Caso Indi Gregory, il filosofo: “La bimba soffre troppo, accanirsi non sempre è il bene”
Il parere di Maurizio Mori, membro del Comitato nazionale di bioetica

Magari in questa tempesta emotiva è sfuggita la differenza fra incurabile e inguaribile.
“È inguaribile un bambino che finisce in stato vegetativo: non tornerà più a giocare con il cane in giardino come prima, punto. La parola incurabile ha più sfumature. La cura va intesa come “care”, non la medicina ma il prendersi cura. Che vuole dire per esempio sospendere la coscienza di fronte al dolore”.
Anche staccando la spina?
“Questo è il punto. Alcuni, come me, dicono di sì: non solo ti lascio andare, ma faccio di tutto per strapparti dalla sofferenza il prima possibile. Altri pensano che sia un insulto alla vita. Il caso di Dj Fabo è stato esemplare. Gli avevano detto: sospendiamo le terapie e in 15 giorni puoi morire. E lui: “A questo punto non mi importa, ma non voglio infliggere altro male a chi mi vuole bene“. Un traguardo di altissima civiltà, di pene nel mondo ce ne sono fin troppe”.
Quei due genitori ci credevano. Non pensa al loro strazio?
“Con immenso rispetto. E con rammarico per come sono stati illusi: quel tipo di terapia genica non esiste e non se ne parlerà nei prossimi dieci anni. Rifletto però sul fatto che i progressi della medicina hanno creato situazioni infernali. Se continuiamo a sostenere la vita oltre ogni ragionevolezza creiamo disastri. I medici inglesi in questa circostanza si sono posti il dilemma di quel teologo che sovvertiva l’ordine delle grandi domande. Non “C’è vita dopo la morte?“, bensì “C’è vita dopo la nascita?“. La risposta è stata no”.