I Big Data e le trasformazioni sociali – di Fiorello Casi

Pubblichiamo il quarto articolo della rubrica “Etica e nuove tecnologie” dedicato ad analizzare le trasformazioni sociali provocate dai Big Data.

Quella che genericamente (e provvisoriamente) si sta tentando di descrivere, caratterizzare e narrare sotto la denominazione di Big Data è una realtà che sarà destinata a svilupparsi con una accelerazione importante nel prossimo futuro e secondo fonti autorevoli, entro il 2020 nel mondo occidentale tutto sarà connesso in rete (Big Data Public Private Forum, “Big Data roadmaps for the industry”, Big Data World Congress, Monaco,  dicembre 2013); persone, oggetti, macchine e processi operativi concorreranno in tempo reale a realizzare un collegamento permanente tra il mondo reale e quello digitale reso disponibile da internet.

La quantità dei dati generati da queste connessioni sarà enorme, appunto Big Data, e la loro analisi e il loro sfruttamento potranno consentire le condizioni per la nascita di una nuova società e di una nuova economia fondate sul valore dei dati digitali. Quindi già oggi, dal loro primo apparire sulla scena tecnologica, risulta evidente che l’utilizzo dei Big Data può diventare ancora più importante in un periodo in cui le società e gli stati devono affrontare importanti sfide sociali e provare a risolvere diversi problemi legati alla nutrizione, alla povertà, all’educazione, alla sanità e alla salute, all’inquinamento, alla pianificazione urbana e alla gestione della mobilità, alla disoccupazione, alla giustizia, solo per fare alcuni esempi. La questione rilevante che ne consegue è come il dato, per quanto esteso e accurato, informi realmente la decisione e, di conseguenza, quale apporto i Big Data possano offrire nell’individuare e risolvere i problemi sociali.  Perché lo scenario dei Big Data va molto al di là della valanga di dati. I Big Data non hanno solo ha a che fare con il volume e le dimensioni. Si devono anche prendere in considerazione fattori come: 1) la velocità di generazione delle informazioni, 2) il numero, 3) la varietà di fonti che le producono e solo alla fine di ciò, 4) la capacità di estrarre valore dalle informazioni così ottenute. Questo è il fattore più importante dal punto di vista sociale.

Il vecchio detto che “l’informazione è potere”, prende grande forza in tutte le organizzazioni, pubbliche e private, sempre più globalizzate e complesse. La rapidità con cui si muovono le informazioni, le notizie, nuovi modelli interpretativi, le idee e molti tipi di transazioni, oggi, insieme alla mole di dati creati dal mondo digitalizzato, richiede nuovi approcci per realizzare un reale e concreto incremento di successo nella ricerca di soluzioni innovative adeguate al grado di complessità che questo nuovo assetto ci sta proponendo. Infatti, con molta probabilità, nascoste all’interno dei flussi di dati strutturati e non strutturati ci sono già molte delle risposte alle domande che le istituzioni si stanno ponendo da diverso tempo. Questa è la ragione per cui le organizzazioni hanno iniziato a cercare nuovi criteri e modalità per ottenere i dati in quantità maggiore e per saggiare meglio quelli di cui già dispongono, e modalità sempre più efficaci per utilizzarli. E’ un compito difficile, complesso, spesso complicato anche da elementi tecnici. Anche restringendo l’interesse ai soli fenomeni che caratterizzano la vita di una società, la definizione resta piuttosto ampia, e su di essa oltretutto non esiste un accordo univoco. La psicologia sociale studia l’interazione tra individuo e gruppi. La sociologia studia i fenomeni della società (umana), si occupa dello studio “scientifico” dei fenomeni espressi da tale società. «Sociale» è quindi ogni atteggiamento e condizione che si verifica nel momento in cui un singolo componente interagisce con gli altri all’interno di una collettività. Tutto allora tende a essere sociale. L’analisi sociale attraverso tecnologia Big Data si basa su quella quantitativa dei dati circa i fenomeni che caratterizzano la vita di una società; e questo amplia enormemente il terreno di indagine; vi si può, per esempio, far rientrare anche l’analisi delle operazioni di borsa. Nel nostro caso ci soffermiamo sulla accezione quotidiana, quella che rappresenta un insieme di aspetti non economici contraddistinti da una valenza etica positiva e solidale. Per esempio, 1) la qualità della vita degli individui, 2) dell’ecosistema globale, 3) la comunicazione, 4) l’assistenza, 5) la sanità, 6) l’istruzione, 7) la ricerca scientifica, 8) la religione e 9) l’azione politica. Ma la distinzione non può essere netta, per esempio, tra sociale ed economico. Praticamente tutto quello che ci circonda è sociale ed economico al tempo stesso, dipende dal punto di vista. Se compriamo azioni di un fondo etico, possiamo essere motivati per aiutare il nostro paese o per un’ideale che condividiamo; in questo caso facciamo un’operazione rivolta più all’attenzione per il sociale. Ma se immaginiamo unicamente di guadagnarci rientriamo nella semplice speculazione, cioè una semplice operazione economica. Ma, in pratica, facciamo la stessa identica operazione. I Big Data possono fornirci nuove chiavi interpretative e di indagine al riguardo; incrociando fonti eterogenee di dati sono in grado di contribuire alla scoperta di modelli comportamentali e nuovi sistemi valoriali che a questi potrebbero presiedere, che con gli strumenti attuali ignoriamo.

E’ necessario stabilire se sia un concreto contributo alla soluzione o all’individuazione di nuovi problemi, conoscere, per esempio, quante persone nascono e muoiono ogni giorno, quante persone vivono sotto la soglia di povertà, quante vittime può provocare una pandemia, che velocità di propagazione e su quale geografia può estendersi un sistema criminale, quali ostacoli può avere il percorso di istruzione degli studenti, quali sono i punti critici legati alla mobilità, come evolve l’inquinamento nell’ambito stagionale, sia a livello mondiale che nelle megalopoli; e ancora la risposta a determinate terapie mediche e farmacologiche, le ricerche sul genoma umano e le sue enormi possibilità combinatorie a livello proteico, per la lotta ai tumori e alle malattie storiche come l’Alzheimer, solo per fare alcuni esempi, e come possa contribuire davvero a individuare problemi inediti e a trovare soluzioni innovative,  potenzialmente contro-intuitive, problemi sociali latenti o poco evidenti legati alla nutrizione, alla povertà, all’educazione e alla sanità.

Ci si chiede inoltre se i Big Data potrebbero essere uno strumento per innovare i sistemi di valutazione dell’impatto sull’innovazione sociale, in uno scenario caratterizzato dal paradigma dei legami causa-effetto complessi. Su questo tema è interessante il commento di Lucio Macchia:”

[…] per cui la causa precede l’effetto. Su questo concetto, ai limiti del concepibile, si stanno conducendo ricerche di frontiera […] Ma l’aspetto della causalità in senso classico, che appare più lontano dalla realtà, è quello di linearità causa effetto. I sistemi del mondo reale presentano nessi causali di tipo circolare, con interconnessioni a rete delle variabili in gioco, che si influenzano a vicenda in cicli complessi. L’approccio classico tende a ritagliare, dal complesso tessuto della natura, solo piccole porzioni, che vengono descritte secondo modelli a sé stanti, come se tutto il resto del mondo non esistesse. Nietzsche ha scritto a proposito della sua idea di eterno ritorno:” Tutto ciò che è dritto mente. La verità è sempre curva. Il tempo stesso è un ciclo. (1885. p. 120)”

E infine ci si domanda, 1) quali siano i limiti e le prospettive future nell’utilizzo dei Big Data, 2) quando sia possibile parlare realmente di Big data, 3) che implicazioni e nuove istanze saranno poste in essere per quanto riguarda gli aspetti etici, 4) come e in che modo il ruolo della bioetica potrà occupare uno spazio di mediazione tra le spinte innovative della tecnologia verso un suo processo di assorbimento, coordinato e coerente ai principi morali, da parte della società e incentivarne la condivisione a fini di evoluzione culturale e sociale.

Siamo alla presenza di un campo di indagine ancora poco esplorato e di esso si cerca di comprendere, se e con quali limiti l’utilizzo dei Big Data possa davvero: 1) favorire l’individuazione di problemi sociali complessi e poco visibili, 2) contribuire alla formazione di un nuovo paradigma culturale. Con questo si intende dire che il salto di scala tecnologico in atto porterà a cambiare i criteri con cui impostare e pensare i problemi sociali. Oggi lo scenario non è facile da localizzare ed è ancora fluido ma con chiari segnali del forte impatto sociale, i reali e inediti nodi problematici che tutto ciò recherà con sé.

E’ opportuno operare una ricognizione attorno al nesso che lega le nuove tecnologie digitali e alcune possibili trasformazioni sociali e culturali che potranno avere luogo come conseguenze dirette della penetrazione di queste nuove tecnologie. E’ diffusa abitudine il ragionare circa i nuovi dispositivi digitali come su qualcosa di rivoluzionario, che ha consentito di amplificare i cambiamenti radicali nei costumi realizzati dal telegrafo, telefono, radio e televisione. Strumenti e servizi in grado di trasformare profondamente, a volte in meglio, altre in peggio, le nostre vite, condizionando la dinamica delle nostre relazioni sociali. Ma in realtà media e tecnologie prendono forma nella società attraverso un processo complesso, nel quale le funzioni tecniche, le infrastrutture materiali e gli oggetti concreti intercettano abitudini, modelli culturali, relazioni personali, e strutture di potere e posizioni dominanti distribuite nella società in modo non omogeneo. E’ necessario interrogarsi se, contrariamente alle promesse del marketing o di quelle della politica e delle istituzioni, i nuovi strumenti tecnologici e della comunicazione siano innovazioni il cui destino è interdipendente dai processi sociali e culturali che ne influenzano la creazione e la diffusione; e anche la possibile attività di appropriazione, o di rifiuto, da parte degli utilizzatori. Da ciò sorge la necessità di tentare di indagare in modo articolato su varie implicazioni relative alla presenza di queste nuove dotazioni digitali nel mondo sociale contemporaneo. Indagare la società attraverso le forme assunte da queste tecnologie, articolando in diversi temi il rapporto complesso che unisce le innovazioni tecniche, le loro pratiche peculiari e i contesti culturali in cui sono inserite. Il nucleo tematico di fondo resta quello della dialettica tra innovazione tecnologica, strutture culturali e nuove pratiche digitali. E’ opportuno prendere avvio per questo scopo dalla riflessione circa la perdurante interpretazione sul determinismo tecnologico, cioè una teoria riduzionista per la quale la tecnologia di una società guida lo sviluppo sociale e i valori culturali. Lungo il corso della storia sulla comunicazione, si sono configurate due tendenze in contrasto tra loro: il determinismo sociale, che individua nella spinta sociale, caratterizzata dall’insieme delle necessità umane, la base della nascita delle nuove tecnologie e il determinismo tecnologico, che individua nella tecnologia l’unica causa delle trasformazioni della nostra società. Tutto al fine di verificare come ancora oggi i media digitali sono creati, vissuti e diverse volte analizzati. Infatti un’analisi sul rapporto tra comunicazione, tecnologia e pratiche sociali ha la necessità di confrontarsi con questo schema che è uno tra quelli interpretativi maggiormente ricorrenti, per valutare il rapporto tra tecnologie digitali e mondo sociale. Si cerca di approfondire il nesso tra tecnologie e media digitali, cercando di isolare e dare rilievo a quell’insieme di schemi culturali che concorrono a organizzare socialmente l’appropriazione di questi strumenti nel mondo contemporaneo; quali per esempio la diffusione di apparati quali i “tablet”, gli “smartphone” e la diffusa varietà di “devices” digitali oggi disponibili, da parte di una sempre più vasta fascia della società.

Va tenuto presente anche il tema delle nuove forme di conflitto sociale e delle relazioni di potere tra detentori e utilizzatori, rispetto a queste nuove modalità di interrelazione, concentrandosi sugli esempi specifici delle tecniche di raccolta e analisi dei dati e del ruolo delle infrastrutture e delle piattaforme informatiche in questa attività. E poi gli usi nuovi di utilizzo dei nuovi apparati digitali che hanno consentito una integrazione innovativa tra la medicina, la condivisione di informazioni in Rete e l’insieme dei metodi, delle tecniche e delle operazioni volte a conoscere, accedere e modificare un sistema informatico. Nel caso specifico si è utilizzato l’esempio che le tecnologie disponibili in rete e dell’uso innovativo di quest’ultima, che hanno permesso a un “hacker” e artista italiano, malato di cancro al cervello, non solo di modificare il suo percorso di cura ma di riconfigurare il senso e i significati nell’ambito del perimetro dell’egemonia culturale alla malattia stessa. Anche se, riguardo a questo lavoro di ridefinizione della malattia, la narrazione dominante sviluppata dai media attorno all’uso innovativo della tecnologia e della rete evidenziano la presenza dello schema interpretativo determinista, che ancora oggi, per larga parte, caratterizza il modo in cui in ambito sociale viene raccontato l’uso delle tecnologie digitali. Il caso preso in esame per certi versi è emblematico, della complessità dei processi riguardo il fenomeno della partecipazione nel cyberspazio e il ruolo che giocano le competenze necessarie – in questo caso si trattava di un “hacker” – ad agire concretamente sulle opportunità offerte dalla rete dove gli individui si aggregano intorno alla necessità di ridefinire il significato della parola “cura” e delle esperienze acquisite durante il percorso di un paziente all’interno del sistema sanitario.

Un interessante documento della U.E. del 2012 mette in evidenza come la rete sia ormai percepita come lo spazio più interessante per la ricerca di informazioni mediche, scambiare e condividere notizie, organizzare forme di azione collettiva e costituire delle comunità di supporto; anche se la classe medica è quella che oppone la massima resistenza a questa prassi per includere i cittadini nelle vicende legate alla salute. Le società dell’informazione sono caratterizzate dalla necessità di raccogliere energie collettive attraverso il riferimento a valori quali libertà, autonomia e partecipazione e la rete ha ormai assunto una centralità in questo mutamento biopolitico. E il cambiamento culturale e tecnologico, verso una sfera pubblica più coinvolgente, pone domande di tipo etico e rappresenta anche sfide nuove riguardo alle opportunità per coloro che desiderino riformare le istituzioni o proporre dei cambiamenti, anche radicali, attraverso l’adozione di nuove pratiche. Il caso dell’hacker malato preso in esame, rappresenta questo stato di cose; egli si è inserito in questo contesto e ha creato una ulteriore articolazione di ciò che negli studi sociali sulla medicina viene chiamata “disease constituency”, cioè un insieme di individui che si mobilitano intorno a una patologia; un gruppo composto dai malati, dai loro parenti, medici e attivisti che agiscono tra società civile e istituzioni.

E i Big Data e le tecnologie a essi afferenti sono uno dei temi di più rilevante attualità, anche rispetto all’uso e al ruolo dei media digitali, con le loro enormi raccolte di dati personali che la nostra presenza in rete produce incessantemente. Ma i Big Data non pongono solo una lunga serie di problemi, dubbi e questioni rispetto al loro uso specifico, ma ci offrono anche la possibilità di ragionare sulla nostra capacità di relazionarci alle innovazioni tecnologiche senza cadere nella dicotomia rappresentata da paure e speranze rispetto alle conseguenze di queste nuove tecnologie digitali.

Le implicazioni in ambito sociologico, etico, politico e filosofico sono di grande portata. Riguardo le implicazioni filosofiche c’è da sottolineare come il contesto che si sta delineando porrà nuovi quesiti riguardo la gnoseologia; infatti così come si è consolidata nell’età moderna a opera della speculazione filosofica di Kant, la gnoseologia si occupa dell’analisi dei fondamenti, dei limiti e della validità della conoscenza umana, intesa essenzialmente come relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto.