Rapporto medico-paziente

Cos’è

Il rapporto medico – paziente è quella particolare relazione che si instaura tra un medico (o, usando una espressione di più ampio respiro, un professionista sanitario) ed un paziente a partire da uno stato di malattia di quest’ultimo e che è caratterizzata da specifici doveri e diritti morali e giuridici. È un rapporto asimmetrico in cui la parte più vulnerabile è il paziente, il quale è dipendente dalla competenza e dal potere del medico. Generalmente questa relazione si esplica all’interno di un contesto sanitario, pubblico o privato, e solo in casi particolari in un contesto domiciliare (ad esempio in situazioni di fine vita che richiedono la presenza di cure palliative a domicilio).

Il paternalismo medico

Il rapporto medico – paziente è stato caratterizzato fin dal giuramento di Ippocrate da un’etica medica paternalistica, vale a dire da una concezione etica che prescrive di agire, o di omettere di agire, per il bene di una persona senza che sia necessario chiedere il suo assenso, in quanto si ritiene che colui che esercita la condotta paternalistica (nel caso specifico il medico) abbia la competenza tecnica necessaria per decidere in favore e per conto del beneficiario (il paziente). Da questa prospettiva, il medico è impegnato a ripristinare una oggettiva condizione di salute (indipendente dalle preferenze del paziente) e la relazione è fortemente asimmetrica poiché il paziente viene considerato non solo privo della conoscenza tecnica ma anche incapace di decidere moralmente. I principi etici che sono alla base del paternalismo sono il principio di beneficenza – che prescrive l’obbligo di agire per il bene del paziente – ed il principio di non maleficenza – che esprime l’obbligo di non arrecare danno al paziente.

Trasformazioni nella seconda metà del XX sec.

Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo si sono avute profonde trasformazioni nel modo in cui viene esplicata la pratica medica, che hanno sollevato dubbi ed accesi dibattiti sulla validità dell’etica medica tradizionale (quella appunto paternalistica). Tra le trasformazioni più significative possiamo ricordare, da una parte, il notevole progresso scientifico e tecnologico, che ha permesso alla medicina di avere una reale capacità tecnica di intervenire con un qualche successo (basti pensare alle macchine vicarianti nei reparti di terapia intensiva, alle macchine per la dialisi, alle tecniche per la riproduzione assistita, ai trapianti di organo, ecc.) e, dall’altra, la rivendicazione di sempre più spazi di autonomia da parte dei cittadini e delle cittadine che, nell’ambito dell’assistenza sanitaria, ha contribuito a creare un contesto favorevole per l’approvazione da parte dell’American Hospital Association nel 1973 della Carta dei diritti del paziente (Patient’s Bill of Rights). In questo documento viene reclamato il diritto del paziente ad essere informato e ad essere partecipe delle decisioni terapeutiche che lo riguardano. Una rivendicazione importante che comporta il riconoscimento della volontà del paziente ed il rispetto della sua autonomia decisionale.

Il modello etico contrattuale

Alla luce di un quadro così profondamente cambiato, il paternalismo medico è sembrato rappresentare un modello etico di comportamento non più adeguato, che andava a ledere il diritto individuale all’autodeterminazione. Ad esso si è sostituito un modello di relazione che pone al centro il principio etico del rispetto dell’autonomia del paziente: il modello etico contrattuale. In tal modo la relazione medico – paziente viene descritta come una relazione simmetrica i cui contraenti, autonomi, uguali ed aventi il medesimo potere di negoziazione, sottoscrivono liberamente un patto. Ne segue l’introduzione nella prassi medica della pratica del consenso informato, vale a dire l’assenso che viene richiesto ai singoli pazienti dal personale sanitario prima di sottoporli ad accertamenti diagnostici o ad atti terapeutici o di coinvolgerli in una sperimentazione, dopo avergli fornito un’adeguata informazione sul loro stato di salute e le alternative terapeutiche. Da questa prospettiva, diventano rilevanti il dovere del medico di informare il paziente e di ottenere il suo consenso; ed il diritto del paziente di decidere a quale trattamento sanitario sottoporsi o non sottoporsi affatto. Anche questo modello, tuttavia, mostra dei limiti nel contesto del rapporto medico – paziente. Esso, ad esempio, non riesce a cogliere elementi importanti che sono presenti in tale relazione, come il fatto che questa relazione non è paritaria e simmetrica, oppure che ci sono elementi che sfuggono al contratto, quali l’investimento di fiducia o tutte quelle virtù proprie di un agente morale che accompagnano l’assolvimento di un obbligo e che difficilmente possono essere racchiuse da un contratto sottoscritto. Queste difficoltà sono state affrontate cercando di ampliare i modelli etici di riferimento, ponendo attenzione all’approccio dei quattro principi (principilismo), all’etica della cura, all’etica relazionale, ecc., senza tuttavia perdere di vista il grande cambiamento con il quale ormai qualunque indicazione su quale debba essere il comportamento moralmente approvabile in un rapporto medico – paziente deve confrontarsi, vale a dire il riconoscimento dell’autodeterminazione del paziente in medicina.

Principali problemi etici e bioetici

L’obbligo da parte del medico di dover acquisire il consenso informato dal paziente ha aperto un vasto dibattito etico su quale debba essere la competenza che il paziente deve avere per poter dare un consenso libero e per poter comprendere le informazioni che gli vengono fornite, e su quale debba essere l’informazione più appropriata perché il consenso sia realmente informato. Si è sollevato, inoltre, il problema della inapplicabilità del consenso informato quando ci si trova dinanzi a pazienti che non sono autonomi ed in grado di decidere (ad esempio a persone affette da malattie mentali o in stato vegetativo permanente) ed in generale ci si è interrogati sulla possibilità di poter stabilire una linea di demarcazione netta tra individui competenti / non competenti, autonomi / non autonomi. Tutti questi problemi ruotano attorno alla difficoltà concettuale di offrire una definizione di autonomia che possa essere soddisfacente sia a livello teorico che a livello pratico, ed in particolare quando essa viene declinata sul terreno della medicina.
Un’altra questione fondamentale è la posizione che viene riconosciuta al principio di autonomia rispetto ad altri principi rilevanti come quello di beneficenza o di giustizia. Sia il medico che il paziente devono assumere un comportamento che si attenga sempre al rispetto del principio di autonomia o in alcuni casi è preferibile che il loro comportamento sia il frutto di un bilanciamento tra principi aventi una pari dignità? Nei casi di sperimentazione, inoltre, ad essere coinvolti non sono solo i pazienti – soggetti della sperimentazione – ma anche la società attuale e futura. I principi e gli interessi in gioco, pertanto, diventano più numerosi e complessi ed è importante individuare un approccio etico che sia in grado di rendere conto di tutti questi aspetti.
Il rispetto delle scelte autonome del paziente sembra, tuttavia, avere un qualche ruolo centrale e prioritario se si assume che la medicina è una pratica valutativa, vale a dire una pratica in cui le decisioni non si basano solo su aspetti scientifici ma anche su questioni di valore. Si pensi alla decisione di sottoporre un paziente ad una terapia salva vita ma invalidante. In questo caso la decisione non coinvolge solo criteri scientifici ma anche giudizi di valore su quale sia la qualità della vita che si ritiene degna di essere vissuta. E, posto che la qualità della vita non può essere determinata in base a criteri puramente oggettivi, è solo il malato a poter valutare se un trattamento sia tale da conciliare il prolungamento della sopravvivenza con un livello di qualità della vita da lui stesso o lui stessa considerato accettabile.
Può accadere che l’autonomia del paziente entri in conflitto con l’autonomia del medico. Si può avere, infatti, che il sanitario non condivide le prospettive del paziente sia in base a ragioni di scienza sia in base a personali ragioni etiche. In questi casi, il sanitario può appellarsi al generale rifiuto di prestare l’opera professionale che è previsto dalla deontologia medica al fine di tutelare l’autonomia e la responsabilità diagnostico-terapeutica del medico; oppure può appellarsi al diritto all’obiezione di coscienza riconosciuto come un diritto dalla legge in alcune particolari situazioni. Attualmente in Italia le uniche due situazioni dell’ambito sanitario in cui tale diritto è previsto per legge sono l’interruzione volontaria di gravidanza e l’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il riconoscimento legale dell’obiezione di coscienza si presenta come una procedura che cerca di affrontare il conflitto tra le esigenze della coscienza individuale e la necessità di regolamentare per legge pratiche su cui esiste una pluralità di visioni morali fra i cittadini e le cittadine. Un conflitto, tuttavia, che sarà sempre più presente in futuro, considerato l’aumento degli ambiti in cui i sanitari stanno cominciando a rivendicare la possibilità di appellarsi al diritto all’obiezione di coscienza, quali ad esempio le richieste di aiuto a morire o di continuare a trattare i cosiddetti grandi prematuri. È, pertanto, opportuno riflettere attentamente su due questioni principali: da una parte il possibile conflitto tra il diritto di chi pratica l’obiezione di coscienza e altri diritti; dall’altra la legittimità dell’estensione del diritto all’obiezione di coscienza.

Codici deontologici

La deontologia medica ha sempre attribuito al medico il potere di decidere non solo se e come intervenire, ma anche se e quando informare il paziente sulle sue condizioni. Le trasformazioni che si sono venute ad avere negli ultimi anni, tuttavia, hanno posto la deontologia medica dinanzi alla necessità di ridefinire il complesso insieme dei poteri, doveri e responsabilità del medico in relazione ai diritti dei pazienti. Per quanto riguarda l’informazione ed il consenso informato, per esempio, è nella versione del codice deontologico del 1995 che in Italia per la prima volta viene data esplicita indicazione al medico: di informare pienamente il paziente anche riguardo a prognosi infauste; di dare informazione ai congiunti solo se il paziente acconsente; di non intraprendere alcuna attività diagnostica o terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato. A partire dalla fine degli anni ’70 in Italia si sono avute ben cinque revisioni del codice di deontologia medica avvenute nel 1978, 1989, 1995, 1998, 2006.

Riferimenti bibliografici

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DOCUMENTI FONDAMENTALI DELLA CONSULTA DI BIOETICA:

Etica e ricerca sperimentale nei soggetti umani

Principi bioetici e screening