Fine Vita

Il progresso biomedico e biotecnologico ha reso oggi possibile prolungare la vita attraverso la cura di molte malattie, un tempo mortali, e mediante macchinari in grado di mantenere le funzioni vitali in modo artificiale. Queste capacità scientifiche sono all’origine di nuove opzioni che però non è detto siano concepite da tutti come sistemi per migliorare la qualità della propria vita. Ad esempio, per alcuni essere tenuti in vita in modo artificiale può non coincidere con una vita ancora degna di essere vissuta. Si tratta di considerazioni molto personali, che possono comportare decisioni difficili, sia per la persona direttamente coinvolta, sia per i suoi cari. In particolare, la bioetica di fine vita, data dalla riflessione e dal dibattito etico in merito all’accettazione o al rifiuto di utilizzare le scoperte biomediche e biotecnologiche nelle ultime fasi della vita, assume rilievo intellettuale e politico a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Infatti, con l’introduzione della Rianimazione Cardio-Polmonare (RCP) per la rianimazione interoperatoria (1960) per quei pazienti con problemi durante l’intervento cardio-chirurgico o nell’immediato successivo, ed in seguito al primo trapianto di cuore umano avvenuto con successo ad opera del cardio-chirurgo Christian Barnard a Città del Capo (1967), per la scienza la convenzione vuole che la morte sia fatta coincidere non più con l’interruzione del battito cardiaco, ma con la morte cerebrale (1968). E la RCP, diventando in seguito uno standard assoluto in caso di arresto cardiaco durante l’intervento o successivamente (1976), comporta la diffusione del c.d. DNR (Do Not Resuscitate) Order per quei pazienti che, in quei casi, non desiderano essere rianimati.

Principi bioetici di fine vita

Una volta le decisioni sulle terapie da intraprendere erano prese del medico che, come un genitore fa con il figlio, sceglieva “in scienza e coscienza” ciò che riteneva bene per il paziente (paternalismo medico). Oggi invece il rapporto medico-paziente è molto cambiato. Il paziente è sempre più coinvolto in tutti gli aspetti che riguardano la sua malattia e le possibili cure, in quanto unico ad avere il diritto di decidere in autonomia della qualità della sua vita. Il diritto di autoregolamentarsi significa anche avere il diritto di rifiutare le cure cosiddette “salva vita”, ovvero quelle cure senza le quali sopraggiunge la morte, in nome di un diritto alla vita e di un diritto alla salute che non vengano interpretati come obbligo a vivere e obbligo a curarsi (se non per disposizione di legge, come nel caso dei TSO – Trattamenti Sanitari Obbligatori). La garanzia suprema del diritto di ogni cittadino a realizzare la propria volontà sulla sua personale esistenza coincide con il diritto all’autodeterminazione o all’autonomia individuale, fondamento della prospettiva laica in bioetica. Tale principio afferma che ognuno su se stesso, sul suo corpo e sulla sua mente, è sovrano (J. S. Mill), data la capacità di una persona di darsi delle regole, di decidere per il suo essere. La responsabilità morale è personale, della persona direttamente coinvolta, ed è legata al propria visione del mondo, al proprio modo di concepire la vita e la morte. Il diritto all’autodeterminazione è un diritto di libertà e di responsabilità che ognuno ha verso se stesso e che supera la delega di tali importanti decisioni al medico o ad altri, come i propri familiari o il giudice. La capacità di scegliere per se stessi in modo indipendente comporta il diritto di ricevere informazioni precise e complete sulla diagnosi, sulle opzioni di cura e l’eventuale intervento, le loro conseguenze e i loro rischi. Solo dopo aver ricevuto tali informazioni, il paziente dà il proprio consenso o, per contro, rifiuta le terapie proposte dal medico. Questo passaggio fondamentale viene chiamato consenso informato.

Le disposizioni di fine vita

In merito alle decisioni di fine vita, l’Italia è ancora molto arretrata nel panorama europeo. Ad esempio, si tenga presente che il nostro paese è arrivato tra gli ultimi a maturare una prospettiva che promuovesse l’utilizzo della morfina o della sedazione nella fase terminale della vita. Inoltre, mancando ancora ad oggi in Italia una legge specifica sul testamento biologico, di media solo il 5% dei pazienti decide per il proprio fine vita. Le disposizioni di fine vita riguardano le seguenti tematiche:

Accanimento terapeutico
Nella prospettiva bioetica, quello di “accanimento terapeutico” è un concetto soggettivo. Infatti la sua definizione è relativa al soggetto che la esprime. Dal punto di vista medico, con questa terminologia si intendono indicare quei trattamenti sproporzionati e inutili rispetto al quadro clinico del paziente. Nel nostro paese esso traduce il più felice anglosassone Futility, nel quale non si incorre nell’ambiguità dell’ossimoro, come invece accade con il termine italiano.

La sospensione delle cure, ovvero l’interruzione dei trattamenti sanitari
La Limitazione-Arresto delle Terapie (LAT) viene data nello stato vegetativo permanente all’ordine del paziente di non rianimare, ovvero il già citato Do Not Resuscitate (DNR) Order, nel caso di Witholding (rifiuto di intraprendere le terapie) o di Withdrawing (sospensione delle cure). La LAT con decesso sono il 90% negli USA, l’80% in Canada, l’85% in Inghilterra, il 50% in Francia, il 34% in Spagna e solo l’8% in Italia.

L’eutanasia
L’eutanasia è un atto diretto del medico a provocare la morte del paziente sotto sua esplicita volontà. Ovunque la questione dell’eutanasia è percepita come delicata e bisognosa di estrema attenzione nella scelta della terminologia, dei modi e dei contesti adatti a trattarla. E, in particolare, nel nostro paese esiste una certa diffidenza verso linee di demarcazione chiare finalizzate ad appoggiare il diritto alla buona morte. Tuttavia, i casi di Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Eluana Englaro hanno dimostrato l’inadeguatezza di certa legislazione italiana, dando vita anche qui ad un’ondata di reazioni tale da creare un dibattito senza precedenti in merito alla liceità e al valore legale del testamento biologico in riferimento non solo all’interruzione dei trattamenti sanitari, ma appunto anche all’eutanasia.

Il testamento biologico
Il testamento biologico è un documento firmato che consente di dare disposizioni anticipate nel caso di una malattia terminale o in fase avanzata o inguaribile (coma irreversibile) o invalidante che renda incapaci di comunicare ed esprimere la propria volontà. Ad esempio nel caso in cui ci si immagini nel futuro in uno stato vegetativo persistente. Da questo documento è possibile trarre le disposizioni in merito al consenso o al rifiuto dei trattamenti medici, anche quelli “salva vita”, e quindi dichiarare in modo preciso le proprie convinzioni in merito alle ultime fasi della propria esistenza. Il nome tecnico è DAT, Dichiarazioni o Disposizioni anticipate di Trattamento.

La legislazione sul fine vita

– Il consenso informato
Il consenso informato è garantito sul piano legislativo. In proposito si vedano l’art. 32 della Costituzione e l’art. 5 della Convenzione di Oviedo (adottata dal Consiglio d’Europa il 4 aprile 1997). Anche il Codice di deontologia medica, agli articoli 30 e 32, afferma il diritto al consenso informato.

– L’eutanasia
L’eutanasia è vietata in Italia anche se, come si è detto, sta emergendo a poco a poco un dibattito sul tema derivante dalla discussione sui diritti di libertà individuale legati alla bioetica di fine vita, ovvero sul diritto di scelta del paziente in merito anche alle fasi terminali della propria esistenza.

– Il testamento biologico
Mentre nei paesi più moderni dell’Europa (Belgio, Olanda, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra) già da tempo ci sono leggi che regolano la materia del testamento biologico, in Italia manca ancora una legge specifica sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Nel frattempo è possibile fare appello ai documenti giuridici internazionali posti a tutela dei diritti dell’uomo e ad alcuni articoli contenuti nel Codice di deontologia medica (tra i più significativi: l’art. 9 della Convenzione di Oviedo e l’art. 34 del Codice di deontologia medica). Al momento è comunque in discussione alla Camera un Disegno di Legge sul testamento biologico dai contenuti tuttavia molto problematici se raffrontati alle legislazioni in materia presenti negli altri paesi. Si tratta del Disegno di Legge Calabrò intitolato “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”, approvato il 26 marzo 2009 dal Senato della Repubblica e poi trasmesso il 31 marzo 2009 alla Camera, dove è tutt’oggi in fase di discussione parlamentare.

Alcuni punti salienti di questo DDL: il DDL Calabrò prevede che idratazione e nutrizione artificiali siano obbligatorie sempre, fino alla fine della vita, e che quindi non possano essere oggetto del proprio testamento biologico. Questo DDL inoltre stabilisce che il testamento biologico sia solo un «orientamento» e che, come tale, non sia in alcun modo vincolante per il medico che ha in cura il paziente: il medico può decidere “in scienza e coscienza” di disattenderlo, secondo la logica del paternalismo medico.
Breve bibliografia sulla bioetica di fine vita:

  • Chaussoy F., Non sono un assassino. Il caso Welby-Riccio francese, inEdition, Bologna, 2007
  • Defanti C.A., Vivo o morto?, Zadig, Milano, 1999
  • Englaro B., Nave E., Eluana. La libertà e la vita, Rizzoli, Milano, 2008
  • Küng H., Della dignità del morire, Rizzoli, Milano, 1996
  • Lamb D., Etica alle frontiere della vita. Eutanasia e accanimento terapeutico, Il Mulino, Bologna, 1998
  • Neri D., Eutanasia. Valori, scelte morali, dignità delle persone, Laterza, Roma-Bari, 1995
  • Nuland S.B., Davanti alla morte. Medici e pazienti, Laterza, Roma-Bari, 2002
  • Pohier J., La morte opportuna, Avverbi, Roma, 2004
  • Veronesi U., Il diritto di morire. La libertà del laico di fronte alla sofferenza, Oscar Mondadori, Milano, 2006

DOCUMENTI FONDAMENTALI DELLA CONSULTA DI BIOETICA:

Documento sull’ Eutanasia

Documento sull’ accertamento della morte

Carta dell’autonomia sino alla fine della vita

L’uso degli oppioidi nella terapia del dolore

Appello per il caso di Eluana Englaro