosa avrebbero avuto bisogno? Possono farlo soltanto perché la complessità è già al loro interno. Oggi è chiaro che gli epigenisti avevano ragione e che gli organi si differenziano gradualmente e non ci sono parti preformate, ma i preformisti avevano ragione a dire che la complessità non può sorgere da una materia grezza e che ci vuole qualcosa che dall’interno dell’uovo ne regoli lo sviluppo. L’errore fu di identificare questo qualcosa, che oggi sappiamo essere le istruzioni codificate nel DNA, con le parti preformate. Il XVIII secolo non comprendeva l’idea di un programma codificato.

Tornando a Haller, alla sua scelta di chiamare evoluzione questo processo insito nel preformismo, bisogna ammettere che lo scelse con cura, perché in latino evolvere vuol dire srotolare, proprio ciò che avrebbe fatto l’omuncolo che si dispiegava e aumentava semplicemente di dimensione.

Quando la teoria di Haller declinò e sparì dalla scena scientifica la parola evoluzione si rese disponibile per altri usi.

Ai tempi di Darwin si trattava di una parola comune con un significato del tutto diverso da quello tecnico che le aveva attribuito Haller, stava piuttosto a indicare la comparsa, in ordinata successione, di una lunga serie di eventi. E, come dice l’Oxford English Dictionary, conteneva: “un concetto di sviluppo progressivo […] da uno stato rudimentale a uno maturo o completo”. Dunque nella lingua parlata l’evoluzione era fortemente legata al concetto di progresso. È proprio con questo significato che Darwin usa il verbo evolvere proprio come ultima parola del suo libro: “[…] da un così semplice inizio, innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e si stanno evolvendo.” Il motivo per cui usò questo termine fu dettato dal desiderio di porre in risalto la differenza tra il movimento dello sviluppo organico e la fissità delle leggi fisiche come la gravitazione.

Ma in Darwin il suo uso è molto raro, proprio perché egli respingeva esplicitamente ogni corrispondenza tra il termine evoluzione e qualsivoglia nozione di progresso. Infatti, in un famoso epigramma, raccomandò a sé stesso di non definire mai “superiore” o “inferiore” la struttura di un organismo. Fu per questo motivo che non chiamò mai evoluzione la sua “discendenza con modificazioni”, proprio perché non accettò mai il concetto di progresso che era inevitabilmente collegato nel significato corrente.

Ci pensò Herbert Spencer a portare il termine evoluzione come sinonimo di “discendenza con modificazioni”, perché intese l’evoluzione come la legge che presiede a tutto lo sviluppo. Diffuse quest’uso nelle sue opere principali, tra cui Le basi della vita (1864-1867) e diede al termine progresso il significato di cooperazione tra forze interne e esterne. Così quando molti scienziati avvertirono la necessità di un termine meno complesso del sintagma “discendenza con modificazioni” si trovarono pronta la parola evoluzione che andava a ben specificare il cambiamento organico come un processo orientato a una crescente complessità e da allora questa concezione non è cambiata.

Per concludere è opportuno ribadire ancora una volta che evoluzione e progresso non sono in alcun modo collegati e il pensarlo porta a gravi errori come quello di pensare all’evoluzione umana in termini di aumento di qualità, quali intelligenza, altezza o altro parametro simbolo di miglioramento. Ancora oggi qualche pensatore ha questa pretesa antropocentrica che va combattuta e debellata perché porta come conseguenza l’arrogante convinzione che sia giusto dominare le altre specie che vivono sul nostro pianeta, e sono più di un milione, piuttosto che vivere armoniosamente insieme a loro.