L’esperto di bioetica Mori: “La donna suicida in Svizzera è vittima di sofferenza esistenziale: fa male come le altre malattie”

L’esperto di bioetica Mori: “La donna suicida in Svizzera è vittima di sofferenza esistenziale: fa male come le altre malattie”

Il filosofo, presidente della Consulta di bioetica onlus, commenta la vicenda del marito avvisato della morte della moglie solo dopo il decesso: “Serve una legge anche per casi come questi”.

Intervista di Luca Monaco per Repubblica del 29 gennaio 2024

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Il filosofo, presidente della Consulta di bioetica onlus, commenta la vicenda del marito avvisato della morte della moglie solo dopo il decesso: “Serve una legge anche per casi come questi”.

“Viviamo in un mondo secolarizzato, se prima c’erano solo la vita e la morte oggi con la fase prenatale e la fecondazione assistita abbiamo anche l’inizio vita e il fine vita: quest’ultima è considerata una fase altrettanto importante, intesa come il coronamento del proprio percorso esistenziale. Ma oltre alle malattie fisiche e degenerative c’è una categoria nuova, l’existencial suffering: la sofferenza esistenziale, che è altrettanto dolorosa. Ed è la solidarietà umana che porta le persone, anche in casi come questi, ad aiutare l’altro a chiudere la vita”. Maurizio Mori, il presidente della Consulta di bioetica onlus e professore ordinario in pensione di Filosofia morale all’Università di Torino, dopo aver letto su Repubblica la storia di Marta, la cinquantacinquenne torinese, in perfetta salute fisica, suicida in una clinica Svizzera il 12 ottobre scorso all’insaputa di tutti i suoi familiari, ragiona sul caso specifico e offre la sua lettura alla luce del dibattito aperto nel Paese.

Professore, Marta non era una malata terminale. Stava attraversando un periodo di depressione per via della scomparsa del figlio adolescente, ma dalla depressione si può guarire.
“Evidentemente era una persona stanca di vivere. Ricordo il caso dell’ecologo australiano David Goodall. Aveva 104 anni, era così in salute che è partito da solo in aereo dall’Australia e nel 2018 ha raggiunto una clinica in Svizzera dove ha potuto accedere al suicidio assistito”.

Qual è il nesso con il caso di Marta?
“Goodall era un uomo che aveva avuto tanti successi nella vita, ma aveva perso il “sugo” della vita per dirla con il Manzoni, cioè, aveva perso ogni gusto di vivere, stava attraversando una condizione di sofferenza incoercibile. Mi spiego meglio, le faccio un esempio”.

Prego.
“È come quando si ha tanta sete, non c’è nulla di meglio di un bel bicchiere d’acqua fresca, alla giusta temperatura. Ma costringere una persona a continuare a bere acqua quando davvero non ha più sete è una delle peggiori torture. La sofferenza esistenziale è questo. Ed è lì che subentra la solidarietà umana, che porta le persone ad aiutare il prossimo a chiudere la vita. Solo che ammettere la morte volontaria sfilaccerebbe la solidarietà umana che è per la vita. È un concetto difficile da accettare”.

È per questo che in Italia non c’è ancora una vera e propria legge che normi la materia?
“Ci vuole una legge che permetta quella che si chiama la morte volontaria. Al momento nel nostro Paese è consentito il suicidio medicalmente assistito, alle condizioni della sentenza della Corte costituzionale, la persona che lo richiede deve essere consapevole al momento nel quale viene applicato: chi ha malattie neurologiche potrebbe non essere più in grado. Deve avere malattia inguaribile”.

Ci sta spiegando che per lei la condizione di sofferenza esistenziale è equiparabile a una malattia degenerativa.
“Certo, è così. Noi siamo per la vita, una buona vita. Ma quando non potrà più essere buona, quando sappiamo che non si potrà più tornare al positivo, allora subentra la solidarietà umana. È difficile accettarlo, ma vedete, in questo mondo secolarizzato, si entra nella vita gradualmente e si finisce la vita con calma. Mentre prima si nasceva e si moriva di colpo, adesso tra la vita e la morte c’è una fase intermedia, quello che definisco un ‘bagnasciuga’: il più classico è quando c’è una malattia degenerativa che porta alla morte (un tumore, una malattia neurologica). Nel bagnasciuga spesso si crea la situazione infernale per la quale si sta male sapendo che non si potrà tornare al positivo. Questa riguarda anche la malattia mentale, la depressione, che ha delle basi neurologiche e biologiche”.
Quindi?
“Scegliere come morire significa mantenere il rispetto della dignità del progetto di vita che ognuno ha scelto. Ecco perché non è giusto che si sia costretti ad andare in Svizzera e non si possa morire aiutati nel proprio letto”.