POLITICA E BIG DATA – di Fiorello Casi

La tecnologia, con la sua pressante innovazione su tutti i settori della società, ha impresso un’accelerazione importante all’evoluzione e alla qualità dei rapporti sociali. Come abbiamo visto i rapporti interpersonali hanno subito una mutazione con l’avvento di un universo “specchio” che è la Rete, il Web. Allo stesso tempo le potenzialità tecniche hanno assunto una dimensione tale da permettere l’inizio di un processo di datizzazione del mondo.

Già molti rapporti di forza e di potere si sono modificati all’interno delle società e degli stati; da molte parti si sostiene che gli stessi rapporti di produzione assumono una dimensione che ne richiederebbe una nuova formulazione. L’attenzione si focalizza quindi da parte di molte discipline, sull’avviare un’ampia analisi volta a verificare cosa, concretamente, lo stato dell’arte della tecnologia, stia modificando nelle sfere della epistemologia, dell’etica e soprattutto della politica. Individuare quello che realmente muta nei rapporti tra gli individui e tra questi ultimi e il mondo e le istituzioni; come si redistribuisce il potere e il controllo. E cosa, invece, in un mondo sottoposto a profonde accelerazioni operative e intellettuali, permane immutato nelle strutture e sovrastrutture, in senso marxiano, del potere e delle leggi che ne regolano l’esercizio.

La politica, soprattutto dalla fine del secolo scorso, si è trovata ad affrontare questa nuova realtà, determinata dal repentino sviluppo tecnologico, con gli strumenti interpretativi e di governo derivanti da una visione risalente alla cultura dei grandi partiti di massa e dalla loro organizzazione centralistica. Non è questa la sede per affrontare una analisi delle relazioni politiche determinatesi nel ‘900; basti ricordare che il “secolo breve” ha visto nascere non soltanto la radio e la televisione, con tutto ciò che questi strumenti hanno comportato. La grande industria fordista, il pensiero organizzativo, i progressi nella fisica, nella chimica, e in generale in tutte le discipline scientifiche legate alla tecnologia e alla produzione avevano creato un contesto fluido e dinamico, dove i partiti politici si sono trovati continuamente sottoposti a un inseguimento culturale, al fine di fornire risposte adeguate nell’organizzare un contesto democratico per l’esercizio del potere. La politica si è trovata, nel giro di pochi decenni, a confrontarsi con modalità molto diverse nella comunicazione con le masse dei cittadini elettori. Si è passati dalla carta stampata, all’uso massiccio dei quotidiani, alla radio e infine alla televisione che ha completamente rivoluzionato i tempi e le modalità di interazione nelle società. Ma la tecnologia ha sollecitato il mondo politico a tutti i livelli toccati dai suoi progressi. Basti pensare, non soltanto alla radio e alla televisione ma alla scoperta della fissione nucleare e della missilistica, e dello stravolgimento che questi due fatti hanno provocato nelle relazioni internazionali. La corsa allo spazio, iniziata alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, l’egemonia nel campo dell’elettronica da parte di alcuni paesi e, infine ma non ultime, le biotecnologie. La tecnologia ha offerto alla politica dei mezzi che le hanno permesso di ampliare il suo raggio d’azione e la sua influenza sui cittadini. Regimi totalitari come la Cina hanno potuto disporre di mezzi straordinari per i propri fini di controllo ed espansione; e le economie degli stati ne sono state rivoluzionate nel giro di pochi anni in modo radicale. Il processo di democratizzazione ha indubbiamente beneficiato, in molte nazioni, delle nuove opportunità offerte da questo nuovo scenario, fatto di nuove possibilità tecnologiche. Molto è cambiato nel corso dell’ultimo secolo; tuttavia è opportuno ricordare che, se si focalizza l’osservazione con il modello delle strutture e sulle sovrastrutture, si può notare che nell’ambito di questo progresso tecnologico stupefacente, ciò che permane è la complessa vicenda degli uomini impegnati a vivere in società, nel continuo tentativo di migliorare o modificare il loro rapporto con l’autorità, il potere e il governo.

Se il secolo scorso ci ha portato gli antibiotici e i computer, il secolo appena iniziato ci promette realizzazioni ancora maggiori. Ma a ben guardare, sotto lo strato impressionante di realizzazioni innovative importanti, dai problemi circa il controllo dell’informazione a quelli delle garanzie alla libertà dei cittadini, la reale rappresentanza democratica, politica ed economica e la difesa dei principi morali, pressati dall’avvento di potenzialità realizzative in tutte le scienze, questa situazione pare molto più articolata e complessa.

Oggi la politica vive una doppia vita; da un lato è impegnata a comprendere e guidare dei mutamenti sociali, economici e culturali ai quali la velocità dello sviluppo tecnologico ha impresso un’accelerazione cui risulta sempre più difficile stare dietro. Dall’altro è essa stessa impegnata ad appropriarsi dei nuovi strumenti al fine di organizzare un nuovo modo di organizzazione del consenso e della trasmissione delle idee. Istanze di carattere economico, finanziario, relazioni internazionali e soprattutto etiche, incombono sulle istituzioni e richiedono risposte legislative, normative e di indirizzo politico sempre più urgenti.

Un numero sempre maggiore di stati adotta le nuove tecnologie per esercitare il controllo sui cittadini, mentre questi ultimi utilizzano le nuove tecnologie per controllare o addirittura sviluppare forme di resistenza al nuovo clima instauratosi, percepito sempre più invasivo della sfera privata.

Le prospettive sono sfocate. La vastità delle problematiche è tale che risulta difficile anche la sola analisi delle forze in gioco e delle loro reciproche interdipendenze.

Tuttavia alcune considerazioni intorno ad alcuni quesiti che lo stato attuale e quello, presumibilmente, futuro delle tecnologie pongono, a livello politico, è opportuno affrontarle.

Un primo aspetto riguarda quello, a cui si è già accennato, che abbiamo definito come il doppio controllo; quello operato dallo stato sui cittadini e quello della resistenza dei cittadini nei confronti di tale controllo.

Scandali come quelli di PRISM, Wikileaks e Vatileaks, che hanno occupato le cronache degli ultimi anni e sui quali ancora oggi è aperto un grande dibattito internazionale, sono emblematici di un inedito stato nelle relazioni tra l’autorità e i cittadini. Nel caso di PRISM è evidente che vengano danneggiati i diritti dei cittadini, almeno secondo quanto è universalmente riconosciuto dal diritto positivo, nella grande maggioranza degli stati. Nel caso di Wikileaks, invece, siamo in presenza di un fenomeno che lede e minaccia il diritto di uno stato sovrano. Uno stato che è in grado di rappresentare i diritti di tutti i cittadini solo nella misura in cui la sua struttura è in grado di rimanere integra nella sua organicità, della quale la gestione dei segreti, di stato appunto, ne è a pieno titolo parte integrante.

All’azione politica è richiesto, in questo caso, la promozione di una riflessione critica su quale morale si voglia adottare riguardo ai (Big) Data; infatti è necessario conciliare entrambe le istanze, quelle dei cittadini e il loro diritto alla riservatezza e quello dello stato e dei suoi segreti. Pena il pericoloso depotenziamento di entrambe; una situazione che stiamo pericolosamente vivendo ai nostri giorni.

Si tratta di trovare un nuovo modello di comprensione per ogni forma di permeabilità della membrana tra individuo e società nella quale non ci può essere ancora la sovranità dei dati né dalla parte statale né da quella privata nella forma a cui siamo abituati. Si tratta di una nuova forma di simmetria sociale.

Un caso emblematico di questo stato di cose è rappresentato dal fenomeno di Anonymous, un movimento culturale che, in nome della libertà e della creazione di un nuovo mondo trasparente, è in azione nella Rete. Rivendica la trasparenza delle strutture pubbliche istituzionali ma l’obiettivo di una nuova etica si scontra poi con la volontà di restringere tale istanza alla sfera privata quando subentrano gli interessi del singolo. La trasparenza Rete, in questo caso, diventa la copertura per agire indisturbati.

Si tratta di un dilemma etico. La politica è chiamata a ricercare una nuova forma di convivenza tra i cittadini e la società, dove operi un nuovo equilibrio circa la disponibilità tra i dati dei cittadini e quelli dello stato.

Se ci soffermiamo sugli aspetti etici, è opportuno anche rilevare che nel nuovo mondo della Rete, i dati costituiscono la realtà che, come tale, richiederebbe una disciplina morale a essa propria; e quindi la necessità di promuovere un’etica della reciprocità tra stato e cittadino in Rete con la garanzia della salvaguardia personale.

Ma oggi a prevalere è l’asimmetria. La politica si dibatte in un contesto nel quale trovare le linee guida per garantire la simmetria di diritto all’informazione, tra stato e cittadini, in un’epoca in cui le tradizionali fonti di informazione sono sempre più marginali è un’impresa difficilissima. E costituisce il cuore del problema, le cui declinazioni possono poi abbracciare aspetti etici, operativi e culturali.

Ma la situazione tende a radicalizzare le sue controversie a causa della presenza di un attore che, con modalità analoghe ma forme molto diverse, entra con vigore in questa situazione asimmetrica e ne egemonizza buona parte.

I grandi capitali finanziari, rappresentati dalle grandi corporation dell’informazione, Google, Microsoft, Facebook, WhatsApp, Twitter, Yahoo, Amazon, Netflix, e diversi altri, oltre ad abbracciare più di due miliardi di utenti, sui quali ormai si è visto che tipo di attività svolgono, si pongono come terzo polo in questa torsione meccanica legata alle garanzia dei legittimi diritti dei cittadini e degli stati.

Questo terzo polo si inserisce nel movimento dialettico tra stato e cittadino e ne funge da pseudo-sintesi. Infatti, come soggetti giuridici godono a loro volta di garanzie; tuttavia da un lato si pongono come coadiuvanti dello stato nelle attività di controllo e sorveglianza dei cittadini. Come nel caso dello scandalo PRISM, che ha visto la collaborazione di tutte le corporation U.S. nell’aprire i propri archivi informativi (anche quelli relativi a cittadini e nazioni estere) alla NSA per motivi di sicurezza nazionale. Ma allo stesso tempo raccolgono dati su tutti i loro utenti a fini di lucro, secondo i modi già visti.

E’ facilmente intuibile che questo stato di cose non solo non tende alla simmetria ma è pericolosamente sbilanciato sul fronte delle garanzie, dei controlli e delle sanzioni.

La politica dovrà utilizzare sempre più massicciamente le tecnologie dei Big Data per cavalcare il cambiamento inesorabile delle forme di partecipazione alla vita (si spera) democratica. Già lo sta facendo. E in questo senso il sospetto, più che fondato, che si determinino ancora molte situazioni dai contorni opachi tra la politica e i detentori delle informazioni e degli strumenti per trattarle è più che legittimo.

I grandi capitali finanziari tendono sempre più al controllo della produzione legislativa, a volte legittimamente, attraverso l’azione di lobbie legali, come negli U.S., altre in modi illegittimi e illegali, come si apprende, di frequente, dalle cronache del nostro paese e di tutto il mondo.

Quindi i detentori delle informazioni da un lato, traggono beneficio dagli stati come fornitori di indispensabili informazioni per garantire la “Ragion di stato”; dall’altro, tramite l’enorme potere finanziario, sono in grado di condizionare marcatamente l’azione politica che è sempre più affamata di capitali e strumenti per rendere efficace la propria azione. Un quadro allarmante.

Alla luce di quanto visto fino a ora, le attività di controllo e raccolta di informazioni di uno dei più capillari servizi di controspionaggio, operante durante la guerra fredda assumono dimensioni modeste. La Stasi, l’ente di sicurezza della Germania est, operativa fino alla caduta del muro di Berlino, che aveva controllato e schedato milioni di persone, nella sua attività quasi quarantennale, aveva prodotto circa 39 milioni di schede sui cittadini e 112 chilometri lineari di documenti, aveva contribuito a rendere il proprio Stato uno dei più efficienti in termini di polizia. A 26 anni dalla caduta del muro di Berlino i dati che si raccolgono sui cittadini non sono più nemmeno paragonabili a quelli raccolti dalla Stasi.

Oggi il testimone di un analogo controllo capillare può essere attribuito alla Cina. Ma non è certo l’unico caso. Come abbiamo visto tutti gli stati agiscono e reagiscono alla nuova situazione della datizzazione seguendo percorsi e adottando soluzioni derivanti dalla loro storia e dal sistema politico e istituzionale che li caratterizzano.

Internet ha reso la raccolta dei dati molto più semplice, più economica e più diffusa. Questo vale, sia per gli utenti della Rete, sia per l’Internet delle cose, con la possibilità di acquisire dati da sensori e telecamere ormai diffusissime in ogni luogo.

A livello politico tutto ciò si trasforma nell’esigenza di dare risposte adeguate alle enormi possibilità di controllo e raccolta di informazioni personali. I Big Data consentono di fornire preziose informazioni agli analisti e la contemporanea diminuzione dei costi di raccolta; e i progressi  delle tecniche di archiviazione fanno prevedere un loro sostanziale incremento. Se l’avvento di Internet ha aperto un varco importante nel controllo degli individui, le tecniche di Big Data e le tecniche analitiche a loro collegate, mettono ancora di più in pericolo il diritto alla privacy. Questo è solo un aspetto dei dilemmi ai quali la politica deve dare una risposta.

Un altro aspetto preoccupante riguarda il fatto che il variare della scala delle dimensioni in gioco, reca con sé un altro problema non secondario. Con le tecniche di analisi il fattore predittivo avrà sempre più centralità e ciò potrà comportare il rischio di attribuire delle penalizzazioni basate su dei responsi predittivi. Ciò significa il rischio concreto di usare le previsioni che emergono dagli analitici dei Big Data per punire o giudicare gli individui preventivamente, prima che vengano compiuti atti devianti. Le implicazioni su temi come giustizia e libero arbitrio sono notevoli.

Un altro aspetto, conseguenza diretta dei primi due sopra accennati è quello di sviluppare un modello culturale “datocentrico”, dove le informazioni avranno un peso e un’autorevolezza tali per cui il rischio di farne un uso perverso aumenterà di conseguenza.

E’ intuitivo che usati razionalmente i Big Data possono diventare uno strumento efficace per innumerevoli processi, culturali, organizzativi, scientifici ed economici. Tuttavia se male usati o usati impropriamente possono diventare lo strumento al servizio di un potere senza scrupoli, che ne può utilizzare la potenza a fini di controllo e repressivi.  Questo rischio viene da lontano e, con l’avvento delle nuove tecnologie, subisce un’accelerazione gigantesca. Infatti i problemi legati ai Big Data, quali la privacy o la veridicità delle analisi dei dati vanno ben oltre il problema degli algoritmi per la pubblicità mirata o gli algoritmi di filtro, come abbiamo già visto.

Il pericolo insito nella raccolta e distribuzione dei dati si era ampiamente manifestato già in epoche precedenti a Internet. Basti ricordare i dati forniti dai servizi anagrafici olandesi ai nazisti per il rastrellamento degli ebrei olandesi. Nel libro “L’IBM e l’Olocausto” E. Black fornisce una dettagliata descrizione dei criteri di composizione dei numeri tatuati sul braccio dei prigionieri; le cinque cifre tatuate sui prigionieri dei campi di sterminio corrispondevano ai numeri registrati sulla scheda perforata del sistema Hollerith, di sostanziale monopolio della nascente IBM.

Se la Stasi aveva dei limiti nel controllo della mobilità degli indagati e alcuna possibilità nel conoscere i dialoghi (salvo intercettazioni ambientali) tra gli individui, al fine di scoprire infedeltà, oggi i soli operatori di telefonia mobile dispongono di tutti i dati necessari a portata di tastiera di un Personal Computer.

Le forze di polizia di tutto il mondo dispongono ormai di strumenti di investigazione, basati su modelli generati da algoritmi, di ausilio alle indagini sui crimini e atti a stabilire le zone a rischio che necessitano di attenzioni particolari, nonché per la creazione di profili di potenziali sospetti e soggetti a rischio.