“Sceglierò io quando e come morire” di Filippo D’ambrogi

  “SCEGLIERÒ IO COME E QUANDO MORIRE”. La battaglia di Indro Montanelli per un fine vita dignitoso Youcanprint, 2022 € 15,12     “La questione fondamentale da risolvere è se l’uomo abbia o no il diritto a rinunziare alla vita quando questa gli diventi, per qualche motivo di cui lui solo può essere arbitro, insopportabile”. È questo l’interrogativo che poneva Indro Montanelli alla fine del secolo scorso nella sua ‘Stanza’, la rubrica di dialogo quotidiano con i lettori del Corriere della Sera. Come scrive Giovanni Fornero nella Presentazione, “Filippo D’Ambrogi si sofferma in modo organico sul Montanelli ‘eutanasista convinto’, sino a presentarlo come un’icona del diritto di morire, capace di offrire stimoli per una sempre attuale battaglia civile volta a garantire la pari opportunità nelle scelte di fine vita a esseri umani che professano convinzioni diverse”. Con l’ulteriore osservazione che, in questo caso, chi parlava dell’eutanasia come di una ‘conquista di civiltà’ era un liberale che non apparteneva certo alla cultura di ‘sinistra’, bensì a un’area considerata di ‘destra’, “il che potrebbe – e secondo Fornero ‘dovrebbe’ – suggerire l’idea che il diritto di andarsene, di cui Montanelli ha rappresentato in Italia un pionieristico difensore, è qualcosa che non solo riguarda tutti, ma che al di là delle diverse appartenenze politiche, può essere fatto proprio da tutti”.

Il caso di Gloria e il diritto all’autodeterminazione nel fine vita – di Mario Riccio

Recentemente il tribunale di Treviso ha autorizzato una donna malata terminale di tumore a ricorrere al suicidio assistito. Ancora una volta, di fronte a una politica che latita, intervengono i giudici a garantire il diritto a una morte dignitosa. La testimonianza del medico che ha assistito Gloria nella sua libera decisione di togliersi la vita.
L’articolo di Mario Riccio uscito su Micromega

Comunicato stampa: L’EUTANASIA È UNA FORMA DI “CURA”

Torino, 24 febbraio 2022 COMUNICATO STAMPA 3-2022 L’EUTANASIA È UNA FORMA DI “CURA”  PERCHÉ TOGLIE IL PAZIENTE DALLA CONDIZIONE INFERNALE. UNA RISPOSTA AL CENTRO DI BIOETICA LUCANO   In un’ampia intervista al giornale “La Nuova del Sud” il Direttore del Centro di Bioetica Lucano Rocco Gentile ha dichiarato che l’eutanasia è un atto che annienta la cura, quindi ha approvato la bocciatura del Referendum.  Senza entrare nel merito della decisione della Corte Costituzionale sul Referendum, che solleva problemi diversi, si vuole qui criticare la tesi centrale sostenuta da Rocco Gentile, ossia che l’eutanasia sia una richiesta di morte sic et simpliciter. Questa caratterizzazione dell’eutanasia è ingenerosa e inadeguata, perché ignora la premessa fondamentale della richiesta eutanasica, ossia lo stato di irreversibile sofferenza esistenziale che la genera. Chi chiede l’accesso alla morte volontaria medicalmente assistita non lo fa né per mero capriccio né come esito di una temporanea e passeggera difficoltà psicologica, ma perché è afflitto da estrema, disperata e ineluttabile sofferenza. È questa ciò che muove il paziente a chiedere l’eutanasia.  Omettere la grave e infernale sofferenza che sta alla base della domanda eutanasica è capzioso e inquina un dibattito che, su questi temi tanto delicati, dovrebbe essere attento ed equanime. Dunque, se l’eutanasia viene richiesta da un paziente che versa in una condizione irreversibile di malattia, perseverare con il principio di cura a tutti costi significa rispettare il paziente oppure accanirsi sulla sua sofferenza? Chi sostiene la necessità di dover curare a tutti i costi e fino alla fine lo fa, spesso, sulla base di due convinzioni: la prima è che la vita sia sacra e pertanto indisponibile; la seconda è che la funzione di cura del medico debba prevalere sulla volontà del paziente. Ora, l’idea della sacralità e indisponibilità della vita deriva da un convincimento religioso, che è ben lontano dall’essere un principio universalmente condiviso. Vietare l’eutanasia sulla base di una convinzione religiosa e personale comporta un’ingiustizia ai danni di coloro che non condividono la medesima convinzione. Approvare l’eutanasia, viceversa, non significa imporne la pratica a chi la disapprova, bensì rispettare la volontà di quelle persone che non riescono più a sopportare il peso di una sofferenza che non conoscerà mai sollievo. In altri termini, vietare l’eutanasia riduce le libertà dei singoli; approvarla, invece, significa offrire una possibilità in più a coloro che avvertono l’insopprimibile necessità di porre fine a un dolore destinato a perpetuarsi. Questa posizione, tra l’altro, risulta essere conforme al dettato della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che recita: «Se, infatti, il fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari – anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore) – non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale.». In secondo ordine, ritenere la funzione di cura del medico prioritaria rispetto alla libertà di scelta del paziente è il frutto di una interpretazione arcaica, gerarchica e ampiamente superata della relazione medico-paziente, per cui il primo sarebbe depositario e custode della vita del secondo. Lo sforzo verso cui muove la medicina odierna è invece quello di stabilire una orizzontalità nel rapporto, per cui il medico risponde alla richiesta di cura del paziente, ma non la impone contro la sua volontà né vicaria le scelte di vita del paziente sulla base di convincimenti del tutto personali. Ecco, finché il dibattito sul fine-vita resterà ancorato a posizioni dogmatiche − che non tengono conto dell’evoluzione della relazione medico-paziente e del mutato contesto storico, dominato dal pluralismo morale − sarà difficile produrre importanti passi in avanti. L’auspicio, ad oggi, è che il Parlamento suturi il gap che lo distanzia dalla cosiddetta “vita reale” e colga la necessità, sempre più impellente, di legiferare a favore della morte medicalmente assistita per consentire a chi patisce una sofferenza grave e irreversibile di trovare pace, quando è impossibilitato a farlo da sé. Alessia Araneo Coordinatrice Sezione Lucana Maurizio Mori Presidente Consulta di Bioetica Onlus   Leggi anche: https://www.basnews.it/una-risposta-al-centro-di-bioetica-lucano/