HOMO SAPIENS (seconda parte) – di Maria Teresa Busca

Come si è visto il più eccezionale degli attributi del Sapiens è il possesso del linguaggio, e sapere se lo avessero anche i Neanderthal è molto importante per poter stimare il distacco cognitivo che li separa.

Se lo possedevano erano già dei Sapiens nonostante le numerose differenze fisiche e la loro limitata cultura materiale. Il punto risiede nel fatto che il linguaggio è essenzialmente un prodotto del cervello e le testimonianze dei crani fossili sono di difficile interpretazione.

Anche perché, se il linguaggio è un incorporeo attributo comportamentale, il linguaggio articolato è cosa piuttosto diversa.

I suoni necessari per il linguaggio vengono prodotti dalle strutture dell’apparato vocale, ma queste non si conservano nella documentazione fossile, si conserva solo la parte più alta del tratto sopralaringeo, ovvero la base del cranio.

Le principali strutture della fonazione sono la laringe che contiene le corde vocali, la faringe che è un condotto, al disopra della laringe, che si apre nella cavità orale e nelle cavità nasali e la lingua. I suoni fondamentali sono prodotti nella colonna d’aria che per azione della laringe sale dai polmoni.

Nei mammiferi tipici, comprese le antropomorfe e tutti i primati non umani, la laringe è in posizione alta nel collo e la faringe è corta. Questa combinazione limita fortemente la possibilità della muscolatura circostante di operare sulla faringe modificando la vibrazione dell’aria spinta in alto attraverso la laringe.

Nell’essere umano adulto, invece, la laringe è in posizione bassa e la faringe è allungata e questo rende possibile ulteriori modificazioni del suono.

La conseguenza di questa impostazione anatomica è che viene impedito il poter respirare e deglutire contemporaneamente. Questo è il motivo per cui, purtroppo, molte persone muoiono soffocate.

È molto interessante notare che l’essere umano nasce con l’anatomia del tratto sopralaringeo propria dei mammiferi, perché il lattante quando succhia deve poter deglutire e respirare contemporaneamente. Soltanto in un secondo tempo, intorno ai due anni di età la laringe scende in posizione più bassa così da consentirgli di poter emettere suoni sempre più articolati.

Quindi i suoni che rendono possibile il linguaggio articolato vengono prodotti in gran parte dalla modificazione muscolare della faringe e possono essere formati soltanto in presenza di una faringe lunga e alta di tipo umano. Le antropomorfe e i bambini molto piccoli non sono in grado di farlo.

Resta il fatto che le testimonianze fisiche dell’evoluzione delle capacità verbali umane sono incerte. Sappiamo che la base del cranio ha assunto un’anatomia simile a quella attuale molto prima del periodo di cui possediamo testimonianze archeologiche di complessi comportamenti simbolici. Addirittura, la presunta morfologia del tratto sopralaringeo di Homo heidelbergensis è più o meno moderna, e questo vorrebbe dire che l’acquisizione dell’apparato vocale che consente la produzione di linguaggio articolato ha preceduto Homo sapiens di parecchie centinaia di migliaia di anni. Quindi la discesa della laringe proseguì per ragioni non linguistiche. Il fatto che fino a ora non si sia riusciti a individuare un’alternativa documentabile al linguaggio articolato come vantaggio evolutivo derivante dalla discesa della laringe, non è necessariamente motivo di pensare che non possa esservene stata una.

Se tale alternativa è esistita questo significa che l’evoluzione del tratto sopralaringeo e quella dei centri del cervello correlati al linguaggio non sono andati con lo stesso passo. Se un tratto sopralaringeo, capace di operare un’ampia modificazione dei suoni, era comparso per ragioni non linguistiche, si può pensare a esso come un’exaptation per il linguaggio articolato: una struttura necessaria acquisita da principio in un altro contesto. Questa considerazione non reca in sé nulla di strano perché nel corso dell’evoluzione capita abitualmente che nuove strutture sorgano per funzioni diverse da quelle che in un tempo successivo si troveranno ad adempiere. Ciò che, invece, sarebbe stato necessario era un vantaggio atto a compensare l’inconveniente di essere esposti al rischio di soffocamento.

Un’ipotesi è che questo vantaggio sia stato un miglioramento nella comunicazione, ma non nel linguaggio come lo si conosce oggi. Se lo scenario fosse stato questo, la piena potenzialità di questa nuova configurazione anatomica sarebbe stata realizzata alla comparsa degli appropriati meccanismi cerebrali. E i nuovi meccanismi avrebbero funzionato esclusivamente sulla base dell’exaptation della struttura sopralaringea.

All’inizio dell’articolo ci si è chiesti se i Neanderthal fossero in grado di articolare suoni. La risposta è quasi certamente no, almeno nella forma attuale. L’apparato periferico era presente prima della loro comparsa, ma molto probabilmente era un adattamento dell’apparato respiratorio a qualche necessità ambientale che nulla aveva a che vedere con il linguaggio articolato. Ci sono inoltre abbondanti testimonianze archeologiche che raccontano come arte, pensiero simbolico, senso del mistero, padronanza di materiali diversi e abilità fossero del tutto estranei ai Neanderthal, mentre per i Sapiens sono connaturati.

I Sapiens sono il prodotto di una lunga storia evolutiva, nella loro documentazione fossile si può notare l’accumulazione irregolare, nel lungo periodo, di caratteristiche e comportamenti complessi che li distinguono dai più stretti parenti attuali. È soltanto con l’arrivo di Homo sapiens che si possono osservare autentiche innovazioni: il reale distacco dal modello di miglioramento sporadico di quanto già esistente che aveva invece caratterizzato il periodo precedente all’evoluzione umana.

Dopo il linguaggio e la capacità di pensiero simbolico, un’altra caratteristica assolutamente peculiare di Homo sapiens è la stazione eretta.

È importante premettere che questo tema è un problema classico tanto della biologia evoluzionistica quanto dell’antropologia filosofica. La postura eretta è tipica dell’essere umano, il suo conseguimento è graduale e mai definitivo, infatti deve essere conquistata nella prima infanzia e riconquistata ogni mattina al risveglio, e il suo rapporto con lo stato di veglia è irrinunciabile.

È da tener presente che l’espressione ‘stazione eretta’ è abitualmente intesa in duplice modo. Infatti il primo significato si riferisce alla capacità dell’uomo di ergersi vincendo la forza di gravità, e di mantenersi in equilibrio sull’esile base dei suoi due piedi, sia da fermo che camminando o correndo e anche saltando. Ma l’espressione è sovente intesa in senso morale, si dice retto l’uomo che ha la forza di rimanere fedele ai suoi principi, agli amici e che è sempre pronto a comportarsi coerentemente ai propri convincimenti.

La stazione eretta appartiene alla natura del genere umano, gli è congenita, ma l’individuo non la riceve in dono, deve conquistarla. Stare in piedi e camminare per l’essere umano è una possibilità che diventa effettiva soltanto con l’impegno personale. E anche quando è un patrimonio acquisito richiede sempre fatica e sforzo. Nel bambino sano si manifesta l’impulso a alzarsi sulle due gambe e all’inizio l’equilibrio è precario, le cadute sono facili, ma gli insuccessi non lo frenano, non gli impediscono di riprovarci e saluta con gridolini e risate i primi passi. Si rallegra della buona riuscita del suo sforzo, ha raggiunto una meta che si era prefissato. Fin dall’infanzia l’uomo impara a rallegrarsi della sua opera. Non c’è altra ricompensa che lo possa attrarre così tanto.

La stazione eretta punta verso l’alto, muove in direzione opposta alle forze vincolanti della gravità; l’atto di alzarsi e rimanere in piedi sono l’espressione della vittoria e dell’affermazione di se stessi, al contrario il cadere e il precipitare diventano il simbolo della disfatta fisica e morale. In piedi si consegue una posizione nel mondo e la possibilità del comportamento autonomo. Il ruolo naturale dell’uomo rimane il saper opporre resistenza.

La stazione eretta non concede tregua, è sempre in atto lo sforzo di sostenersi contro la spinta verso il basso, bisogna imparare a mantenere la posizione. Chi lo fa viene riconosciuto come persistente. In piedi l’uomo guadagna libertà.

L’animale che si muove sull’asse longitudinale del suo corpo è sempre orientato sulle cose, l’uomo che si muove in direzione perpendicolare al suo asse longitudinale sospinge il corpo eretto parallelamente a sé e si ritrova solo di fronte a tutte le cose.

La libertà conseguita nell’alzarsi è ampliata in quella del passo sospeso. E con la libertà si accresce anche il rischio, chi è eretto è minacciato dal rischio di caduta.

Inoltre, nella stazione eretta le braccia e le mani sono libere, perché private della funzione di appoggio e sono così disponibili per nuovi compiti. Soltanto in questo modo gli arti anteriori possono svilupparsi in braccio e mano umani. Viene così conquistata la libertà di dirigere le braccia di lato, di alzarle, di distenderle, di afferrare.

La stazione eretta dunque è sempre in direzione opposta alla forza di gravità e quest’ultima è sempre all’opera, senza di lei la stazione eretta non sarebbe ciò che è: la riaffermazione della vittoria dell’uomo.