BIG DATA. UN ASPETTO CONTROVERSO: I FILTRI – terza parte – di Fiorello Casi

Ma la portata degli algoritmi di filtro ha delle implicazioni anche maggiori. Già nel 2004, Robert Putnam, nel suo libro “Capitale sociale e individualismo” tracciando il profilo del fenomeno del declino del senso civico in America, delineava il quadro della contrazione di quello che chiamava “capitale sociale”; quel clima di reciproca fiducia e spirito di collaborazione tra individui di una stessa comunità, al fine di collaborare nella realizzazione di obiettivi comuni. I tipi di capitale sociale, secondo Putnam sono due; lo “spirito di gruppo”; il tipo di clima che nasce tra compagni di scuola, colleghi di lavoro e “senso della comunità”; quello che si instaura tra i membri di un gruppo quando concorre alla realizzazione di obiettivi comunitari. Sempre secondo Putnam, il secondo tipo di capitale sociale reca con se un alto potenziale; infatti è alla base di maggiori opportunità nella ricerca di una nuova attività lavorativa, o nella ricerca di nuovi partner su iniziative culturali ed economiche; tutto determinato dal fatto che il clima di fiducia alimenta la possibilità di relazioni diversificate.

Come si è visto in precedenza, gli esordi di Internet erano stati salutati come l’apice del processo di formazione del “senso della comunità”. Nei primi dieci anni di questo secolo, il numero di pubblicazioni che enfatizzavano questo aspetto si sono moltiplicate enormemente. L’idea che Internet ci rendesse tutti vicini di casa era quella più diffusa; Thomas Friedman, nel suo libro “Le radici del futuro”, nel 2001, sosteneva che:

Internet è destinata a diventare una morsa gigantesca che afferra il sistema della globalizzazione […] e continua a stringerlo intorno a tutti in modo che il mondo non solo diventi sempre più piccolo, ma anche sempre più veloce, giorno dopo giorno.”

L’idea era quella che il mondo si sarebbe configurato, grazie a Internet, alla dimensione del “villaggio globale”, dove le differenze tra classi, tra geografie e culture si sarebbero via via attenuate, fino a formare una comunità virtuale e democratica. A ben guardare, quindici anni dopo, non è proprio quello che è avvenuto. In Rete i nostri vicini virtuali si avvicinano a quelli reali, e quelli reali assomigliano a noi. Nella vita sociale pare prevalere lo “spirito di gruppo” a scapito di quello della “comunità”. Ma se è dallo “spirito di comunità” che nasce l’impulso allo spazio pubblico di Internet, ciò costituisce un grosso problema nella individuazione e soluzione dei problemi pubblici.

L’abitudine ci porta ad adottare comportamenti ripetitivi; in Rete, a parte attività specifiche, ognuno segue dei propri automatismi riguardo le notizie o le informazioni. Notizie di sangue e azioni terroristiche, violenza privata, sesso, personaggi famosi, circolo politico e fatti bizzarri. Questi sono buona parte dei contenuti che vengono processati dagli algoritmi di filtro. Un gesto apparentemente banale come cliccare “Mi piace” su Facebook, col fine di aumentare (tramite algoritmo) la visibilità di una persona amica o di un gruppo, o manifestare interesse per foto di gatti, bambini, corse podistiche amatoriali, sagre paesane lascia molto meno spazio ai “Mi piace” relativi a notizie su problemi come la carenza cronica di acqua potabile in grandi aree del mondo, sulla condizione delle popolazioni dei paesi del terzo mondo o sui temi dei conflitti religiosi. Il problema non risiede nel fatto che quest’ultimo tipo informazione stia scomparendo, tutt’altro. Ma avalla l’idea circa la tendenza che l’attenzione, in un mondo personalizzato, alle questioni importanti e scomode (per le coscienze) siano soggette a una lenta ma costante erosione.

Come consumatori, almeno nel mondo occidentale, siamo ormai sostanzialmente immuni da determinati condizionamenti, nel senso che siamo in grado di stabilire una gerarchia di priorità informative, tra quello che è interessante e rilevante e ciò che non lo è. Ma come cittadini il discorso si fa più articolato; quello che può piacere come consumatore non è detto che vada bene come cittadino. Quello che mi piace non sempre è appropriato che lo desideri veramente a livello di comunità e soprattutto, che siano informazioni in grado di rendere informato un cittadino sulla propria comunità e sulla propria nazione. Infatti:” I clienti hanno sempre ragione, le persone no”.

Concludendo, è evidente che la struttura e l’organizzazione dei mezzi di informazione concorre in modo importante nel determinare il carattere e la qualità della società. Come abbiamo già visto, la stampa ha impresso un’accelerazione alla diffusione delle idee e al nascere del confronto democratico, cosa che i manoscritti non erano in grado di garantire. Successivamente l’avvento della televisione ha influenzato in modo gigantesco la vita sociale e politica del secolo scorso, si pensi alla corsa allo spazio, la crisi di Cuba, l’assassinio di J.F. Kennedy, la caduta del muro di Berlino e l’11 settembre con l’attacco alle torri gemelle. Nel 2011, una ricerca stimava in 36 ore settimanali il tempo trascorso davanti alla tv da parte dei cittadini U.S.A., e concludeva che ciò non consentiva loro una partecipazione attiva alla vita civile.

L’evoluzione degli algoritmi a dei Big Data non ha mantenuto le promesse e le aspettative che l’avvento di Internet aveva fatto credere; si sta delineando una situazione diversa, più complicata e per certi versi complessa. Gli ideatori di Internet, sostenuti da uno spirito universalistico, lo avevano immaginato come la nascita di un grande strumento di universalizzazione delle conoscenze e del loro reciproco scambio. Insomma qualcosa di diverso da un sistema ciclopico che unisca gli individui, per una loro buona parte, al fine di scambiarsi foto di animali domestici, di compleanni in famiglia, sagre paesane o catene di motti banali corredati da foto provocatorie. Agli inizi degli anni novanta la Electronic Frontier Foundation, per mano di uno dei suoi esponenti, John Barlow, scriveva che la nuova frontiera sarebbe stata: “una civiltà della mente nel cyberspazio”. Era l’idea di una mega intelligenza globale dove ogni individuo concorresse alla formazione di una mente globale. Oggi con l’uso sistematico degli algoritmi di filtro, questo meta cervello ha maggiori difficoltà nel collegare tra loro i vari elementi costitutivi e produrre una sinergia che vada oltre la somma delle parti.

I Big Data sono l’ultimo prodotto di un processo che dalle mega centralizzazioni urbane, dalle nanotecnologie e dalla datizzazione del mondo, ha creato ormai una società globale le cui dimensioni vanno oltre la comprensione insita nell’individuo. Ma i problemi che il mondo deve affrontare oggi sono enormi, dal riscaldamento globale, ai problemi dell’energia, dal terrorismo di matrice religiosa, alla comparsa di nuove malattie virali; tutto ciò richiede una partecipazione, una informazione e una cooperazione che solo attraverso un concreto e fattivo scambio a vari livelli tra le persone sarà possibile.

I fondatori di Internet, primo fra tutti Tim Bernes-Lee, auspicavano (Bernes Lee lo sostiene tuttora) che il Web sarebbe stato il nuovo oggetto sul quale far confluire i contributi di tutto il mondo nella soluzione dei problemi comuni.  Ciò è certamente ancora possibile e per buona parte Internet sta mantenendo qualche promessa. Ma è importante andare oltre lo strato di superficie e indagare come stanno realmente le cose, che corso hanno realmente preso, quali istanze stanno rallentando o modificandone il cammino, quali elementi e quali forze lo stanno sospingendo nella direzione che ha preso attualmente.

E’ necessario andare a fondo di come sia regolato e organizzato oggi il Web, quali falsi scopi nasconda e quali principi originari non rispetti. La deriva presa dagli algoritmi dei filtri è forse il più emblematico. Un assunto molto diffuso, tra gli addetti ai lavori dell’ICT degli anni dieci di questo secolo: “il codice [il SW, N.d.R.] è la legge”, la cui paternità è da attribuire a Larry Lassing, il fondatore di Creative Commons (un’organizzazione statunitense non profit con sede a Mountain View, CA. che si dedica ad ampliare la gamma di opere creative disponibili alla condivisione e all’utilizzo pubblico in maniera legale) diventa indispensabile, a questo punto della storia, cominciare una riflessione critica sui valori, le norme, le consuetudini e gli scopi di questo nuovo legislatore. E’ un argomento troppo vasto e con implicazioni profonde in numerose discipline, le più diverse tra loro, per lasciarlo al solo appannaggio degli specialisti dell’ICT e pochi altri.

E’ necessaria una ricognizione sulla cultura che presiede e supporta gli specialisti di aziende come Facebook, Google, WhatsApp, Twitter, Amazon. Comprendere quali sono le istanze culturali, sociali, economiche e politiche che stanno dietro allo stato di cose evidenziato nella prima sezione di questo lavoro; se siano da accettare come una tappa inevitabile di un processo lungo e articolato o se, invece, siano evitabili in tutto o in alcune sue parti. E, soprattutto, formulare delle ipotesi per il futuro prossimo; un futuro che avrà sempre più a che fare con tutto questo.

Come abbiamo già illustrato, ognuno di noi può provare, sedendo accanto a un collega di ricerche, come la versione di Google sia diversa, già oggi, per ciascuno e, quindi, da tutte le altre. Ma proprio perché il nostro ambiente informativo personale ci rende un mondo parzialmente distorto, diventa importante riappropriarci del vero e del reale. È quello che abbiamo tentato di fare in questa sezione, proponendo spunti di riflessione e facendo una ispezione ragionata sui sub-sistemi tecnologici costitutivi di questa nuova fase tecnologica.

Restano da analizzare le implicazioni di carattere etico e politico che, dopo quanto esposto sino a ora, generano nella vita quotidiana degli individui e nelle loro forme di aggregazione, sociale e politica. E le implicazioni di carattere etico sono strettamente connesse con quelle politiche.

Come spesso accade, la tecnologia con il suo progresso incalzante, che consente di disporre di sempre nuovi strumenti di emancipazione, forza continuamente i confini e i limiti dell’etica, la mette continuamente alla prova dei fatti. La politica si inserisce in questa continua tensione in modi diversi; ora tentando di dare risposte adeguate e normative alle tensioni sociali ed etiche create dalla tecnologia; altre volte usando l’etica come strumento di forzatura per i fini propri.