L’intervento di ieri (16 novembre 2017) di papa Francesco sul fine vita apre una fase nuova nella riflessione della Chiesa Cattolica su tali tematiche: è vero che ha ribadito la condanna dell’eutanasia e che ha ripreso il pensiero di Pio XII e il Catechismo, ma l’ha fatto con una chiara e forte sottolineatura dell’accento tutto spostato sulla persona. Ha così ricordato che “«Le decisioni [sul fine vita] devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità» (Catechismo, n. 2278). È anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta”.
Mentre prima l’accento era spostato sulla dimensione medica o sul dialogo tra il medico e il paziente, ora l’accento è decisamente centrato sul paziente: le questioni di dottrina si giocano sugli accenti, e stavolta è ben definita la direzione. E appena prima di quest’affermazione papa Francesco ha sottolineato che “per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale. Occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti”, cosicché la “dimensione personale e relazionale” diventa l’aspetto prioritario: non più la norma oggettiva che prevale sul resto, ma il “discernimento” attento e prudente della situazione e delle intenzioni, con una netta apertura alla centralità del soggetto interessato: il paziente.
Cambia anche l’atteggiamento sul piano delle politiche pubbliche, perché papa Francesco ricorda che “in seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza. D’altra parte lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza”. Ciò significa che per la Chiesa Cattolica non è più il tempo di divieti netti e di no pasaràn! affermati coi toni imperiosi e aspri di chi pensa di avere la verità in tasca. Al contrario è il tempo della discussione pacata perché in presenza di un diffuso pluralismo etico, religioso e culturale va promosso il clima del reciproco ascolto e dell’accoglienza.
Sicuramente il discorso del papa non ha finalità politiche dirette, ma è di carattere più generale e è in linea con i ripetuti e pressanti inviti a abbandonare gli anatemi che creano steccati e muri invece che ponti. Sarebbe tuttavia ben strano che i parlamentari cattolici italiani continuino a opporsi al disegno di legge molto equilibrato e moderato in discussione. La Consulta di Bioetica ribadisce che quel ddl è il minimo sindacale che dovrebbe essere garantito senza problemi: noi sosteniamo che l’autonomia dell’interessato comporti ben di più di quanto previsto nel ddl in discussione, ma riconosciamo che esso individua soluzioni oggi ampiamente condivise, e riteniamo che almeno queste vadano approvate al più presto e senza ulteriori indugi. Auspichiamo che i parlamentari cattolici italiani cessino di erigere barricate antistoriche, e che subito tramutino in legge l’attuale ddl.
Maurizio Mori
Presidente
Torino, 17 novembre 2017
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