Pisa, 23 giugno 2017
COMUNICATO STAMPA
La condanna del Consiglio di Stato alla Regione Lombardia sul ‘caso Englaro’
“Questa Sezione ha rilevato che il diritto di rifiutare le cure, riconosciuto ad -OMISSIS- dalla Corte di Cassazione, e, in sede di rinvio, dalla Corte di Appello di Milano, è un diritto di libertà assoluto, efficace erga omnes. Pertanto, si tratta di una posizione giuridica che può essere fatta valere nei confronti di chiunque intrattenga il rapporto di cura con la persona, sia nell’ambito di strutture sanitarie pubbliche che di soggetti privati.”
Con queste parole dopo aver citato ampi stralci della storica sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007, il Consiglio di Stato riconosce la condotta colpevole della Regione Lombardia che, attraverso la Direzione sanitaria, mise in campo un atto d’imperio vietando a tutte le strutture sanitarie lombarde, pubbliche e private, di accogliere Eluana Englaro per dar seguito alle sue volontà e sospendere la nutrizione e l’idratazione artificiale che la facevano perdurare in uno stato vegetativo permanente.
“Deve aggiungersi, inoltre, –prosegue la sentenza del Cosiglio di Stato- che la Cassazione aveva chiaramente ed espressamente qualificato l’attività diretta alla sospensione dell’alimentazione e idratazione artificiale dell’assistito come trattamento sanitario, affrontando e risolvendo puntualmente proprio uno dei profili più discussi e delicati della questione.
Sicché, all’epoca del provvedimento di rifiuto, secondo parametri di ordinaria diligenza non poteva ragionevolmente porsi in dubbio l’obbligo della Regione – che aveva già in cura la persona assistita da ben 17 anni – di adottare, tramite le proprie strutture, le misure corrispondenti al consenso informato espresso dalla persona, come definite dalle pronunce del giudice civile, che aveva accertato – con decisione passata in giudicato – l’esistenza di una idonea e valida manifestazione di volontà in tal senso.
Il risarcimento ottenuto dalla famiglia Englaro (la cui parte più cospicua è riconosciuta proprio a Eluana come soggetto che ha visto leso il proprio diritto all’autodeterminazione terapeutica) non è importante tanto sul piano delle considerazioni tecniche che hanno portato alla quantificazione economica del danno ma almeno per altri tre ordini di ragioni.
In primo luogo, viene confermato come sia assoluto e inaggirabile il diritto a veder rispettate le proprie volontà terapeutiche anche quando da queste ne consegua la rinuncia al bene ‘vita’. Queste volontà comprendono anche quei dispositivi di sostegno vitale che speciosamente e in modo ideologico volevano essere sottratte (e ancor oggi qualcuno vorrebbe sottrarre) alla sfera decisionale degli individui.
Sono ormai moltissime le pronunce, proprio sulla scorta della sentenza di Cassazione sul caso Englaro, che allineano il diritto positivo alle ragioni morali che giustificano la sovranità degli individui sul proprio corpo. E si afferma chiaramente che a questo diritto costituzionale corrisponde un preciso obbligo di chi è chiamato a garantirne l’esercizio, siano esse istituzioni sanitarie o politiche.
In secondo luogo, emerge la gravità della condotta istituzionale che non solo ha posto in essere “scientemente” un atto arrogante violando un diritto fondamentale di una cittadina ma, così facendo, ha violato il rapporto costituzionale delle istituzioni nei confronti dello Stato che non possono agire sottraendosi ai loro obblighi in base a motivi di coscienza. Richiamando la sentenza del TAR che già aveva accolto in pieno le istanze di Englaro, Il Consiglio di stato ribadisce:“a chi avanza motivi di coscienza si può e si deve obiettare che solo gli individui hanno una “coscienza”, mentre La “coscienza” delle istituzioni è costituita dalle leggi che le regolano”. Diventa importante questo rilievo anche alla luce di chi – nel dibattito parlamentare in materia di testamento biologico – pretendeva di attribuire la facoltà di opporre obiezione di coscienza alle disposizioni anticipate di trattamento a intere strutture sanitarie.
Infine l’amarezza. Perché veder risarcito il danno subìto da Eluana e dalla sua famiglia rende ancora più inaccettabile la violenza, la tracotanza politica, l’indegnità istituzionale di chi ha commesso veri e propri abusi nel tentativo di non consentire la fine di un calvario che già durava da così tanto tempo.
Risponderà, sul piano economico, la Regione Lombardia, ma ne rispondono anche, se non altro agli occhi dell’opinione pubblica, le personalità istituzionali, Formigoni prima e Maroni poi che hanno prodotto e poi reiterato questo scempio morale e istituzionale.
Consulta di Bioetica Onlus “sez. Englaro” di Pisa
La Coordinatrice
Dott.ssa Seila Bernacchi
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